Che fine ha fatto la riconoscenza?
Il Borghese propone oggi una riflessione sulla riconoscenza, un valore sociale fra i più antichi e nobili che nella nostra epoca sembra invece essere caduto in disuso.
di Giulio Borghese

Il Borghese
Scusate l’assenza, ma ci sono periodi davvero infernali. Roma poi, deve essersi accorta di questo mio stato d’animo perché ci sta mettendo anche del suo per mettermi ancor più di cattivo umore. Ma veniamo a noi. Non è l’attualità che mi spinge oggi a fare questa riflessione, piuttosto un film che ho rivisto con piacere ultimamente, “A beautiful mind”.
La pellicola in questione deve aver acceso in me un pensiero che già mi assaliva da giorni. Un pensiero che angoscia e mette in agitazione uno stato d’animo già messo alla prova da diverse cocenti delusioni. Nel suddetto film si narra la vicenda di John Nash, premio Nobel per l’economia, intensamente interpretato dall’attore Russel Crowe. Lo scienziato ha enunciato la celebre teoria dei giochi: si tratta di un modello matematico per lo studio delle ‘situazioni competitive’, in cui sono presenti più persone che debbano prendere decisioni interagendo tra loro, pur avendo interessi contrastanti. Il gioco può essere cooperante o non cooperante, a seconda che si tenga conto o meno delle scelte degli altri giocatori per decidere quale sia l’azione giusta per ottenere il miglior risultato. Da brillante matematico, Nash aveva intuito che il miglior risultato si ottiene quando ogni componente del gruppo fa ciò che è meglio per sé ed allo stesso tempo, per il gruppo.
Affetto da schizofrenia paranoide – con la quale lui e la sua famiglia dovettero convivere per decenni – Nash muore nel 2015 insieme alla moglie in un incidente stradale in New Jersey.
La mente brillante e tormentata del matematico statunitense aveva intuito che il bene comune, nel suo massimo intendimento si raggiunge se oltre ad agire nel proprio interesse, lo si fa anche nell’interesse degli altri, quasi come accade in una visione sistemica. Ogni azione del singolo infatti, che sia essa positiva o negativa, si ripercuoterà inevitabilmente sulla categoria cui egli appartiene. L’attività di ognuno di noi viene nutrita dal reciproco appoggio di tutta l’equipe con cui si misura ma viene danneggiata dall’ostruzionismo che in essa può albergare.
Si diceva delle delusioni, sentimenti negativi che da sempre inquinano i nostri pensieri più reconditi. Quelle poi dovute a sentimenti ignobili come l’ingratitudine, proprio non le sopporto. Mi sono sempre chiesto, nel corso della vita, quanto debba essere duraturo questo sentimento. Per me la riconoscenza e la gratitudine sono per la vita!
A che ci fa del bene, o anche solo ci rivolge il gesto di una buona azione, bisognerebbe portare gratitudine per sempre, quand’anche avessimo già saldato abbondantemente il nostro debito di riconoscenza nei suoi confronti. Questo perché ritengo che aiutare qualcuno non è mai un atto dovuto, ma qualcosa che si fa spontaneamente, senza pensarci, senza avere necessariamente un tornaconto personale. Per cui rimane un gesto fuori dal tempo.
L’ingratitudine e la riconoscenza sono tratti salienti degli intricati rapporti umani. L’una è prova di arroganza e disprezzo, l’altra di amicizia indissolubile. Se l’ingratitudine evoca i motivi del tradimento, la riconoscenza sancisce la benevolenza verso chi ci ha aiutato, spesso senza chiedere nulla in cambio.
Oggi il dissolversi delle buone maniere evidenzia il logoramento delle più elementari consuetudini relazionali. Si è ingrati senza più accorgersene, si è riconoscenti quanto basta per ottenere favori, all’insegna dei più impliciti rapporti di scambio.
Mi è capitato spesso ultimamente di riflettere sui temi del riconoscimento, della riconoscenza e della gratitudine. Termini che in realtà possiamo vedere come un tema unico.
Il riconoscimento è la capacità di riconoscere le doti di una persona, la riconoscenza è onorare ciò che si riceve da qualcuno, con la conseguente gratitudine verso chi ci ha fatto del bene e motiva o dovrebbe motivare alla restituzione.
Come molti, ho avuto a che fare con la mancanza di riconoscimento e l’ingratitudine, dovuta a mio parere soprattutto a ottusità, mancanza di professionalità, paura di allargare i confini del proprio orticello, invidia. Ho avuto modo di costatare che molte persone necessitano di sviluppare l’attitudine al riconoscimento e alla riconoscenza.
Non ho l’ambizione di cambiare le sorti del mondo e di queste tristi abitudini, ma solo la volontà di condannare con forza questi sentimenti che annientano ed annichiliscono l’animo umano di chi li subisce.
Buona giornata a tutti, vostro Giulio.