Tutti i numeri di Peggy Guggenheim
Addentrarsi nella vita di Peggy Guggenheim costituisce l’occasione per iniziare un viaggio tra le molteplici sfaccettature di una donna, modello di emancipazione femminile per eccellenza, che ha legato il proprio nome all’arte moderna.
di Franco Sondrio
Ebrea, appartenente ad una delle più ricche famiglie d’America, sapeva bene di non poter contare sull’avvenenza fisica; decise allora di imporsi all’attenzione del mondo come mecenate e collezionista di opere dei più dotati artisti del momento.
Una come lei non si era davvero mai vista.
La sua intelligenza unitamente al suo fiuto infallibile e al trasversale istinto per gli affari fecero di lei una “talent scout” capace di vedere oltre le apparenze del suo tempo, imponendo sulla scena internazionale artisti del calibro di Jackson Pollock. Peggy si rivelò esperta in un marketing strategico che promuoveva non solo le opere d’arte ma anche gli artisti, compresi quelli ancora sconosciuti.
Molto si è detto e scritto su di lei, ma le linee caratteristiche del suo vissuto sono tracciate in un’intervista (“Peggy Guggenheim: Art Addict”) rilasciata alla sua biografa Jacqueline Bograd, e nel suo libro autobiografico: “Out of This Century” in italiano “Una vita per l’arte” che nella sua prima versione del ’46 venne letteralmente stroncato dalla critica. La ricca signora non voleva certo fare sfoggio di capacità narrative. Scelse di raccontarsi con profonda sincerità e tagliente spregiudicatezza, descrivendo i comportamenti e le azioni di chi aveva conosciuto. Persino la sua famiglia le si rivoltò contro, considerandola una sorta di pecora nera, un’ enfant terrible dalla quale prendere le distanze.
Di fatto, Peggy, ci ha lasciato un libro di notevole valore storico che, per dirla con le parole di Elena Casadoro, “consente più letture: una panoramica dell’ambiente culturale europeo e americano del secolo scorso, dove tutti i grandi artisti trovano posto con un “volto umano”, da una parte, e la storia degli amori e delle avventure della ricca ereditiera ribelle dall’altra, il più delle volte sola e sfortunata, a dimostrazione del fatto che l’amore e la felicità non si comprano con il denaro”.
“L’arte moderna mi ha conquistata non appena l’ho conosciuta, ne ero diventata dipendente, non era mai abbastanza”. (P.G.)
Irrequieta e anticonformista per eccellenza si trasferì appena ventenne a Parigi lasciando Manhattan, dove era cresciuta sotto il controllo delle istitutrici private. Nella capitale francese sposò Lawrence Vail che la introdusse nella vita bohémien parigina dove conobbe il fior fiore gli artisti del tempo. Nel 1939, su consiglio di Jean Cocteau, decise di aprire la sua prima galleria a Londra. Qui la sua collezione conobbe il disprezzo del direttore della Tate Gallery che si rifiutò di riconoscere come opere d’arte quelle “cianfrusaglie” che sarebbero diventate i capolavori dell’arte moderna e contemporanea.
La sua avventura londinese iniziò con mostre sui surrealisti europei per cui il subconscio era la sorgente della vera creatività. Le prime esposizioni furono dedicate a Cocteau e Tanguy, poi a Breton e Dalí. Sempre a Londra realizzò la prima mostra dei lavori di Henry Moore e Lucian Freud.
Decise in seguito di chiudere la galleria per tentare di aprire un museo d’arte moderna che, a quel tempo, a Londra non esisteva ancora; ma dovette rinunciare al suo ambizioso progetto perché, intanto, la guerra era alle porte. Tornò a Parigi dove, per nulla turbata dagli eventi, continuò ad acquistare famelicamente opere d’arte, almeno una al giorno, senza nemmeno trattare sul prezzo, vista l’economicità imposta da giorni che cominciavano a farsi bui. Proprio in questo periodo acquistò opere da Brancusi, Giacometti, D’Alí e Léger.
Con l’avanzamento di Hitler e del nazismo P.G. dovette fare ritorno in America mettendo in salvo, prima di tutto, la sua immensa collezione. Con lei portò a New York i suoi due figli, il suo ex marito e il suo nuovo amore Max Ernst, e ancora Mondrian, Duchamp e molti altri divenendo il trait d’union tra il modernismo europeo e quello americano, tra il surrealismo e l’espressionismo astratto.
Nel 1942 aprì la leggendaria galleria “Art Of This Century” sulla 57ma strada. Qui organizzò una mostra memorabile tutta al femminile: “31 WOMAN”. Tra le artiste che esponevano anche Frida Khalo e Virginia Admiral, madre di Robert De Niro.
Sempre a N.Y., Peggy fu la prima a credere e sostenere economicamente Jackson Pollock quando era ancora un semplice carpentiere nel museo dello zio Solomon.
Nel 1947 chiude la galleria con il preciso intento di tornare in Europa. Ma dove collocare la sua collezione? Il problema fu presto risolto. La Biennale di Venezia deciderà di affidare alla Guggenheim un padiglione speciale per esporre la sua collezione. Per una serie di strane coincidenze e ritardi, il padiglione ufficiale americano non verrà inaugurato e a Peggy toccherà l’onore di rappresentare gli USA con quei quadri dei suoi amici che prima della guerra non venivano considerati arte. Si racconta che durante l’allestimento alla Biennale due operai stavano per buttar via un “mobile” di Calder scambiandolo per un pezzo d’imballaggio.
Finita la mostra, Peggy sceglierà Venezia per viverci stabilmente insieme ai suoi cani e alla sua collezione. Acquista Palazzo Venier dei Leoni su Canal Grande e lo trasforma in un Museo-Residenza oggi conosciuto ed apprezzato dagli amanti dell’arte di tutto il mondo.
Ottantuno anni vissuti intensamente (NY1898 – Padova1979), con un gioco di numeri da capogiro che rendono più facilmente l’idea di chi veramente fosse Peggy.
– 450.000 dollari (sei milioni di dollari attuali) la fortuna ereditata a seguito della tragica morte del padre che si trovava a bordo del Titanic quando affondò. Peggy, ancora ventunenne dichiarò: “non una gran cifra” se paragonata alle fortune degli zii Guggenheim (più prudenti del defunto padre).
– 2 matrimoni, Lawrence Vail e Max Ernst (dai quali divorziò). Qualcuno parla di un terzo marito del quale non ho trovato traccia. Comunque, a chi le chiedeva quanti mariti avesse avuto, rispondeva: «Miei o di un’altra?» ironizzando brillantemente sulla sua vita privata. Il numero di amanti è davvero corposo ed imprecisato; giusto per citarne alcuni: Samuel Beckett, Constantin Brâncusi, Yves Tanguy, Marcel Duchamp e John Cage. Come risulta dalle cronache, con Mondrian ci fu un leggero flirtare. Nell’intervista le fu chiesto: Cosa rappresentava per lei il sesso? “Era il modo per creare connessioni umane: con molti uomini ci sono stata perché mi sentivo sola, ero una specie di ninfomane, ma all’epoca il sesso e l’arte erano indivisibili nelle nostre menti”. Quali uomini prediligeva? “Sicuramente gli uomini d’arte, perché sono più interessanti degli uomini d’affari: delle volte possono essere deludenti, ma delle altre sono addirittura meglio delle loro opere. In ogni caso, quando frequenti artisti, ti rendi conto che sono molto diversi da come te li puoi aspettare”.
– 266 è il numero di opere d’arte che fanno parte della sua Collezione della Ca’ Venier dei Leoni a Venezia; un tesoro di inestimabile valore che testimonia, tra quadri e sculture, le più significative tendenze dell’arte moderna europea e americana tra cubismo, astrattismo e surrealismo.
– 120 gli artisti presenti nella collezione, tra i più noti Bacon, Balla, Boccioni, Brancusi, Braque, Calder, Chagall, Consagra, D’Alí, De Chirico, Duchamp, Ernst, Giacometti, Kandinsky, Klee, Koenig, Léger, Magritte, Malevich, Man Ray, Marini, Miró, Mondrian, Moore, Oelze, Ozenfant, Pevsner, Picabia, Picasso, Pollock, Pomodoro, Rothko, Severini, Tanguy, Vail, van Doesburg,Vasarely, Vedova, Villon …..
Dopo trent’anni vissuti in laguna Peggy Guggenheim muore in solitudine il 23 dicembre 1979 all’ospedale di Campospinoso, vicino a Padova, per una banale frattura a un piede.
La sua collezione viene da lei donata al comune di Venezia che però rifiuta il dono. Ne diverrà proprietaria la fondazione dello zio ricco: la Fondazione Solomon Guggenheim.
Alle resistenze dei veneziani fa paradossalmente eco una delle frasi più sincere e appassionate di P.G.:
“Si è sempre dato per scontato che Venezia è la città ideale per una luna di miele, ma è un grave errore. Vivere a Venezia, o semplicemente visitarla, significa innamorarsene e nel cuore non resta più posto per altro”.
Le ceneri di Peggy, per sua stessa volontà, sono sepolte in un angolo del giardino di Palazzo Venier dei Leoni, insieme a quelle dei suoi 14 fedeli cani.
Note biografiche sull’autore
Franco Sondrio nasce a Messina nel 1963 dove attualmente vive svolgendo la sua attività lavorativa a Catania. Compie gli studi superiori nella città dello Stretto, per poi laurearsi in Architettura presso l’Università Mediterranea di Reggio Calabria. Successivamente, consegue il titolo di Dottore di Ricerca presso la Facoltà d’Ingegneria dell’Università di Messina sviluppando una tesi su “La rappresentazione del paesaggio nelle opere di Antonello da Messina”. Ha svolto attività didattica presso la Facoltà di Architettura di R.C. ed è stato correlatore di numerose tesi di laurea negli ambiti del Restauro e della Storia dell’Architettura. É autore di saggi e articoli su libri e riviste scientifiche e, a tutt’oggi continua la sua attività di ricerca, con particolare riferimenti al corpus pittorico antonelliano, agli apparati prospettici quattrocenteschi, agli sviluppi artistici e architettonici di Messina a partire dall’epoca rinascimentale.