Questa foto è impressa nell’immaginario collettivo, l’uomo mise a nudo a Berlino il razzismo che dilagava portandosi a casa la vittoria
Jesse Owens arrivò a Berlino nel 1936, ma sappiamo bene che era già una celebrità negli Stati Uniti. Proprio nel suo paese nel corso di una gara universitaria riuscì a donare a quanti guardavano uno dei più belli momenti, non a caso definiti: “I migliori quarantacinque minuti dello sport”.
Non tutti lo sanno, ma in meno di tre quarti d’ora Jesse fu in grado di battere cinque record mondiali e riuscì anche ad eguagliarne un sesto. Ma una foto ha fatto il giro del mondo ed è considerata una delle foto più importanti scattate a Berlino nel 1936.
Jesse Owens al ritorno negli Stati Uniti non fu accolto come si aspettava dal suo governo, addirittura l’allora presidente Franklin D. Roosevelt, cancellò l’appuntamento che avevano alla Casa Bianca, inoltre non gli mandò neanche una lettera per congratularsi per quello che aveva fatto. Ma torniamo all’estate del 1936, quando a Berlino di celebrarono le olimpiadi. Quella fu anche l’occasione adatta per Adolf Hitler di continuare la sua propaganda nazista per mandare avanti la sua teoria della supremazia della razza ariana. Jesse Owens dovette proprio in quella occasione gareggiare e il clima che si respirava non era dei migliori.
Ma lo stesso tornerà a casa dopo aver conquistato 4 medaglie d’oro nello specifico si trattava dei 100, 200, salto in lungo e staffetta 4×100. Nello specificò “portò” in casa 2 record mondiali e uno olimpico. Hitler a quel punto cercò in tutti i modi di giustificare la sua vittoria sminuendolo e dichiarò che la vittoria era sua perché gli afroamericani erano un popolo primitivo per tale ragione avevano anche una costituzione fisica più propensa alla corsa. Insomma Jesse Owens è stato spesso definito l’atleta contro il razzismo, fu in grado di dimostrare davanti alla Germania quanto non esistesse nessuna razza inferiore.
Le foto che gli furono scattate all’epoca fecero il giro del mondo, ancora oggi sono rimaste ben impresse nell’immaginario collettivo. Come abbiamo già detto, però, nonostante il messaggio che fu lanciato da quello stadio l’atleta non ricevette nel suo paese la giusta riconoscenza e non va dimenticato che durante la parata d’onore tenutasi a New York il campione olimpico non poté neanche procedere entrando dalla porta principale dell’hotel Waldorf Astoria, nello specifico “fu fatto accomodare” in un montacarichi che gli consentì di arrivare alla reception.
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