The Joshua Tree Tour, 1987-2017
E’ partito da Vancouver in Canada il tanto atteso “The Joshua Tree Tour” degli U2. L’evento messo in scena dalla band irlandese, celebra i trent’anni dall’uscita dell’omonimo album “The Joshua Tree”, del marzo 1987. Toccherà tante città in tutto il mondo, passando dagli stadi del Nord America fino ad arrivare a quelli di tutta Europa e sbarcherà a Roma il 15 e 16 luglio allo stadio Olimpico.
di Luigi Coluccia
Benché già autori di altri album, che avrei però scoperto solo più tardi, per me gli U2 nascono con The Joshua Tree. Ero poco più che un ragazzino irrequieto all’epoca e ricordo ancora, come fosse ieri, i sacrifici fatti per comperarne la musicassetta. Aveva la copertina a fisarmonica che conteneva tutte le “track” dell’album ed ha rappresentato il mio esordio nel mondo del rock. Io, che dal Sud depresso di un paese in pieno sviluppo economico e sociale, partivo alla scoperta del mondo insieme ai miei beniamini. Bono, con la sua voce potente, The Edge e quel suo inconfondibile balletto sulla gamba sinistra, Adam Clayton con quella sua calma compassata e lo scatenato Larry Mullen.
The Joshua Tree, se non è il più bello dei dischi della band di Dublino, è senza dubbio il più amato. Pubblicato nel 1987, ha venduto 25 milioni di copie e trasformato i quattro irlandesi in vere e proprie Popstar. Brani come Where the streets have no name – in questo video potrete ammirare la performance di Vancouver lo scorso 12 maggio, prima tappa del tour – e With or without you fanno parte della storia della musica. La prima canzone è stata ispirata dal viaggio in Etiopia che Bono fece assieme alla moglie a seguito del Live Aid; il titolo dato al brano venne spiegato dallo stesso Bono in un’intervista: “Una storia interessante che mi raccontarono una volta è che a Belfast, a seconda della via dove qualcuno abita si può stabilire, non solo la sua religione ma anche quanti soldi guadagna: addirittura a seconda del lato della strada dove vive, perché più si risale la collina più le case sono costose. Puoi quasi dire quanto guadagna uno dal nome della strada dove abita e su quale lato della strada ha la casa. Questo mi disse qualcosa, e così cominciai a scrivere di un posto dove le vie non hanno nome.”
La seconda invece, probabilmente la canzone più celebre degli U2, è una ballata il cui testo si presta a due diverse interpretazioni: la fine dolorosa di una storia d’amore ed una riflessione sulla religione. Durante il tour dell’87 inoltre è stato girato parte del documentario di Rattle and Hum, probabilmente il lavoro della definitiva consacrazione.
Il palco studiato per questo Tour è semplicissimo e diviso in due. Ce n’è uno più grande, sottile e lineare con il compito di supportare un gigantesco mega-schermo dalla forma ondulata, uno dei più grandi mai utilizzati per queste occasioni. Poi ce n’è uno più piccolo, che si trova a ridosso del pubblico, che è raggiungibile mediante una passerella. E’ proprio qui che all’inizio arriva senza farsi annunciare Larry Mullen e… tu tu tu splash, tu tu tu splash, inizia Sunday bloody sunday mentre anche gli altri componenti guadagnano le loro posizioni sul palco. A seguire, da Unforgettable fire, A sort of homecoming e poi ecco partire il vero tributo a The Joshua Tree con In the name of love, Where the streets have no name e Still haven’t found.
Uno nota dopo l’altra il concerto si concretizza in una forma molto semplice, essenziale. Soltanto alla fine, durante il tempo dedicato ai “bis”, Bono e gli U2 si concedono i consueti appelli alla solidarietà e al potere della democrazia. Bono fa cantare al pubblico la frase “The power of the people is so much stronger than the people in power”, che tradotto significa “il potere degli uomini è molto più forte degli uomini al potere”. Sullo schermo si alternano anche moltissime foto ritraenti figure femminili che hanno fatto tanto per i diritti dellle donne e fa un certo effetto vedere Rosa Parks o Patti Smith al fianco di Angela Merkel e Christine Lagarde, direttore del Fondo Monetario Internazionale.
In queste parole, si racchiude tutto il significato di questo prestigioso traguardo: “Recentemente ho ascoltato di nuovo a The Joshua Tree – ha detto Bono – “e mi è sembrato quasi un’opera lirica. Ci sono dentro tante emozioni che appaiono stranamente attuali: l’amore, la perdita, i sogni infranti, la ricerca dell’oblio. Dal vivo ho cantato molte volte alcune di queste canzoni, ma non tutte“. E infatti Trip through your wires e In God’s Country sono state eseguite molto di rado dal vivo dalla band”.
“Sembra che abbiamo chiuso il cerchio da quando le canzoni di The Joshua Tree sono state originariamente scritte – aggiunge il chitarrista The Edge – con lo sconvolgimento globale, il successo della politica della destra estrema e la messa a repentaglio di alcuni diritti umani fondamentali. Per celebrare l’album, dato che le canzoni sembrano oggi così rilevanti e quasi profetiche – abbiamo deciso di fare questi show“.
Gli anni sono passati veloci e la mia vita ha piano piano preso forma. Il ragazzo irrequieto di allora ha lasciato posto al posato adulto di oggi, ma la colonna sonora di questa faticosa trasformazione è senza dubbio stata scandita dalla musica della band irlandese. Trent’anni che sembrano volati senza lasciare traccia, ma poi la prima occasione utile riesce a sortire emozioni e sussulti apparentemente sopiti, che invece si riscoprono resistenti ed inalterati al passare del tempo. Alla metà di luglio, nella Roma che tanto amo, migliaia di voci grideranno al cielo, “With or without you, With or without you, I can’t live … With or without you”. Se presterete attenzione, tra le migliaia di voci, potrete distinguere la mia.
Gallery U2 in concerto