di Debora Focarino
“Rubens e la nascita del Barocco” è la mostra inaugurata a fine ottobre al Palazzo Reale di Milano. Prometteva meraviglie ed effettivamente, con più di 30 opere autografe di altissimo livello, ha superato le aspettative. E’ possibile visitarla fino al 26 febbraio, da non perdere. Buona lettura!
Pieter Paul Rubens viene raccontato mediante le influenze, ricevute e donate, dal nostro bel paese e dai grandi artisti che hanno contribuito, con innovazioni e incredibile talento, a segnare tappe fondamentali della storia dell’arte mondiale. Un artista fiammingo che arriva in Italia a soli 23 anni, restandovi per otto anni consecutivi e che viene colpito e condizionato dalla pittura dei grandi Maestri oggetto dei suoi studi, come, ad esempio, dalla luce tragica e dal pathos di Tintoretto; in mostra sono infatti messe a confronto il “Martirio di Sant’Orsola” del 1606 e “Cristo e l’adultera” del 1545-46 di Tintoretto (a destra).
Le suggestioni della pittura italiana continuano il racconto attraversol’ “Adorazione dei Pastori” del 1608 messa a confronto con l’”Adorazione dei pastori” o “Notte” di Correggio del 1528/30 (a destra), in cui il riferimento luministico è palesato davanti agli occhi del fruitore, come il colorismo veneto, la plasticità luminosa di Caravaggio nell’intensità del chiaro scuro, il movimento impetuoso dei manieristi e la grandiosità della statuaria classica.
Quest’opera infatti può essere definita come la summa di innumerevoli spunti forniti dall’arte italiana, uniti ad una cifra personale ed innovativa.
Ovviamente l’interesse di Rubens non si limita alla pittura, infatti a Roma si dedica allo studio della statuaria classica; in particolar modo resta folgorato dal “Torso del Belvedere”, scultura greca del 1°secolo a.c. di cui è presente un calco in gesso in mostra.
Il mondo classico rivoluziona la sua idea di figura, di proporzioni e di anatomia, tanto da diventare la base anche per la rappresentazione di temi sacri; santi e beati assumono un risalto plastico tale da trasformarsi in nuovi dei, eroi o gladiatori nell’arena. Questo periodo viene definito “Stile eroico” o “Santi come Eroi” proprio per questo particolare genere iconografico.
Ovviamente Rubens non si limita ad assimilare l’arte italiana, ma a sua volta la contamina e la influenza mediante il proprio stile e le proprie rivisitazioni personali. Sono infatti esposte una decina di opere di quelli che furono i suoi “seguaci”, protagonisti del nuovo barocco italiano comePietro da Cortona, Gian Lorenzo Bernini, Luca Giordano, Lanfranco e Giuseppe Nogari.
Molto interessante il confronto tra un’opera autografa del Maestro e la rivisitazione dei suoi allievi, come viene proposto in mostra con l’opera “Ercole strangola il leone di Nemea in piedi su un leopardo” del 1615-25 e“Sansone sbrana il leone” di Lanfranco del 1633-38 (a destra).
Oppure l’opera “Ercole nel giardino delle esperidi” del 1638 di Rubens, messa in relazione con “La punizione di Ercole” di Pietro da Cortona del 1635 e “Ercole dopo l’uccisione dell’Idra” del 1620 di Guido Reni.
È evidente come la personale reinterpretazione della statuaria ellenistica unita a tutto ciò che in otto anni Pieter Paul Rubens ha imparato, si riflettono, a tratti quasi pedissequamente, nei grandi artisti italiani della generazione successiva.
In una delle ultime sale espositive è presente un video in cui la curatrice della mostra Anna Lo Bianco completa l’esposizione rivelando Rubens attraverso tre opere simbolo della sua carriera e purtroppo non presenti nella mostra per diversi motivi. Ad esempio con l’opera “I quattro filosofi” del 1611- 1612, attualmente conservata nella Galleria Palatina di Palazzo Pitti a Firenze, estremamente fragile ed in un precario stato di conservazione, la curatrice racconta l’artista analizzando i significati simbolici, stilistici e la realizzazione del dipinto stesso. Segue la descrizione della grande Pala realizzata per i Gonzaga a Mantova “La famiglia Gonzaga in adorazione della Santissima Trinità” ,opera dapprima sparita, successivamente ritrovata smembrata, con delle parti tagliate e messe in vendita sul mercato separatamente, ora difficilmente trasportabile per problemi di conservazione.
La curatrice conclude con l’opera che decorava l’abside di Santa Maria in Vallicella a Roma, ora presente al Museo di Grenoble, spiegando che, verso la fine del 1607 mentre stava terminando l’opera, Rubens si accorse che la posizione del dipinto sull’altare attirava una luce eccessiva rendendo l’opera poco leggibile, per questo motivo lo ritirò e nel 1608 lo sostituì con tre dipinti su ardesia, materiale più adatto alla luce della chiesa, la “Madonna della Vallicella”, “I santi Gregorio, Papia e Mauro” e “I santi Domitilla, Nereo e Achilleo” .

La mostra propone un video, molto ben fatto, della durata di 10 minuti circa che consiglio vivamente di seguire,
In conclusione, l’impronta del tutto originale che si è voluta dare a questa mostra si è rivelata vincente, l’attenzione al “do ut des” tra l’Italia, i suoi artisti e Rubens, ha dato un taglio interessante a tutte le opere esposte; anche perché non ci si è limitati a didascalie con voli pindarici ed eruditi di storici dell’arte, ma sono state materialmente affiancate le opere, in modo che sia lo stesso fruitore a percepirne le similitudini, le influenze e le connessioni.
Piccolo aneddoto curioso, nella quarta o quinta sala è esposto “il compianto sul Cristo Morto” del 1601, fermatevi a notare i 10 cm di bordo perimetrale lungo tutto il film pittorico, lasciato volutamente sporco. Probabilmente l’opera era talmente compromessa che in sede di restauro, in seguito alle prove di pulitura, si è scelto di lasciare una traccia (assolutamente non invasiva ma molto esplicativa) dello stato diconservazione della pellicola pittorica prima dell’intervento.
L’ excursus su Rubens si conclude con un omaggio: “L’allegoria della pace” di Luca Giordano del 1682-83 che chiude l’esposizione come fosse un tributo al grande Maestro, a dimostrazione di quanto ancora, alla fine del secolo, Pieter Paul Rubens resta un riferimento stilistico, formale e iconografico per tutti gli artisti delle successive generazioni, rendendo questo pittore straordinario un’icona immortale.
Note biografiche sull’autrice
Debora Focarino nasce a Milano nel settembre del 1979, dove tutt’ora vive. La passione per l’arte e la pittura l’accompagna da tutta la vita ed è una costante così radicata che ne ha fatto un mestiere. Diplomatasi all’Accademia Italiana del Restauro e conseguito il titolo post biennio specialistico in restauro tele,tavole e ceramica; inizia il suo percorso lavorativo frequentando i più importanti Atelier milanesi. Arriva il momento in cui decide di aprire il proprio laboratorio e contestualmente inizia il percorso di studi per diventare Perito d’arte, raggiungendo con successo lo scopo effettuando l’esame nel 2009 ed entrando a pieno titolo nelle liste degli esperti del Collegio Lombardo Periti Esperti Consulenti, collaborando anche col Tribunale di Milano. La sua formazione ibrida a metà tra il tecnico restauratore e il perito storico dell’arte, la rende una professionista completa e competente; nonostante ciò non smette mai di aggiornarsi, studiare e affrontare nuove sfide perché c’è sempre qualcosa in più da fare, capire, conoscere per continuare a godere della meraviglia delle cose.
https://www.facebook.com/deborafocarino/
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