Niente è come sembra. Racconto breve di Daniela Luisa Bonalume
Niente è come sembra è il primo di una serie di racconti brevi che danno vita ad una nuova rubrica di ArteVitae, “Suggestive evasioni“. Si arricchisce così l’offerta editoriale del blog che diventa sempre più ampia e variegata.
di Daniela Luisa Bonalume
Aprii la borsona arancione di pelle martellata, vi infilai la mano e rovistando nel mio piccolo suk trovai il portafogli. Ne tolsi una banconota da venti euro e la diedi ad Agnese. Era proprio in mezzo al corridoio vicino alla porta aperta del mio ufficio. Mi stava piantata davanti con tutta la possanza dei suoi centoventisette chili e i piedi divaricati sulla moquette grigia. In una mano teneva una busta aperta, foglio e pennarello nell’altra.
– Ecco – dissi infilando i soldi nella busta – questo è il mio contributo. Chi ha partecipato alla colletta? – chiesi alzando gli occhi verso i suoi.
Agnese, senza incrociare i miei, attaccò a leggere l’elenco dei nomi, mentre leggeva la guardavo e per la prima volta la vedevo.
Era un donnone che aveva superato da poco il mezzo secolo, una lottatrice di sumo. Aveva la faccia da cane pechinese e gli occhi di torba a forma di uova al tegamino. Era truccata: fondotinta e fard, ombretto marrone sulle palpebre e rossetto rosso sulle labbra. Per la prima volta la vedevo col trucco sul viso, o forse non me ne ero mai accorta prima.
I capelli erano lisci e lucidi, tinti color rame e tagliati di fresco appena sotto le orecchie, quasi un paggetto senza frangia.
Io me la ricordavo invece con una capigliatura biondo-grigiastra, crespa e senza linea, con lo sguardo perso nei fondi di caffè.
Vestiva calibrato. Nonostante l’altezza era totalmente priva di tette. Le spalle ricalcavano i contorni di una gruccia ricoperta di gommapiuma, così la testa pareva un po’ incassata.
Aveva un sederone a trapezio isoscele dal cui lato maggiore spuntavano due gambe a tubo sempre coperte di peli. Le guardai, ohilà: glabre. Anche le scarpe erano inconsuete. Al posto dei soliti mocassini marroni e fuori forma, calzava un paio di Chanel di vernice rossa con tacco ottanta.
Oh mamma mia, pensai, qui deve essere successo qualcosa! Qualcosa di … grosso!
Mi arrampicai su con lo sguardo proprio partendo dalle scarpe ed apprezzai la bella trama damascata della stoffa del tailleur nero bordato con pizzo macramè rosso, tagliato su misura. Che bello! Anche se la forma mi faceva pensare alle zampe degli alligatori, le mani erano curate, le unghie smaltate di rosso sulle dita inanellate.
Al collo taurino portava una collana di corallo in parure con orecchini che dondolavano dai lobi allungati da anni di ornamenti pesanti.
Caspita, non mi sono mai accorta di questa pompa magna, e sì che la conosco da oltre dieci anni…
Agnese proseguiva nella sua lettura con voce impostata. Saranno stati una sessantina di nomi, ma mi distolsi subito per rituffarmi nel mio silente radiografare.
Mi aveva stupita: per anni era sembrata un clone di Clarabella mucca moglie di Orazio. Le poche volte che l’incontravo al bar o nell’atrio mi intristiva il suo sguardo, la monotonia del suo colore, la piattezza della sua voce, lo sfoggio di gioielli indossati senza gusto. Non la frequentavo. Sapevo che aveva famiglia perché un paio di volte incappai nel bollettino dei prodigi dei figli, ma successe molto tempo addietro. Avevo l’idea che si lasciasse vivere, idea completamente sovvertita da quanto stavo vedendo.
– Ho raccolto quasi ottocento euro in tre giorni – tuonò – se continua questa generosità potremmo arrivare a duemila. Con quella cifra riusciremo a comprare una stampa antica in quel negozio del centro.
La colletta era per un regalo di pensionamento. Il Direttore Generale della multinazionale svizzera dove lavoravamo lasciava l’incarico e alcuni tra i suoi collaboratori gradivano rendersi indimenticabili. Io e Agnese eravamo tra questi.
Scrutai di nuovo tutto il suo volume, aveva gli occhi vivi e diffondeva una scia di profumo alla gardenia. Non che prima puzzasse ma sembrava una “donna non donna”. Un individuo più che una persona. Una forma vivente risucchiata dalle pulizie e dall’allattamento. Una moglie infilata nel suo ruolo sociale che la gratificava senza regalarle la gioia della vita.
E’ un’altra cosa rispetto a quella che ho intravisto in questi anni … , constatai. Questa è una donna femmina!
– Devo passare dal Ragionier Panzeri – mi disse – vuoi salutarlo?
Avevo lavorato col ragioniere alcuni anni prima ed era stata un’esperienza indelebile. Un personaggio che percorreva tracciati diametralmente opposti all’assunzione di responsabilità. Peculiarità che dovrebbe distinguere un dirigente da quella volgare, inerte e squattrinata massa operativa della quale, sia io che Agnese, eravamo incoerente rappresentanza.
L’azienda si sviluppava su ben dodici piani ed era difficile incontrarsi casualmente. io personalmente applicavo tutte le teorie per evitare questa casualità. Anche il ragioniere era ormai vicino alla pensione e, proprio per evitare un saluto vis a vis, decisi di accompagnare la collega nella riscossione dell’obolo. Panzeri ambiva allo stesso successo quantificabile in denari sonanti, per poi esibire al mondo il costoso “pensierino” ricevuto dai suoi colleghi.
Con Agnese condivise per qualche anno il quartiere. Quando capitava, le dava un passaggio in auto fino a casa Era disposto a farsi invalidare le trombe di Eustachio nella speranza che un giorno si sarebbe occupata della sua colletta. Si sapeva che Agnese era una ottima battitrice di cassa, soprattutto con chi indugiava. Il ragioniere era una di quelle persone che indugiavano. Davanti alle richieste di argent, ma metteva la festa di pensionamento tra le tappe-status della propria esistenza.
Era un ometto con pochi capelli sempre pieni di brillantina, come la chiamava lui. Aveva un tono di voce radiofonico fuori frequenza e l’educazione gli faceva un po’ difetto. Non era un capo che condivideva l’attività coi collaboratori. Preferiva rifarsi ai miti della storia nazionale attivi tra gli anni venti e gli anni quaranta del secolo scorso. Miti ai quali si ispirava anche nel suo rapporto con il gentil sesso. Ex sedicente tenebroso che d’estate girava con un panama bianco calato un po’ in avanti, era stato abbandonato da tre mogli.
Era temuto ma disistimato dai figli che alle feste comandate lo evitavano, rinunciando volentieri ai doni di rito pur di scansarne la compagnia. Inverno e estate vestiva solo abiti gessati. Sempre pieni di patacche, con aloni di borotalco che applicava, e non toglieva quasi mai. Lo utilizzava per di pulire gli schizzi di unto che si procurava durante i pasti consumati nella mensa aziendale. Non usava profumo …
Pavoneggiandosi mi diceva sempre – Sa signora, io vivo solo. Mi lavo e mi stiro tutto, cucino e pulisco la casa. Alla mia età finalmente ho capito di star bene da solo – .
Abitava a una quindicina di chilometri dai suoi affetti passati e presenti. Tale distanza era sacra per il mantenimento degli equilibri personali di ognuno di loro.
Io e Agnese scegliemmo di salire a piedi i tre piani che dividevano il mio ufficio da quello di Panzeri. Imboccammo le scale d’emergenza, luogo di stazionamento molto gettonato da accaniti fumatori fuorilegge. Sulla seconda rampa incontrammo proprio il Panzeri. Appoggiato di schiena alla ringhiera e completamente calato nel personaggio di Humphery Bogart in Casablanca. Aspirava come un Vorwerk Folletto la sua sigaretta senza filtro schiacciata tra le dita gialle e secche.
Iniziò il balletto del prego passi oh che piacere vederla. Faceva mosse da tanguero argentino e sorrisi che avrebbero svelato anche i granulomi più profondi.
– Buongiorno ragioniere, stavo salendo da lei per la colletta… – sussurrò Agnese con tono lascivo.
– Buongiorno a voi, signore – rispose lui con un inchino e, spostandosi leggermente indietro. Allungò e allargò lo sguardo su tutta la figura di Agnese.
– Ma come la trovo bene, signora. La trovo molto, molto bene. Elegante e affascinante come mai mi è capitato di incontrarla, pettinatura nuova, nuovo colore di capelli. Complimentoni, sembra più giovane di vent’anni! Se non sapessi che è sposa innamorata e felice le farei la corte –.
Panzeri pensava nel frattempo al suo regalo di pensionamento e pian piano si avvicinava a lei.
– E la sua famiglia come va? Suo marito sta bene?
Incalzò lui accerchiandole le spalle con un braccio, stringendo un po’ e inclinando il capo verso il suo.
– Ragioniere, balbettò Agnese infuocata in viso e con un sorriso a spagnoletta che metteva in mostra i suoi dentini color frassino .
In quel momento un giovane collega sfilò tra i due piccioncini e me che li guardavo basita, Agnese lo consumò con una fiamma nuova negli occhi sotto lo sguardo perplesso del Panzeri.
Scroccandogli una sigaretta riprese – Oh Ragioniere, grazie mille per i complimenti – aprendo le mani in posizione orante con gli occhi alti al cielo.
Vidi Panzeri irrigidirsi come un pupo siciliano inglobato nella parete lontano dalla sua interlocutrice, infilandosi velocemente le mani nelle tasche dei pantaloni.
– Cosa vuole che le dica, ragioniere. Come vuole che vada la famiglia, forse lei non sa che mio marito due mesi fa è morto!
Note biografiche sull’autrice
Daniela Luisa Bonalume è nata a Monza nel 1959. Fin da piccola disegna e dipinge. Consegue la maturità artistica e frequenta un Corso Universitario di Storia dell’Arte. Per anni pratica l’hobby della pittura ad acquerello. Dal 2011 ha scelto di percorrere anche il sentiero della scrittura di racconti e testi teatrali tendenzialmente “tragicomironici”. Pubblicazioni nel 2011, 2012 e 2017.