27 Febbraio 2018 By artevitae

Storie di Fotografie: Gabriele Basilico

Storie di fotografie oggi rende omaggio alla memoria di Gabriele Basilico,  scomparso proprio nel mese di febbraio del 2013.  Ce lo racconta attraverso la sua fotografia che ritrae l’architettura delle aree urbane e le trasformazioni del paesaggio contemporaneo, oggetto della sua ricerca fotografica, fino a quel momento mai esistita.

di Edmondo Di Loreto

Gabriele Basilico

Nel febbraio 2013 muore, a soli 69 anni, Gabriele Basilico, probabilmente uno dei fotografi di paesaggi urbani più conosciuti al mondo. Nato a Milano nel 1944, si laurea in architettura nel capoluogo lombardo nel ‘73, ma si dedica quasi subito alla fotografia.

Dopo un inizio rivolto all’indagine sociale, a cavallo fra gli anni ‘70 ed ‘80 l’influenza dei suoi studi in architettura si fa progressivamente spazio nella sua fotografia. Nel 1982 presenta il suo primo successo internazionale: Milano. Ritratti di fabbriche. Nel 1984 viene “arruolato” dal governo francese per la Mission Photographique de la DATAR, un progetto di documentazione della trasformazione del paesaggio. Basilico e’ l’unico italiano del gruppo di fotografi selezionati e gli viene assegnata la tematica “Bord de Mer”.

Nel 1991 prende parte ad un importante progetto sulla città di Beirut, uscita devastata da 15 anni di guerra civile.  Fra le rovine si muovono sei fotografi, incaricati di imprimere nella memoria lo sconquasso creato dal conflitto libanese. Oltre a Basilico ci sono Rene’ Burri, Robert Frank, Joseph Koudelka, Raymond Depardon e Fouad Elkoury.

Le fotografie scattate a Beirut segnano  la sua definitiva consacrazione internazionale. Da quel momento fin alla fine della sua carriera, interrottasi prematuramente nel 2013, il fotografo milanese realizza reportage su Berlino, Rio de Janeiro, Shangai, Istanbul, la Silicon Valley, Roma, le valli del Trentino, Mosca.

Ha pubblicato oltre sessanta libri fotografici personali, ricevuto numerosi premi internazionali e le sue fotografie sono state esposte in tutto il mondo.

Mi ero dato una specie di missione, testimoniare come lo spazio urbano si modifica. Oggi lo fanno in tanti, negli ultimi dieci anni e’ stato considerato il lavoro più artistico che ci sia, e non c’è città al mondo che non venga fotografata. Gabriele Basilico

La città di Basilico non è mai fatta di “immagini rubate”, come è nello stile dei reporter. Non è quella affollata di William Klein, che egli pure ha ammirato all’inizio della sua carriera. Non è quella raccontata dal fotografo italiano che ha considerato il suo primo maestro: Gianni Berengo Gardin. Basilico ha adottato invece quel modo analitico che segna la grande fotografia documentaria del Novecento, e che troviamo in Eugène Atget, Charles Marville, August Sander.

Un modo che è alla base dello sguardo aperto e democratico di Walker Evans, suo maestro, e caratterizza la metodicità concettuale di Bernd e Hilla Becher. Un modo sul quale hanno avuto influenza la fissità delle città disabitate di Giorgio De Chirico e l’attenzione alle volumetrie urbane delle periferie dipinte da Mario Sironi,  oppure il disegno dello spazio prospettico di Canaletto o Bellotto, tutti pittori che amava.

Nei suoi scatti è quasi del tutto assente la figura umana: “La fotografia d’architettura, nella grande tradizione, è sempre senza persone, non ci sono presenze umane perché distraggono dalla forma degli edifici e dello spazio”, racconta Basilico. “Tendo ad aspettare che non ci sia nessuno, perché la presenza di una sola persona enfatizza il vuoto e fa diventare un luogo ancora più vuoto. Mentre se lo fai vuoto e basta, allora diventa spazio metafisico, alla Sironi o alla Hopper”.

Le mostre e i libri di Gabriele Basilico costituiscono sempre un importante momento di riflessione sulla fotografia di paesaggio. La sua ricerca che spazia ben al di là dei confini della mera fotografia documentaria, è infatti un punto di riferimento obbligato per quanti oggi si occupano di fotografia e di urbanistica.

Basilico ha costruito così un metodo compatto e coerente, irrobustito da quel tornare e ritornare sui luoghi, quel continuo guardare e riguardare il paesaggio antropizzato che ha orientato quella vasta area della fotografia contemporanea che ha come vocazione l’osservazione del mondo in trasformazione.


Note biografiche sull’autore

Edmondo Di Loreto è nato a Roma nel 1956 e vive tra Puglia e Abruzzo. Fotografa, con passione ondivaga, dall’età di 7 anni. Ha viaggiato in tutto il mondo ed ha realizzato numerosi reportage. Nel 1994 ha vinto il concorso nazionale di foto-reportage Petrus World Report.  Nel 2004 ha ricevuto il gran premio della giuria al concorso del Touring Club Italiano sulle case rurali “Alta Definizione della campagna Italiana”.

Nel 2006 è stato uno dei 5 autori selezionati per il Premio Chatwin: Camminando per il mondo con due video, un racconto ed un portfolio fotografico sui popoli del fiume Omo in Etiopia, esposto a Genova presso il Museo del Castello d’Albertis. Con Elio Carrozza e Giovanni Torre ha promosso il progetto Anime Salve legato alla questione delle migrazioni che, con una mostra e due volumi fotografici, sta girando l’Italia. Ogni volta che può, promuove la fotografia in  ogni sua forma e significato.