21 Luglio 2017 By artevitae

Nel nome di….. – Racconto breve di Daniela Luisa Bonalume

Nel nome di…, è un racconto breve scritto da Daniela Bonalume per la raccolta “Suggestive Evasioni”. Una lettura veloce, intensa e dal finale bruciante, quello che non ti aspetti e ti sorprende sempre. Una storia bonsai che concentra la trama in pochi, avvincenti paragrafi. Da leggere in un respiro.

di Daniela Luisa Bonalume

 

Anche l’ultima panchina era occupata. Restava un po’ di spazio accanto ad un ragazzo: un ragazzino.

Avrà avuto sedici anni. Sandra lo guardava e lo sguardava.

Era tutto tatuato, i capelli rasati ai lati con una cresta blu cina alla sommità del capo.

La pelle era bianca, sotto una canotta nera con un teschio disegnato sul davanti. Pantalini neri, perché chiamarli pantaloni sarebbe stato troppo. Arrivavano giusto a metà polpaccio.

Sandra lo guardò in viso, un bel viso pulito ed uno sguardo azzurro e sincero che la stava scrutando. Il ragazzo si strinse e con la mano libera invitò Sandra ad accomodarsi accanto a lui. Nell’altra aveva un foglio ingiallito, un po’ smozzicato ai bordi e consumato nelle pieghe. Sandra gli sorrise e si sedette.

Dopo qualche minuto arrivò il treno, stranamente puntuale, e proprio per questo già colmo di passeggeri. I due si alzarono dalla panchina e si precipitarono nei vagoni in cerca di un posto a sedere. Sandra, più lenta e ormai oltre la settantina, si trascinava un pesante trolley, e sappiamo tutti che le ruote ruotano ma non saltano.

Il ragazzo dalla cresta blu, Dio lo benedica quasi un metro e novanta, allungò un braccio, sollevò il trolley e lo sistemò sulla cappelliera. Sandra si sperticò in ringraziamenti e si lasciò cadere su uno dei due sedili accanto al corridoio. Lui le si sedette difronte senza guardarla. Teneva sempre ben saldo il suo foglio giallognolo. Non staccava gli occhi da lì, e sembrava che qualcosa brillasse ai lati della radice del naso. Sandra gli guardò i piedi. Erano stipati in due canoe Adidas.

Chissà da dove arriva, ‘sto figliolo!”

Il treno portava nei suoi luoghi d’origine, ma la provenienza del ragazzo poteva essere il mondo, ormai tutti vivevano ovunque!

– Lei dove scende? – chiese lui all’improvviso, guardando in fondo agli occhi di Sandra.

– Fra tre fermate – rispose lei. 

– Lei è proprio di lì? – Si, perché?

Lui le passò il vecchio foglio.

“Rina amore mio,

oggi mi hanno detto che torneremo a casa. Dopo quasi due anni di prigionia, stasera partirò da Linz col treno che ci rimpatrierà tutti. Appena oltre il confine verranno a prenderci le camionette ed i camion che, a seconda delle destinazioni, ci caricheranno. Viaggeremo di notte per evitare di finire sotto il lanciafiamme dei nemici in ritirata, schiacciati tra i russi e gli americani”

Sandra leggeva senza respirare.

La scrittura era ordinata, proprio un esercizio di calligrafia come quelli di una volta.

Sarà un viaggio molto lungo, l’Austria è lontana da casa nostra, ma sono felice di affrontarlo. Non vedo l’ora di riabbracciarvi tutti e mi piacerebbe che tu mi aspettassi a casa della mamma, insieme ai miei fratelli e a tutti gli altri che abitano nel cortile. La sera stessa darò la notizia che vorrei passare la mia vita con te e ti chiederò di diventare mia moglie davanti a loro. Non voglio più sprecare il tempo. Ho rischiato la morte ogni giorno, in questi anni. Adesso che mi è fatta salva la vita, so per certo che ti voglio vicina per il tempo che mi resterà da vivere.

A presto, il tuo Cesare.

6 giugno 1945”

Sandra alzò il viso e guardò il ragazzo. Entrambi avevano gli occhi lucidi.

– Questa storia ti riguarda? – chiese lei. 

– E a te? – rispose lui, passando direttamente al tu.

– Non capisco! Ci conosciamo? Se provieni da quelle parti, magari, avrai sentito parlare di Rina e di Cesare – insistette il giovane.

– Ne ho sentito parlare, si. Cesare abitava nel cortile di mia zia Pina, lei mi raccontava spesso la loro storia.

Il ragazzo finalmente sorrise, di un sorriso che era come il sole di mezza mattina, ancora discreto ma che illumina tutto. Sandra sorrise anche lei, rifacendo la stessa domanda – Questa storia ti riguarda? 

– Si – rispose lui 

– Rina era mia nonna, se ne è andata qualche mese fa, ma prima mi ha voluto vedere da solo e mi ha dato questa lettera.

Sandra si fece seria, fissò il suo interlocutore e gli disse:

– Conosco il tuo nome, e conosco anche la tua storia. E’ un caso, o mi stavi aspettando alla stazione?

– Ti stavo aspettando, so chi sei, Sandra. So che sai e vorrei che tu mi dicessi! – Affermò con un piglio oscuro.

– Ti ho vista su una foto con la nonna e tua zia Pina. Loro erano amiche e la nonna mi ha parlato anche di te! Allora?! – ribadì senza abbassare lo sguardo.

Sandra impallidì.

– Ecco…

Non era affatto semplice imbastire tutta la storia, così, sui due piedi, e raccontarla ad un ragazzino tutto tatuato e con la cresta blu. Uno di quelli che, se li incontri per strada, ti chiedi cosa abbiano dentro la zucca e al posto del cuore. Non era facile per niente…

– Ecco, il tuo papà è il figlio di Rina, di quella ragazza dolce e tanto amata. Tuo nonno, il marito di Rina, si chiamava Ernesto.

– Si, nonno Ernesto ha aperto la strada alla nonna qualche anno fa, se ne è già andato da tempo – rispose ridendo.

Invece di ridere, Sandra continuò molto seria, trattenendo a stento le lacrime.

– Ernesto era il fratello maggiore di Cesare, l’autore della lettera. Quella sera, del lontano giugno 1945, erano tutti in mezzo al cortile ad aspettare la camionetta per accogliere Cesare. Rina portò dei bei fiori da donare al suo promesso sposo e tutti gli inquilini delle case di ringhiera erano pronti a festeggiarlo. Invece arrivò la lettiga della Croce Rossa Internazionale. Un silenzio surreale piombò sulla testa di tutti. Sulla via del ritorno, durante la notte, la camionetta era uscita di strada. Non si era salvato neppure l’autista. La bara già chiusa fu posata su un tavolo di fortuna. I visi di marmo non cacciarono una lacrima, impietriti dal dolore. La zia Pina era tra loro. Ernesto promise all’anima di Cesare, davanti a tutti, che se Rina avesse voluto, si sarebbe preso cura di lei e lo avrebbe fatto con tutto il rispetto e il bene del mondo. E così fu. Nacquero un maschio e due femmine. Il maschio fu chiamato Cesare anch’egli, in onore e in memoria del ragazzo che entrambi avevano amato, anche se in modo diverso. Quindi il tuo papà si chiama Cesare, e tu ti chiami…

– …Cesare… anch’io. E il cognome è lo stesso del prozìo Cesare e del nonno! – rispose sorridendo, il terzo Cesare.

Il treno si fermò alla stazione giusta nel tempo giusto. Scesero.

Cesare aiutò Sandra col trolley e si avviarono verso la casa di lei. Passarono davanti a quel cortile. Il ragazzo ne conosceva ogni singola finestra e rispettivamente indicava i nomi di tutti quelli che avevano vissuto lì dentro, zia Pina compresa.

Si abbracciarono fortissimo fino a farsi male.

Che scena curiosa: un giovane gigante tutto colorato e con la testa blu che sollevava Sandra, una attempata signora con i sandali bassi ed un vestito fuori moda.

Nulla da spartire fuori e tanto in comune dentro!

Finalmente la storia raccontata dalla zia Pina, che aveva sempre tanto commosso la donna, trovava la sua destinazione.

La nonna Rina sapeva il fatto suo: la cresta colorata sulla testa di Cesare celebrava la penna nera del cappello di Cesare!


Note biografiche sull’autrice

Daniela Luisa Bonalume è nata a Monza nel 1959. Fin da piccola disegna e dipinge. Consegue la maturità artistica e frequenta un Corso Universitario di Storia dell’Arte. Per anni pratica l’hobby della pittura ad acquerello. Dal 2011 ha scelto di percorrere anche il sentiero della scrittura di racconti e testi teatrali tendenzialmente “tragicomironici”. Pubblicazioni nel 2011, 2012 e 2017.