REM KOOLHAAS, UNA PERSONALITA’ POLIEDRICA – Prima parte
Rem Koolhaas è tra i più influenti, e forse discussi, liberi pensatori e teorici dell’architettura moderna.
Concetti come ‘città’, ‘strada’, ‘identità’ e ‘architettura’ appartengono al passato. Il passato è troppo piccolo per poterci vivere dentro. Rem Koolhaas
La cifra stilistica di Rem Koolhaas non è mai troppo definibile, non ha un unico fil rouge riconoscibile, lui stesso non si definisce decostruttivista, anche se è uno dei padri fondatori di questa corrente. [https://www.giusybaffi.com/decostruttivismo-architettura-spazio-in-evoluzione/]
A volte guarda, pur con un occhio nuovo, al razionalismo modernista come nel caso di Villa dall’Ava, altre volte al decostruttivismo, con l’eliminazione totale delle linee ortogonali.
La sua architettura si basa essenzialmente su elementi plastici, frazionamenti, rotture dello spazio, in una sorta di visione spaziale.
Nelle sue opere Rem Koolhaas concede nulla al dettaglio architettonico, le finiture devono essere rozze, l’illuminazione derivata da quella industriale. L’architettura, per lui, deve essere in funzione all’idea da cui è stata generata.
Rem Koolhaas nasce a Rotterdam nel 1944, nel 1968 si iscrive alla Architecture Association School a Londra. Nel 1972 riceve una Harkness Fellowship per fare ricerca negli Stati Uniti. Studia con O. M. Ungers alla Cornell University per un anno, e nello stesso periodo diventa visiting professor all’Institute for Architecture and Urban Studies a New York.
Nel 1975 fonda a Londra lo studio Office for Metropolitan Architecture (OMA), insieme a Madelon Vriesendorp, Elia e Zoe Zenghelis nel quale iniziano a lavorare, giovanissimi, futuri grandi architetti come Zaha Hadid, Winy Maas di MVRDV, Kunlé Adeyemi e Bjarke Ingels. Da allora tutti i progetti di Rem Koolhaas portano la firma dello studio OMA.

Studio OMA 1975, al centro Rem Koolhaas, sullo sfondo a sinistra una giovanissima Zaha Hadid ©OMA
Rem Koolhaas è una persona i cui interessi spaziano dallo studio di nuove forme del vivere comune nelle città occidentali, dall’attrazione per la modernità (espressi ad esempio nel suo fondamentale saggio Delirious New York), alla danza, al teatro, alle arti visive, alle molte culture “esotiche” che popolano le città portuali come Rotterdam, la sua città natale.
Nel 1978 scrive il suo saggio “Delirious New York” da lui descritto come un “manifesto retroattivo per Manhattan”.
In questo saggio Koolhaas racconta di come, nonostante una mancata pianificazione urbana di tutta l’area urbana di Manhattan, il tutto abbia dato forma ad una contemporaneità di sofisticata bellezza, mai raggiunta dagli architetti del Movimento Moderno con le loro utopie metropolitane di cui il grattacielo, tipico dell’edilizia di Manhattan, ne è infatti l’antitesi.

Delirious New York © OMA
Riprendendo quindi lo spunto da una visione originale di Manhattan con una sua trasformazione in senso fantastico, Koolhaas si pone come obiettivo di innestare su una metropoli esistente e dequalificata una riorganizzazione con degli edifici che possano trasformarsi in icone anche dal punto di vista visivo.
Immagina di dividere Manhattan con una griglia ortogonale in cui ciascuno isolato ha un edificio iconico con delle forme differenziate in modo che ogni quartiere possa avere una sua identità ben definita.
Da questo concetto di Bigness deriva tutta la sua architettura, per Koolhaas un edificio non deve relazionarsi al suo contesto ma deve, per la sua originalità e per la sua forma caratteristica, diventare un elemento di punta del costrutto urbano e catalizzare l’attenzione trasformandosi in un’icona che caratterizza il quartiere.
In questo modo assurge al concetto rivoluzionario Fuck the contest, dove l’edificio deve imporsi per se stesso e per le sue qualità intrinseche sia nelle dimensioni che nelle visioni utopiche.

Rem Koolhaas
«New York è riuscita a produrre la cultura della congestione e, inoltre, è riuscita a esprimere la tecnologia del fantastico, un ideale che forse ha poco a che vedere con le regole della composizione architettonica ma che, in effetti, riesce a produrre manufatti edilizi certamente non meno interessanti di quelli che escono dalle accademie, vecchie o nuove, delle nostre scuole di architettura.» Rem Koolhaas
Rem Koolhaas mette in pratica la teoria denunciata in Delirous New York con il progetto di Villa dall’Ava (1985-1991) a Saint Cloud situata nella periferia Ovest di Parigi.
Commissionata per far coincidere l’esigenza di un edificio che contenesse due appartamenti distinti, uno per i genitori e l’altro per la figlia, la casa doveva essere leggera sopra il terreno, con una promenade interna e fortemente permeabile alla luce del sole e con un requisito fondamentale: una piscina sul tetto da cui poter ammirare in lontananza la Tour Eiffel.

Villa dall’Ava – Rem Koolhaas OMA – 1985-1991
In questa “casa-manifesto” è evidente il rimando alla Villa Savoye a Poissy di Le Corbusier. Come nella Villa Savoye, Villa dall’Ava è sorretta da esili pilotis, ma questa volta inclinati, la facciata è ritmata da finestre a nastro, la pianta libera è coperta da un tetto giardino.

Villa Savoye – Le Corbusier – 1931
Come a Poissy un camminamento inclinato distribuisce gli ambienti interni, ma a differenza della Villa Savoye il percorso non ricrea una ideale continuità tra interno ed esterno, ma unisce trasversalmente i due distinti appartamenti.
I volumi sospesi su elementi a piano terra sono completamente vetrati (argomento al quale ritorna spesso) dando la sensazione di una costruzione galleggiante.
A differenza di Le Corbusier, Koolhaas introduce materiali poveri come le lamiere, in una sorta di rifiuto dell’architettura aulica del razionalismo e introduce una dinamicità che Le Corbusier non aveva, dinamicità percepibile nelle varie parti dell’edificio dove si hanno sempre delle angolazioni visive completamente diverse, nella concezione tipica del decostruttivismo.
Nel 1994 Rem Koolhaas, firmando sempre come studio OMA, viene incaricato di progettare un’abitazione a misura del padrone di casa, rimasto paralizzato a causa di un grave incidente stradale.
Contrariamente all’idea di un’abitazione a un solo piano, Koolhaas propone la Maison à Bordeaux, una casa a tre livelli. Il piano terra, semi-scavato nella collina, ospita la cucina e la sala televisione, le camere sono al piano superiore. Al centro dei due livelli si trova il soggiorno completamente vetrato da cui si può ammirare la valle del fiume Garonna e lo skyline di Bordeaux.

Casa Bordeaux progetto – Bordeaux Rem Koolhaas OMA 1994 ©OMA
Per accedere a tutti i livelli in sedia a rotelle, Koolhaas ha proposto una piattaforma elevatrice 3×3,5m che si muove liberamente in verticale tra i tre piani, diventando parte della zona giorno, della cucina o trasformandosi in un intimo spazio ufficio e garantendo l’accesso ai libri posti su scaffali in policarbonato che si estendono dal piano terra fino alla parte superiore della casa, alle opere d’arte e alla cantina. In pratica un cuore meccanico, una stanza mobile arredata come luogo di lavoro che scorre nello spazio centrale di tutta la casa.

Casa Bordeaux interno – Bordeaux Rem Koolhaas OMA 1994
Altre piattaforme si muovono in orizzontale scoprendo di volta in volta la vista sul fiume Garonna, sul cielo o sulle colline di Bordeaux.
[…] continua
Rif.: www.archdaily.com www.theguardian.com
Bibliografia:
Rem Koolhaas, Elements of Architecture – Taschen
Rem Koolhaas and Bruce Mau, S, M, L, XL – The Monacelli Press
Roberto Gargiani, REM KOOLHAAS/OMA – Editore Laterza
A.A.AV.V. Editoriale Domus
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Note biografiche sull’autrice:
Giusy Baffi si occupa di antiquariato con la qualifica di perito d’arte nell’ambito di arredi antichi, ha collaborato con diverse testate di settore scrivendo numerosi articoli inerenti l’antiquariato e con una sua rubrica mensile dal titolo “L’esperto risponde”. Il suo interesse è l’Arte a tutto tondo. Ha al suo attivo la pubblicazione di due libri.
La sua passione è la fotografia, ha vinto il concorso fotografico Unicredit/Corriere della Sera 2013, le sue foto sono state pubblicate su prestigiose riviste e quotidiani anche internazionali, sul libro “E poi la luce” edizioni Fioranna, su calendari animalisti e su alcuni siti professionali. Le sue foto sono state presentate ad una mostra personale e a diverse mostre fotografiche collettive nazionali, alla mostra itinerante “Come look my town” organizzata dal gruppo Archiminimal che in 10 mesi ha toccato le più prestigiose piazze italiane, a mostre internazionali ad Amsterdam, Copenhagen, Berlino, Barcellona, Atene, Vienna, Belgrado, Lisbona, al MIA Photo Fair di Milano 2018 e al MIA Photo Fair di MIlano 2019, MIA Photo Fair 2020 (attualmente sospesa). Sempre nel 2020 una sua foto è stata selezionata per la mostra Humans in Architecture del gruppo Archiminimal a Roma è risultata finalista al Concorso Siena International Photo Awards 2020, terza classificata al Prix de la Photographie Paris 2020.