17 Ottobre 2018 By Luigi Coluccia

Roza Vulf, una Street Photography introspettiva e concettuale.

Per la rubrica Digressioni sulla fotografia, curata da Luigi Coluccia, in copertina oggi c’è Roza Vulf. Nel consueto appuntamento dedicato all’approfondimento dei nostri autori, ne racconteremo la storia e la fotografia.

di Luigi Coluccia

Roza Nasce in Lituania nel 1960. Studia lingue e letteratura russa all’Università di Vilnius, è stata un’imprenditrice e ha vissuto per quasi un decennio in Germania prima di trasferirsi a Roma, dove risiede attualmente. E’ nell’età dell’adolescenza che forma la sua personalità ed è proprio in quel periodo che matura quelle idee che l’accompagneranno per tutta la vita, quella personale visione delle cose, i suoi principi e le sue attitudini.

E in quel periodo che si racchiude il senso stesso della mia vita. –RV

La sua fotografia è nota per essere libera da qualsiasi restrizione e non appartiene solo ad un singolo genere fotografico, ma è caratterizzata dalla fortissima enfasi riposta nel soggetto ripreso.

I suoi lavori fotografici sono presenti in un gran numero di pubblicazioni e piattaforme fotografiche come LensCulture, The Guardian, My Modern Met, National Geographic Your Shot e Fotopolis. Molti dei suoi lavori hanno ricevuto riconoscimenti e premi in numerosi concorsi internazionali e sono stati in mostra in tutto il mondo. E’ membro del collettivo OnEdgeStreet.

Roza ha due figli, a cui inevitabilmente ha trasmesso il suo modo di sentire le cose, che oggi sono i suoi più grandi sostenitori, essendo anch’essi molto creativi e talentuosi nel loro ambito lavorativo.

La loro opinione sul mio lavoro per me conta moltissimo, indipendentemente da quanto possa essere dura. –RV

LC: Se dovessi descriverti, quali sarebbero le parole che pensi potrebbero rappresentarti al meglio e perché? Se invece questo esercizio fosse chiesto a chi ti conosce bene, quali pensi userebbe?

RV: Credo che se chiedessi di fare questo esercizio alla mia famiglia piuttosto che alla cerchia più ristretta di amici, avrei come risultato una lunga serie di battute divertenti ed aneddoti esilaranti. Alla fine però sono certa che tutti convergeremmo su alcune peculiarità che più di altre mi rappresentano, sono molto determinata ma al tempo stesso vivo anche di dubbi. Chi non ha dubbi mai è perduto! Sono estremamente sensibile ma forte, sono solidale con chi ha bisogno e anche molto impegnata nel sociale. Credo che tutto questo faccia di me anche una persona onesta.

LC: Senza ombra di dubbio. Ma veniamo ora alla fotografia: come è nata in te questa passione? E’ qualcosa che hai respirato nell’ambiente familiare o è piuttosto legata al tuo background artistico?

RV: Non ritengo di avere uno specifico background artistico e sono una fotografa autodidatta. Senza ombra di dubbio, la mia sensibilità per le arti e la fotografia sono un retaggio familiare. Mio padre era un intellettuale e fin da bambina mi ha guidata alla scoperta del mondo dell’arte, della letteratura e della fotografia. Ricordo con estremo piacere ed anche un pizzico di nostalgia i momenti passati insieme a leggere e guardare i libri di arte e fotografia, esplorando e comprendendo il significato di dipinti o fotografie.

Era solito documentare tutte le attività di famiglia con la sua fotocamera e videocamera, per cui per me lo strumento tecnico è sempre stato familiare. Ho poi cercato sempre di rimanere al passo con la tecnologia crescendo, tenendo sempre aperta la mente ai diversi tipi di espressione artistica e fotografica.

LC: C’è un evento particolare piuttosto che un momento specifico in cui si è innescata la scintilla che ha fatto nascere in te la passione per la fotografia? Ricordi quando è successo?

RV: Sarebbe difficile ricordare e collocare l’esplosione di questa passione in uno specifico momento, perché in realtà ho sempre avuto una speciale connessione con il mondo della fotografia come detto. Però, ricordo bene come momento di massima ispirazione quello coincidente con uno stage con alcuni giornali locali a Vilnius e la contestuale realizzazione di un film che stavo girando usando telecamere “Smena” e “Zenit”.

Ma la vita, come sappiamo bene, a volte fa dei giri strani. Proprio in quel periodo infatti mi sono sposata e successivamente sono diventata mamma ed è quindi sopraggiunta la necessità di avere una fonte di guadagno affidabile e sicura. Mi sono così ritrovata a dover lavorare e studiare contemporaneamente tanto che il tempo da dedicare alla fotografia non c’era più, era svanito. Ho però fotografato i miei figli in tutte le loro fasi di crescita e la mia famiglia, sviluppando da sola tutte le fotografie. Cosa volere di più?

Come tutti, sono passata poi alla fotografia digitale subito dopo il suo avvento sul mercato, continuando a documentare i miei viaggi e la mia vita familiare. Otto anni fa mi sono trasferita a Roma e finalmente nella capitale ho avuto l’opportunità di dedicare gran parte del mio tempo libero nuovamente alla fotografia.

Come disse una volta Dorothea Lange: “Non è accidentalmente che un fotografo diventa un fotografo, come un domatore di leoni diventa domatore di leoni.”.
Ebbene, io non sono diventata una domatrice di leoni.

La fotografia di Roza è sempre stata per me fonte di grande ispirazione, ho sempre trovato straordinaria la sua capacità di sintesi. La sua è una fotografia essenziale, senza fronzoli, nella quale c’è tutto ciò che ci deve essere, nulla di meno, nulla di più. Mi viene da dire quasi l’equivalente della fotografia di sottrazione che usiamo molto nella nostra fotografia d’architettura minimalista.

Nel lavoro di Roza però c’è una ricerca istintiva, più una relazione del tutto personale con il tessuto connettivo della società che racconta. Una fotografia che non ha bisogno di didascalie e frasi d’autore. Parla da sé e nasconde un mondo interiore che fa di Roza una delle autrici più apprezzate nel suo genere.

LC: Sono rimasto molto impressionato da molti dei tuoi lavori, “Illuminated”, “Human Traces” e “Under: Rome” più di tutti. Vorresti dirci qualcosa su ognuno di loro? Come ti è venuta l’idea di realizzarli? Cosa intendi comunicare attraverso di essi? Cosa hanno lasciato in te?

RV: Con molto piacere Gigi. Tutti e tre i progetti sono strettamente legati a Roma e all’Italia e sono nati in modo molto naturale. Sono stati realizzati lavorando molto sulla luce, sul colore e sulle molteplici espressioni emotive che sono riuscita a distinguere. Tutti e tre hanno come soggetti le persone e la condizione umana in genere, sebbene ripresa in circostanze diverse. Alcuni dei progetti sono più metaforici, altri meno.

“Illuminated” credo sia stato per me inevitabile, la luce infatti a Roma, specialmente in primavera, è molto particolare. I caldi colori gialli degli edifici e le sfumature creano un fantastico contrasto, in cui è la stessa luce a suggerire i fotogrammi da realizzare. Si creano alchimie pazzesche in quei momenti in cui sorprendenti espressioni facciali, gesti o sagome di uomini vengono improvvisamente illuminati dalla luce anche solo per un secondo, in una strada stretta. In quei momenti dico a me stessa, ecco, questo è ciò che la luce voleva mostrarmi.

“Human Traces” è nato dal mio amore per le spiagge fuori stagione. La loro tonalità grigiastra e le persone sole mi fanno provare malinconia, un sentimento che ha il potere di schiarirmi le idee. Ricordo di una volta in cui, arrivata in spiaggia subito dopo la tempesta, l’ho trovata desolata ma animata da tantissimi oggetti diversi tra loro che risultavano essere molto distanti rispetto a quella che è la loro naturale collocazione,  svolazzavano per tutta la spiaggia, nella sabbia scura. Il mare inoltre, aveva restituito alla terra ciò che gli uomini a loro volta gli avevano affidato incautamente. Era abbastanza sorprendente e significativo tutto questo per me.

Huma Traces

Quando Roza mi ha raccontato di questo suo lavoro, mi ha colpito molto una cosa: il fatto che per ognuno di quegli oggetti, avesse sentito forte la voglia di conoscerne la storia. Era come animata dalla voglia irrefrenabile di raccogliere quante più informazioni possibili su ognuno di essi,  così come su ciascuna delle persone che le avevano possedute. Invece poteva solo immaginare le sensazioni di felicità o disperazione, la gioia o la tristezza legate ad ognuno di essi. Uno stivale invernale, il tubo di una doccia, un ultimo addio scritto, una bambola, un libro, una bottiglia e tanti pezzi colorati di plastica di diverse forme e dimensioni, ognuno con la sua storia da raccontare!

Per ognuno di essi, vedevo una persona. In quel momento mi chiesi se è proprio quello il modo in cui tutti noi dovremmo comunicare e condividere le nostre storie, attraverso gli oggetti che ci sono appartenuti.

“Under: Rome” è un altro progetto ineludibile per chi vive la Capitale, su cui continuerò a lavorare per tutto il tempo che avrò il privilegio di viverci. Lo spazio limitato dell’ambiente sotterraneo e la luce speciale che vi alberga, offrono infinite scenografie quasi cinematografiche che regalano grandi emozioni, espressione di due concetti agli antipodi: separazione e unione. Si tratta della condizione umana tipica delle grandi città.

LC: Prendendo spunto dai lavori di cui abbiamo appena parlato e dal modo in cui li hai concepiti, sviluppati e portati a termine, come descriveresti il tuo approccio alla fotografia? Lo vedi più come un’indagine sociologica sulle persone che vivono il loro tempo o piuttosto come una forma di ricerca introspettiva che però prende vita dal mondo esterno e dalla società che ci circonda?

RV: Non credo sia facile separare la mia fotografia dalla ricerca sociologica ed antropologica del mondo che mi circonda, oltre che da una profonda ricerca introspettiva. Tutti questi aspetti confluiscono inevitabilmente nel mio approccio alla fotografia. Non credo infatti ci sia modo per noi di sfuggire alla nostra presenza emotiva mentre stiamo elaborando un processo creativo. Ogni singola foto, contiene un pezzo di me. In una certa misura, tutto il mio lavoro parla di me, del mio pensiero, del mio essere.

Il modo in cui Roza vede il mondo che la circonda e approccia le persone e le cose è per me molto coinvolgente, originale ed accattivante al tempo stesso. Lo ritrovo tutto nella sua fotografia, così come riesco a rilevare in essa tutti i valori profondi di cui è intrisa la sua vita. Questa profondità d’animo, questa prontezza di spirito, arricchiscono la sua creatività ponendola nella migliore condizione di stupire, se stessa in primis e tutti noi, suoi grandi estimatori, a seguire. Una fotografia delle emozioni di strada la sua, dai ricchi contenuti e dai risvolti sempre imprevedibili.

LC: Pensi mai alle sensazioni suscitate in chi fruisce dei tuoi lavori fotografici? Quali sono quelle che ti piacerebbe fa scaturire in loro?

RV: No, in effetti non ci ho mai pensato. Faccio affidamento sulla forza comunicativa del mio lavoro, cui demando il compito di provocare qualcosa nella mente dello spettatore, che potrà essere di natura soggettiva piuttosto che oggettiva. Mi auguro inoltre che lo spettatore possa sentire forte il mio amore per i soggetti ripresi nei miei scatti, dato che io arrivo ad amarli infinitamente.

LC: Hai dei punti di riferimento che ti hanno aiutato a determinare la tua cifra stilistica? Qual è la tua principale ispirazione quando esci per uno shooting?

RV: Non ho e non ho mai avuto punti di riferimento in particolare. La mia più grande fonte di ispirazione, che poi ha determinato anche il mio modo di fotografare è la strada. La mia è sempre stata una scelta istintiva fin dall’inizio. Catturare scene reali dalla vita di tutti i giorni è ormai diventata come una seconda natura per me e solo l’idea di ricreare una scena mettendo in posa i soggetti mi sembrerebbe finta e obsoleta in relazione al mio lavoro attuale.

Anche se non escludo che un giorno potrei anche decidere di approfondire questo genere fotografico. In strada sono attratta dalle migliaia di sollecitazioni visive cui sono sottoposta, un riflesso, una luce, una geometria, qualche espressione facciale, vento nei capelli di qualcuno, una posa incorniciata dal colore, in altre parole – un sentimento. È essenziale camminare per le strade sempre in guardia, pronti all’imprevisto, per coglierlo nel momento in cui succederà.

LC: Quali sono i tuoi soggetti preferiti e come li scegli? Ti lasci ispirare da ciò che vedi o piuttosto studi e ricerchi in precedenza i luoghi in cui puoi trovare la tua ispirazione?

RV: Nella fotografia in genere, ma in special modo in quella di strada, vediamo solo ciò che siamo pronti a vedere, ciò che la nostra mente può elaborare in quel particolare momento. Quindi mi lascio guidare dal mio istinto, dalle mie sensazioni. Di solito per me non è molto importante il luogo in cui fotografo, a meno che non stia lavorando ad un progetto specifico. Ma alcuni luoghi, come le metropolitane di Roma o le spiagge italiane fuori stagione, città come Londra o New York, sono per me fonti d’ispirazione eccezionali.

LC: Il tuo stile fotografico è cambiato negli anni? Se sì, come?

RV: Non mi sento mai a mio agio quando si parla di stile fotografico. Forse è proprio il concetto che esprime a non piacermi, lo trovo limitante. Dicono sia importante essere riconoscibili attraverso la propria cifra stilistica, ma io amo esprimere il mio punto di vista in maniera sempre diversa, seguendo quello che è il mio stato d’animo. Forse però sarebbe più corretto dire che mi trovo in una vera e propria fase di evoluzione personale.

LC: Che tipo di fotocamere, obiettivi e apparecchiature utilizzi per realizzare la tua fotografia?

RV: Da qualche anno uso una Leica M240 con obiettivo 35mm. Non sono un grande fan degli obiettivi ad angolo più ampio perché non mi piace la distorsione che di solito imprimono al fotogramma. Prima invece utilizzavo una Fuji x100s, sempre con un’ottica fissa da 23 mm, che nel mezzo formato equivarrebbe ad un a 35 mm. A dirla tutta, non do particolare importanza all’attrezzatura utilizzata, mi basta sentirmici a mio agio.

LC: In conclusione, è evidente che metti molta passione in quello che fai, emerge dalle tue parole, dal tuo lavoro. Cosa consiglieresti quindi alle persone che desiderano avvicinarsi alla fotografia? Che cosa hai imparato dalla tua esperienza che potrebbe servire loro?

RV: Non vorrei sembrasse una cosa scontata, ma ritengo sia di vitale importanza essere sempre sinceri con se stessi, animati dalla voglia di imparare, rimanendo sempre coerenti. A tal proposito mi vengono alla mente le parole di Nietzsche: “Ho appena letto Schopenhauer, ora devo liberarmi di lui”. Non permettete mai a nessuno di mettersi tra voi e la vostra visione, ecco, questa credo sia una buona regola da seguire.

L’esercizio poi, ritengo sia molto importante, così come sperimentare, provare. Non è ciò che ti farà ottenere il tuo risultato finale, ma ciò che ti farà sentire a tuo agio mentre lo realizzi. Io personalmente imparo e pratico la fotografia ogni giorno, ma la cosa più importante è che mi gratifica profondamente farlo. Si incontreranno molti ostacoli lungo il percorso, si avranno molti dubbi sulla sua bontà, sarà normale. Ma chi fa fotografia, è fortunato per aver trovato questo come mezzo di comunicazione. Poi, come per qualsiasi tipo di arte, è necessario investire molta passione e determinazione per ottenere un risultato soddisfacente.

LC: Roza, a me non resta che ringraziarti per la tua gentile disponibilità e per averci permesso di conoscerti meglio. Ti auguriamo ogni bene, buona luce.
RV: Grazie a te e a tutti voi per questa opportunità, un saluto a tutti i lettori di ArteVitae.

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[Ndr]: Tutte le immagini contenute in questo articolo sono coperte dal diritto d’autore e sono state gentilmente concesse da © Roza Vulf  ad ArteVitae per la realizzazione di quest’articolo.


Note biografiche sull’Autore

 Gigi, salentino di nascita e romano d’adozione, intraprende il percorso di laurea in Economia Bancaria e successivamente abbraccia la carriera militare. Alterna la passione per l’economia e la letteratura, ereditata dal nonno, a quella per la fotografia che coltiva da tempo, applicandosi in diversi generi fotografici, prima di approdare alla fotografia di architettura e minimalismo urbano in cui trova espressione la sua vena creativa. 

Dotato di personalità votata alla concretezza e con uno spiccato orientamento alla cultura del fare,  Gigi intuisce le potenzialità aggreganti della fotografia unite alla possibilità di condivisione offerte dal Social e fonda il Gruppo ArchiMinimal Photography attraverso il quale riesce a catalizzare l’attenzione di tanti utenti italiani e stranieri attorno ad progetto di più ampio respiro che aggrega una nutrita comunità attiva di foto-amatori. Impegnato nella promozione e nella divulgazione della cultura fotografica, crea il magazine ArteVitae, progetto editoriale derivato dal successo della community social, per il quale scrive monografie ed approfondimenti sugli autori fotografici e cura la rubrica Digressioni sulla Fotografia, ricercando nel panorama fotografico contemporaneo,  personaggi e spunti di interesse di cui parlare.