19 Ottobre 2018 By Franco Sondrio

A misura d’uomo. Il Vitruviano di Leonardo, simbolo universale di armonia

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Circa un anno fa, Franco Sondrio, architetto, ricercatore fotografo e professore, esordiva su questo blog con questo articolo dedicato al genio vinciano, ideatore dell’Uomo Vitruviano che è diventato il simbolo di questa rivista on line.


A misura d’uomo. Il Vitruviano di Leonardo da Vinci e l’armonia delle geometriche corrispondenze.  Il fascino del genio vinciano continua ad attrarre, a più livelli, intere generazioni di studiosi, letterati e uomini della strada.

di Franco Sondrio

L’Uomo Vitruviano di Leonardo è uno dei simboli del nostro tempo pur risalendo ad un periodo più o meno coincidente con la scoperta dell’America che segna l’inizio dell’età moderna.
É quindi un’immagine che – seppur nelle sue ridotte dimensioni (34,3×24,5 cm) – ha un forte potere evocativo, rappresentando, tra l’altro, la trasposizione figurata del De Hominis Dignitate, opera letteraria di Pico della Mirandola, pubblicata nel 1496 e ritenuta dalla critica il Manifesto del Rinascimento.
Il disegno rappresenta la sintesi di un lungo percorso culturale che vede l’artista attratto dalla problematica che riguarda le relazioni tra l’uomo e il cosmo, dove il primo deve essere considerato come “lo spettacolo più meraviglioso in questa scena del mondo”, secondo quanto ricordava Pico della Mirandola nel De Hominis Dignitate.
La rappresentazione dell’uomo nudo, con le braccia aperte all’interno di un cerchio o di un quadrato, era già nota in alcuni codici medievali, anche se con precise implicazioni astrologiche, visto che queste immagini erano circondate da simboli che rappresentavano gli elementi dell’universo.
Leonardo prende le distanze da questo tipo di implicazioni e opera scelte del tutto diverse sul piano concettuale, facendo del suo disegno un’immagine antropometrica che diventerà utile riferimento, in termini di misure, per la realizzazione di qualsiasi figura umana e per i successivi studi anatomici e delle figure in movimento.

Le varie parti del corpo vengono messe in relazione con il corpo intero, dando luogo ad una serie di rapporti diligentemente riportati nella dettagliata didascalia e facilmente verificabile sul disegno che presenta, pertanto, precisione di tratto e chiarezza di particolari. In calce alla tavola è segnalata la scala di riferimento in “diti” e “palmi.”

Nell’uomo racchiuso nel quadrato Leonardo traccia una serie di segmenti, posti alla medesima distanza l’uno dall’altro, rispettivamente all’altezza del ginocchio, del pube e del petto. Tale distanza, corrispondente a sei palmi, ricopre la misura dell’arto superiore sinistro – misurato dalla punta delle dita alla piegatura del gomito – che posto dal basso verso l’alto entra quattro volte nell’intera figura. Nella parte superiore della didascalia Leonardo scrive: “Vitruvio architetto mette nella sua opera d’architettura che lle misure dell’homo sono dalla natura distribuite in questo modo” e prosegue poi con la descrizione di un vero e proprio progetto di antropometria che fu anche l’inizio della sua ricerca per i movimenti del corpo umano.

Si legge infatti ancora: “Dalle tette al di sopra del capo fia la quarta parte dell’omo”… “dal di sotto del mento alla sommità del capo è l’ottavo dell’altezza dell’omo”, cioè l’altezza entra otto volte nell’altezza dell’uomo. …“tutta la mano fia la decima parte dell’omo”… “Il piè fia la settima parte dell’omo. Dal di sotto del piè al di sotto del ginocchio fia la quarta parte dell’omo. Dal di sotto del ginocchio al nascimento del membro fia la quarta parte dell’omo”.

E così via, fino a stabilire tutte le relazioni proporzionali del corpo umano riproposte con una nuova dote di significato.

Abaco dei rapporti proporzionali tra le varie parti del corpo e l’altezza dell’uomo nel quadrato, come dedotto dalla didascalia. Disegno: F.Sondrio

Vitruvio, nel terzo libro del De Architettura, tratta separatamente le due figure antropometriche: l’”homo ad quadratum” e “homo ad circulum”.
Nel primo il centro del corpo coincide con la prominenza del pube. Infatti la distanza dal pube ai piedi è identica a quella che intercorre tra la sommità del capo e il pube stesso. La somma di queste due misure – che corrisponde all’altezza complessivo dell’uomo – coincide, a sua volta, con la distanza corrispondente all’uomo a braccia aperte.
Nell’ homo ad circulum, secondo il De Architettura, puntando il compasso in corrispondenza dell’ombelico, si ha che le estremità di mani e piedi siano tangenti alla stessa circonferenza.

L’uomo nel cerchio e l’uomo nel quadrato. L’organo maschile è il centro del quadrato, mentre l’ombelico è il centro del cerchio. Nella figura a destra la sintesi delle due figure antropometriche. Disegni: F. Sondrio

Il disegno vinciano esprime genialità soprattutto per essere riuscito a sintetizzare in un’unica immagine le due figure antropometriche che Vitruvio trattò separatamente, riproducendo la simultaneità di percezione di due diverse immagini sovrapposte. Questa innovazione non fu seguita dai successivi illustratori del codice di Vitruvio che continuarono, soprattutto nel Cinquecento, ad illustrare la teoria vitruviana mediante due distinti disegni.
Nella sintesi operata da Leonardo fra il cerchio e il quadrato si crea una geometrica corrispondenza, e come vedremo, il raggio del cerchio rappresenta la sezione aurea del lato quadrato.

Dato il lato del quadrato è possibile ritrovare il raggio del cerchio. Nell’immagine di sinistra, puntando il compasso in A con apertura AB è possibile ritrovare il segmento la cui misura è pari a 0,618 (imponendo che il lato del quadrato sia pari ad 1). La misura del segmento pari a 0,618 rilevata con il compasso nella figura centrale è il raggio del cerchio. Nell’immagine di destra, puntando nell’ombelico con apertura 0,618 viene tracciata la circonferenza tangente alle estremità degli arti. Disegni: F. Sondrio

“La sezione aurea di un segmento è, per definizione, la parte del segmento che è medio proporzionale tra l’intero segmento e la parte rimanente”.

Dalla geometria all’architettura, dalla pittura alla musica, fino alla natura del creato possiamo osservare come tale rappresentazione corrisponda ad un rapporto aureo che è stato definito pari a 1,618 …. (Numero Aureo).

Il raggio del cerchio rappresenta la sezione aurea del lato del quadrato. Riconosciuta come divina proporzione, la sezione aurea veniva considerata quasi la chiave mistica dell’armonia nelle arti e nelle scienze. Disegno: F.Sondrio

Il vero trionfo della sezione aurea nell’arte si ebbe proprio nel Rinascimento quando rappresentò, per tutti gli artisti di quel periodo, un canone di bellezza cui ispirarsi per ogni composizione artistica, dall’architettura alla scultura e alla pittura.
Più di tutti contribuì a questa concezione l’opera di Luca Pacioli “De Divina Proportione”, stampata nel 1509 e diffusa in tutta Europa, incentrata proprio sulla proporzione come chiave universale per penetrare i misteri della bellezza ma anche della natura. Il trattato fu illustrato da sessanta disegni di Leonardo Da Vinci.
Leonardo incorporò il rapporto aureo, oltre che nell’uomo di Vitruvio, in altri suoi capolavori come La Gioconda e L’Ultima Cena, ritenendo che si potesse così creare un sentimento di ordine.
É stato dimostrato che la percezione umana mostra una naturale preferenza e predisposizione per le proporzioni in accordo con la sezione aurea; gli artisti, così come oggi i fotografi, tenderebbero dunque, anche inconsciamente, a disporre gli elementi di una composizione in base a tali rapporti.
Il concetto di proporzionalità e di sezione aurea influenzarono gran parte dell’arte rinascimentale, come diventerà poi evidente in architettura, quando le proporzioni degli edifici – principalmente le facciate – dovevano rispettare la sezione aurea nei rapporti tra base e altezza. La sezione aurea, a partire dal Rinascimento è stata anche usata ampiamente in pittura, e in molti casi ripetutamente all’interno di una stessa opera; in alcuni quadri la linea dell’orizzonte separava il dipinto in due aree secondo la sezione aurea.
Il disegno di Leonardo rimase per secoli praticamente sconosciuto fino all’inizio del XX secolo, quando riacquistò la sua importanza divenendo simbolo di un’armonia che nella realtà degli anni ’30 e ’40 del 900 era difficile trovare altrove.

Nel 1948 Le Corbusier pubblica la prima versione del suo Modulor, seguito da Modulor 2 del 1955.
Le Modulor è una scala di proporzioni che l’architetto svizzero sviluppò all’interno della lunga tradizione di Vitruvio, passando dal disegno vinciano ai lavori di Leon Battista Alberti, nel tentativo di trovare proporzioni matematiche all’interno del corpo umano per migliorare sia l’estetica che la funzionalità dell’architettura. Il sistema è basato sulle misure umane, la doppia unità, la sequenza numerica di Fibonacci e la sezione aurea.

Raffronto tra l’Uomo Vitruviano di Leonardo e il Modulor di Le Corbusier. Le due figure si sviluppano secondo le medesime proporzioni geometriche.

Le Corbusier lo descriveva come “una gamma di misure armoniose per soddisfare la dimensione umana, applicabile universalmente all’architettura e alle cose meccaniche”.

La scala del Modulor fu applicata nella progettazione di alcuni edifici a Chandigarh e nella prima Unitè d’Abitation a Marsiglia, dove una versione dello stesso Modulor modellata nel cemento fu posizionata vicino all’ingresso.

Tornando al fascino del genio vinciano, possiamo dire che, ancor oggi, continua ad attrarre, a più livelli, intere generazioni di studiosi, letterati e uomini della strada così come dimostra il successo letterario di Dan Brown “Il Codice Da Vinci” (divenuto anche successo cinematografico) che dedica, tra l’altro, un intero paragrafo alla Sezione Aurea.

E come scrisse Martin Kemp in un suo libro, la grandezza di Leonardo da Vinci sta nel fatto che: “Non aggiunse tanto la scienza all’arte o l’arte alla scienza, quanto dimostrò che la scienza dell’arte possedeva uno speciale tipo di armonia creativa in relazione sia alla forma che al contenuto”.


Note biografiche sull’autore

Franco Sondrio nasce a Messina nel 1963 dove attualmente vive svolgendo la sua attività lavorativa a Catania. Compie gli studi superiori nella città dello Stretto, per poi laurearsi in Architettura presso l’Università Mediterranea di Reggio Calabria. Successivamente, consegue il titolo di Dottore di Ricerca presso la Facoltà d’Ingegneria dell’Università di Messina sviluppando una tesi su “La rappresentazione del paesaggio nelle opere di Antonello da Messina”. Ha svolto attività didattica presso la Facoltà di Architettura di R.C. ed è stato correlatore di numerose tesi di laurea negli ambiti del Restauro e della Storia dell’Architettura. É autore di saggi e articoli su libri e riviste scientifiche e, a tutt’oggi continua la sua attività di ricerca, con particolare riferimenti al corpus pittorico antonelliano, agli apparati prospettici quattrocenteschi, agli sviluppi artistici e architettonici di Messina a partire dall’epoca rinascimentale.