2 Ottobre 2018 By artevitae

Storie di Fotografie. A Series of Unfortunate Events di Michael Wolf.

Protagonista della rubrica Storie di fotografie di oggi è un particolarissimo e contestatissimo progetto del fotografo tedesco Michael Wolf, “A Series of Unfortunate Events“, premiato con una menzione d’onore al World Press Photo nel 2011.

di Edmondo Di Loreto

Nel 2011, il World Press Photo assegna una menzione d’onore ad un progetto del fotografo tedesco Michael Wolf. Il progetto è molto particolare ed innovativo nel suo genere. Il fotografo tedesco infatti, passa letteralmente centinaia di ore di fronte al suo monitor, viaggiando virtualmente per il mondo, alla ricerca di qualcosa di strano e bizzarro, catturato dalle fameliche telecamereStreet View montate sulla parte superiore dei furgoni coordinati da Google Maps.

Quando trova un’immagine che si adatta al suo progetto, Wolf monta la propria macchina fotografica davanti allo schermo del suo personal computer, ritaglia la parte del fotogramma di Google che desidera riprendere e crea la propria immagine di quella foto.

L’ultima parte del lavoro, che Wolf ha intitolato “A Series of Unfortunate Events” – Una serie di sfortunati eventi – è composta interamente da immagini bizzarre che preludono a catastrofi personali in corso o in procinto di accadere, colte casualmente dalle telecamere automatiche dei furgoni itineranti di Google Street View in tutto il mondo.

I risultati sono spesso imbarazzanti e abbastanza sorprendenti, dirompenti e divertenti. Si passa da una persona colpita da infarto ad una donna che fa pipì, fino ad arrivare a due amanti che si baciano, insomma, sono tutti attimi che caratterizzano la nostra vita di tutti i giorni.

L’idea è innovativa e molto interessante, assomiglia ad un’immersione in una “discarica” di alta tecnologia piuttosto che alla selezione di cianfrusaglie in un mercatino delle pulci, alla ricerca di una gemma preziosa. Ma il mondo “legittimo” dei fotoreporter, si offende per quel premio e le polemiche fioccano copiose, come prevedibile.

Può davvero essere considerata fotografia documentaristica quella che è prima catturata per caso mentre si sta realizzando altro e poi ripresa da qualcuno che, incollato ad un computer in una stanza buia, sta setacciando fra migliaia e migliaia di immagini casuali e bizzarre?

Ebbene, questo progetto e il premio che ne è conseguito, hanno rivisitato e stravolto il concetto stesso di foto-giornalismo e di tutti quei valori ad esso annessi, universalmente riconosciuti come sacrosanti e di cui ormai sentiamo parlare quasi ogni giorno, come la privacy, l’appropriazione culturale indebita, l’esibizionismo e il voyeurismo.

Nel campo della fotografia, per l’effetto dovuto alla sua diffusione ormai abnorme, questi ultimi termini e temi sono  assolutamente attuali. Diverse e variegate le opinioni e le posizioni in merito, lo sappiamo benissimo.

Ma la questione, che è assai delicata, non è nuovissima: in realtà c’è sempre stata. L’idea di documentare ogni cosa su ogni strada del mondo infatti, potrebbe trovare la sua genesi nel progetto artistico “stunt-cool”, avviato da “Every Building on the Sunset Strip” del 1966 di Ed Ruscha, un libro di fotografie continue scattate entro 2 miglia e mezzo in un boulevard lungo 24 miglia.

Cosi come la scoperta delle prove da utilizzare nei processi attraverso i video di telecamere di sorveglianza a circuito chiuso è ancora più comune oggi di quanto non immaginato cupamente da George Orwell nel suo romanzo 1984 .

Insomma, il progetto di Wolf, così come molti altri suoi progetti, crea un pizzico di disagio voyeuristico simile a quello che si prova quando si guardano film come  Blow-Up di Antonioni o La finestra sul cortile di Hitchcock. Anche il mondo dell’arte è ricco di casi di appropriazioni del lavoro altrui, autoreferenzialità ed introspezione da “hall of mirrors”.

Quindi cosa è? Arte, appropriazione, sociologia visuale, giornalismo?

La serie di Wolf, decisamente di stampo concettuale, vuole ovviamente sollevare dubbi sui temi della privacy, riflettendo sul valore ed il ruolo stesso del fotografo. Stimola il pensiero e la discussione, con ripercussioni ben oltre la bizzarra nota di eventi sfortunati. Il mondo, così come oggi lo intendiamo e la nostra mancanza di privacy è cambiato, cambia e cambierà ancora. Che ci piaccia o no. E chi meglio di un ex fotoreporter intelligente per farlo notare?

Alla prossima, vostro, Ed.


Note biografiche sull’autore

Edmondo Di Loreto

Edmondo Di Loreto è nato a Roma nel 1956 e vive tra Puglia e Abruzzo. Fotografa, con passione ondivaga, dall’età di 7 anni. Ha viaggiato in tutto il mondo ed ha realizzato numerosi reportage. Nel 1994 ha vinto il concorso nazionale di foto-reportage Petrus World Report.  Nel 2004 ha ricevuto il gran premio della giuria al concorso del Touring Club Italiano sulle case rurali “Alta Definizione della campagna Italiana”.

Nel 2006 è stato uno dei 5 autori selezionati per il Premio Chatwin: Camminando per il mondo con due video, un racconto ed un portfolio fotografico sui popoli del fiume Omo in Etiopia, esposto a Genova presso il Museo del Castello d’Albertis. Con Elio Carrozza e Giovanni Torre ha promosso il progetto Anime Salve legato alla questione delle migrazioni che, con una mostra e due volumi fotografici, sta girando l’Italia. Ogni volta che può, promuove la fotografia in  ogni sua forma e significato.


[Ndr] Le immagini incluse in questo articolo sono state reperite in rete a puro titolo esplicativo e possono essere soggetti a copyright. L’intento di questo blog è solo didattico e informativo. Fonti: Internet ed un articolo di Jim Casper.