Il ruolo – Racconto breve di Daniela Luisa Bonalume – Seconda Parte
Il ruolo (seconda parte) è un racconto breve scritto da Daniela Bonalume per la raccolta “Suggestive Evasioni”. Una lettura veloce, intensa e dal finale bruciante, quello che non ti aspetti e ti sorprende sempre. Una storia bonsai che concentra la trama in pochi, avvincenti paragrafi. Da leggere in un respiro.
di Daniela Luisa Bonalume
Il Ruolo . Seconda Parte
Leggi qui la prima parte
I paesani dicevano che Giuseppe aveva fatto bene a mettersi a posto. “E che diamine: doveva aspettare i comodi di quella Pierina? E che lei non era neanche tutta questa bellezza, che andava e veniva dalla città giocando col cuore di quel ragazzo!
E se non era in buona salute non sarebbe stata neppure una buona moglie, per lui, che era destinato al commercio.
Che aveva due occhi verdi, lui, puri come l’acqua, e un colorito bello come il bronzo delle statue dei monumenti al cimitero. E i muscoli? Tutti tesi dai cestoni di pane che portava di qua e di là. Anzi, Mariuccia era più bella di Pierina, e si sa, anche l’occhio vuole la sua parte.
Si, Giuseppe aveva fatto proprio bene a sposare Mariuccia. Pierina, tornata dalla città o dalla villeggiatura al mare, si sarebbe ben resa conto che chi tardi arriva male accomoda. E, a far aspettare gli uomini, non sempre ci si guadagna”.
Proprio questo dicevano in paese.
La bambina di Giuseppe e Mariuccia nacque con un miracolo, appena dopo sei mesi dalla data delle nozze.
Marina venne al mondo per la gioia dei suoi genitori e dei suoi nonni. Al battesimo partecipò tutto il paese e volarono le colombe per onorare il miracolo, quasi fosse una rievocazione degli antichi eventi.
Dopo pochi mesi tornò anche Pierina nella casa del cortile. Comperava il pane e il latte al forno di Giuseppe. Ogni volta che usciva da là aveva un groppone alla gola nel vedere Mariuccia col suo sogno in mano. Ma non ce l’aveva con lei.
Poi per Pierina venne il tempo della gioia, arrivò Paolo detto Paio. Aveva poco più di un anno e la chiamava Pierina. E lei lo chiamava Paio, perché Paio lo chiamavano anche tutti i bambini del cortile.
Tutti e quattro vivevano nella casa dei genitori di Pierina. Quella che dava sul cortile col pavimento di ciottoli di fiume, e lei faceva ancora i turni in tessitura. I soldi li portava a casa lei e non erano tanti.
I suoi genitori prendevano solo la pensione minima. Insieme però stavano bene, con le sette famiglie che abitavano nella casa di ringhiera, e anche con quelli della panetteria.
Nei pomeriggi di canicola, quando non lavorava, Pierina se li metteva tutti seduti intorno alla sedia, i bambini. Insieme giocavano per ore a “Beppe Anna, uno, due, Anna, Beppe” sotto il pergolato.
Così Paio, Marina coi fratellini Dario e Giampaolo. Anche con Gigi, Omar, Stella, Gigliola e gli altri bimbi della piazzetta sulla quale affacciava il cortile, divennero uomini e donne in armonia e serenità.
Paio andava a pesca con Dario e Giampaolo giù alla roggia. Gigi e Omar suonavano lo xilofono di Gigliola seduti sui gradini di Pierina. Marina le si intrufolava in casa per imparare l’uncinetto, perché Mariuccia aveva sempre tanto da fare col forno e col negozio. Con Giuseppe non era vita facile.
Quando guardava in fondo al cortile dentro la finestra del forno per vedere se c’era Giuseppe, Pierina incrociava sempre lo sguardo malinconico di Mariuccia. Mariuccia le invidiava il tempo passato coi ragazzi e lei si sentiva privilegiata per qualche momento.
Una domenica pomeriggio Paio tornò a casa tutto pesto, era già grande, quasi diciannove anni, un uomo fatto e finito. L’occhio sinistro era una melanzana e aveva tutte viole sulle braccia e sulla schiena. Dopo due ore che Pierina gli faceva impacchi e domande, vennero i carabinieri a prenderlo.
Gli occhi del paese si misero alle finestre per vedere Pierina che piangeva e abbracciava i suoi genitori. Piangevano anche loro tra singhiozzi e preghiere nel vedere Paio che andava via sulla macchina nera con la sirena.
Il padre di Pierina morì di crepacuore in poco tempo.
Si diceva che Paio avesse fatto a botte con una banda di mascalzoni delle cascine vicine e uno di loro fosse rimasto offeso per sempre. L’aveva fatto per difendere una persona debole, una che non poteva difendersi da sé davanti alla gente. Tutti sapevano che Paio era un gran bravo ragazzo e ci credevano. Lui però era uno tutto d’un pezzo e aveva parlato solo coi carabinieri .
Era serio e gentile e, dopo il fattaccio, la sua fama di ragazzo col coraggio da leone varcò i confini del paese. Si innamorò di una brava ragazza che si innamorò di lui, e si sistemò.
Lo sposalizio non venne celebrato nella chiesa del borgo ma fuori comune. La moglie di Paio era di “fuori” e fuori si combinò anche il pranzo, con le più sopraffine specialità.
Paio volle che fosse il braccio di Pierina ad accompagnarlo fino all’altare. E lei si apparecchiò come se fosse stato il suo, di matrimonio.
Gigliola, Dario, Giampaolo, Stella e Omar c’erano. Marina fu la sua testimone davanti al Signore per giurare fedeltà alla nuova famiglia. Tutti recitarono a voce alta una preghiera per Gigi, che se n’era andato l’anno prima cadendo da un’impalcatura. Se questo non fosse avvenuto, sarebbe stato lì con loro a festeggiare.
E anche Giuseppe e Mariuccia parteciparono alla festa perché abitavano nel cortile coi ciottoli. Giuseppe piangeva in chiesa e piangeva al ristorante, di quelle squisitezze non toccò nulla.
Pierina, dall’altra parte della sala lo guardava di sguincio. Mariuccia cercava di consolarlo asciugandogli il viso con il fazzoletto di batista di lino bianco. Lo portò in dote tanti anni prima, quando Giuseppe aveva ancora tutti i capelli e i muscoli tesi per spostar cassette di qua e di là. Ma lui non riusciva proprio a chiudere i rubinetti.
E proprio di questo Pierina e Fulvia detta Fulìn chiacchieravano dopo la messa mattutina. Camminavano piano come lumache verso i loro gusci, con tutti i cani intorno che abbaiavano all’aria. E intanto che si avvicinavano alla bocca del cortile coi ciottoli, si vedeva spuntare il sedere della 127 amaranto di Paio. Quelli del paese potevano annusare un profumino di sugo rosso che usciva dal cortile, e che ubriacava anche le mosche. Pierina disse:
– Il mio Paio è venuto a portarmi la spesa. Mi sa che mi ha preparato anche da mangiare per oggi – .E una lacrimuccia percorse tutti i solchi che la vita aveva tracciato sulle gote color uva fragola.
Fulìn le chiese: – Ma l’hai mai saputo perché Paio fece a botte?
– No, non me l’ha mai detto. E io non gliel’ho mai chiesto.
Camminarono ancora un po’ in silenzio. Si sentiva solamente il rumore della suola delle pianelle ai piedi delle due donne. Neanche i cani abbaiavano più, si erano fermati a guardarle quasi aspettassero anche loro la risposta.
– Gliel’hai mai detto a Paio che Giuseppe è il suo papà?
– E perché mai ? – rispose Pierina – Paio non mi ha mai chiamata mamma!
Fine
Note biografiche sull’autrice
Daniela Luisa Bonalume è nata a Monza nel 1959. Fin da piccola disegna e dipinge. Consegue la maturità artistica e frequenta un Corso Universitario di Storia dell’Arte. Per anni pratica l’hobby della pittura ad acquerello. Dal 2011 ha scelto di percorrere anche il sentiero della scrittura di racconti e testi teatrali tendenzialmente “tragicomironici”. Pubblicazioni nel 2011, 2012 e 2017.