20 Novembre 2019 By Giulio Borghese

Recessione e politica monetaria – Spazio Economia

Solo una politica monetaria più espansiva potrebbe garantire il superamento del rischio recessione nell’Eurozona.

Lucia Morselli, l’ad di Arcelor Mittal, il Gruppo Franco-Indiano che ha rilevato l’Ilva, nei giorni scorsi ha comunicato ai sindacati il piano di chiusura degli impianti. Il polo siderurgico di Taranto si avvia dunque verso la cessazione delle attività produttive con il progressivo spegnimento degli altoforni. Questa decisione si va ad inserire in un contesto già incandescente che riguarda il mondo del lavoro. Sul tavolo del Ministro Patuanelli pendono infatti oltre 150 situazioni di crisi che se non risolte, determineranno da una parte un fortissimo impatto occupazionale che potrebbe causare problemi di ordine pubblico e sociale e dall’altra la crisi dell’intera crescita economia italiana, facendo diventare realtà il rischio recessione. Solo per le due aziende con le più evidenti e stringenti difficoltà, Ilva e Whirpool, si parla infatti di circa 50000 esuberi, fra dipendenti ed indotto. Bene, ma come si può uscire da questa situazione tutta italiana che non preannuncia niente di buono, anche in virtù di un concomitante rischio recessione che coinvolge tutta l’Eurozona e la stessa Germania che ne era il motore trainante e che solo per un soffio lo ha evitato nell’ultimo trimestre?

John Keynes affermò che la condizione tipica del sistema economico non è l’equilibrio, ma la sottoccupazione per poter mantenere un determinato volume di occupazione è necessario che si effettuino investimenti sufficienti ad assorbire la differenza tra la produzione totale e i consumi. Per questo, Keynes, riteneva necessario l’intervento dello Stato che, attraverso la spesa, può determinare un aumento del livello di occupazione e di conseguenza, un aumento dei redditi delle famiglie e quindi, dei consumi. 

Il rapporto tra il nostro debito pubblico e il Pil però è talmente alto che è da escludersi un forte ed incisivo intervento dello Stato nell’economia, perché vorrebbe dire farlo contraendo nuovo debito, che l’Europa ci impedirebbe di fare, chiedendoci piuttosto di abbassare la spesa pubblica. Come si può uscire allora da questa impasse che sembra essere un vero rompicapo?

So che attirerò su di me gli strali dei molti sostenitori dell’austerity, ma è mia opinione che non sarebbe affatto un delitto immettere nuova moneta fornendo così liquidità all’intero sistema economico europeo. Invece fino ad oggi quando uno Stato emette titoli di debito pubblico nuovi, non sta immettendo nuova moneta. In realtà sta chiedendo un prestito agli investitori. In pratica lo Stato sta semplicemente ritirando della moneta già esistente dal portafogli degli investitori impegnandosi a restituirla a un certo tasso di interesse. Quello che in realtà succede, è che lo Stato emette nuovo debito e un ammontare di interessi, per pagare i quali dovrà procurarsi moneta da qualche parte.

Ma allora quando possiamo parlare di vera e propria immissione di nuova moneta? Per spiegarlo non posso che ricorrere al concetto di “helicopter money”, espressione derivante da una provocazione fatta dall’economista Milton Friedman nel 1969 mentre spiegava quali fossero i meccanismi di trasmissione di denaro dallo Stato all’economia reale. Secondo Friedman, se tutte le strategie ortodosse di politica monetaria non avessero funzionato, al peggio si sarebbe potuti ricorrere alla distribuzione di denaro lanciandolo direttamente da un elicottero in modo da aumentare l’inflazione. L’idea di Friedman si bassa tuttavia su ipotesi piuttosto restrittive: la gente non deve risparmiare il denaro gettato dall’elicottero e l’economia deve trovarsi al pieno impiego. Solo in questo scenario sarebbe lecito aspettarsi un aumento della domanda nominale e quindi dell’inflazione.

Ma cos’è l’inflazione? È un rincaro dei prezzi di ampia portata, che non si limita a singole voci di spesa. In seguito a tale fenomeno un’unità di moneta consente di acquistare una minore quantità di beni e servizi; in altre parole, il valore reale dell’unità di moneta risulta inferiore rispetto al passato. Chi osteggia un’economia monetaria espansiva normalmente lega il suo rifiuto a questa pratica al fatto che l’inflazione potrebbe aumentare in maniera importante, perché secondo questa tesi il prezzo di ciò che acquistiamo è legato alla quantità di moneta che c’è in circolazione.

È vero che noi utilizziamo la moneta per acquistare ciò che ci occorre ma non è la quantità di moneta in circolazione a determinarne il prezzo. I prezzi dei beni infatti vengono determinati da tantissime altre valutazioni, fra le più importanti ci sono sicuramente: il costo della materia prima, il costo del lavoro e i costi di produzione, anche perché per chi determina i prezzi, è impossibile sapere quanta davvero ce ne sia. I dati specifici vengono sempre comunicati con molte settimane di ritardo. Se lo Stato quindi avesse più liquidità, potrebbe finanziare le spese della P.A., le opere pubbliche necessarie allo sviluppo ed adeguamento delle infrastrutture del paese e il costo dei servizi offerti ai cittadini senza ricorrere ad una tassazione così invasiva come invece fa oggi mettendo in moto quel circolo virtuoso per il quale i cittadini avrebbero più potere d’acquisto che garantirebbe maggiori consumi esaltando i fondamentali di un’economia vicina al tracollo.

Questo credo possa essere ad oggi l’unico modo per scongiurare nuovi fenomeni recessivi che uniti ad una crescita negativa, darebbe vita a fenomeni speculativi capaci di far precipitare il paese verso un periodo di forti e pericolosi contrasti sociali.


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