La fotografia onirica di Montserrat Diaz
In copertina oggi c’è Montserrat Diaz. Nel consueto appuntamento dedicato all’approfondimento dei lavori fotografici e della personalità dei nostri ospiti, ne racconteremo la storia e la fotografia.
di Luigi Coluccia
Montserrat è nata a Malaga nel 1976, ma dal 2000 vive a Milano dove si è laureata in Lingue e Letterature Straniere. L’arte è stata una presenza costante nella sua vita, i suo genitori gestivano infatti un negozio di quadri e cornici, motivo per il quale ha sempre amato dipingere anche se non ha mai seguito un corso di pittura, così come non ha mai studiato fotografia.
Nel campo fotografico è un’autodidatta. Ha imparato tutto quello che le serviva sapere della fotografia da sola, un po’ per necessità ma anche e soprattutto perché preferisce apprendere le cose attraverso la pratica e seguendo i suoi ritmi.
I suoi lavori, o le sue immagini, come Montserrat preferisce chiamare i suoi lavori – spesso si tratta infatti di fotomontaggi – rispondono a un bisogno creativo insito in lei da sempre e hanno come intento quello di indurre nell’osservatore delle sensazioni, spesso perturbanti, che somigliano molto a quelle che si hanno al risveglio dopo un sogno toccante.
AVB: Grazie per aver accettato il nostro invito a raccontarti, siamo onorati di averti qui con noi oggi. Partirei con il chiederti come e quando è nata in te la passione per la fotografia?
MD: Grazie a voi per l’invito, sono molto onorata di essere qui con voi e i vostri lettori. Per rispondere alla tua domanda invece, a pensarci bene in casa quella che scattava le fotografie ero sempre io. Spesso mi divertivo ad usare mio fratello come modello facendolo mettere in posa e creandogli intorno degli scenari.
Probabilmente la fotografia è stata sempre lì, come un buon amico che aspetta il suo momento per palesarsi e quel momento è arrivato quattro anni fa. Passeggiavo con la mia bambina che allora aveva tre anni e portavo sempre con me la macchina fotografica – non so quante foto le avrò fatto i primi anni, un’esagerazione! – Comunque quella mattina lei camminava davanti a me in una strada vuota e c’era una luce davvero speciale. Ho preso in fretta la macchina per scattare, ricordo che mi tremavano le mani. Da allora la macchina fotografica è un’estensione del mio braccio.
AVB: La fotografia è uno dei tanti linguaggi espressivi che oggi si utilizzano per fare arte. Quali aspetti del tuo essere artista, a tuo modo di vedere le cose, sono stati essenziali e determinanti nella scelta di questo linguaggio espressivo?
MD: La fotografia è un mezzo attraverso il quale si ritrae la realtà. Amo molto la capacità di certi fotografi di ritrarre scenari reali con una tale maestria da far apparire la realtà qualcosa di meraviglioso.
A me però quello che interessa nell’immagine non è tanto la verità delle cose rappresentate, ma le sensazioni che un’immagine è in grado di trasmettere. Io cerco di rappresentare il concetto letterario di “fantastico” e di “realismo magico” attraverso l’immagine fotografica. Infatti, in queste immagini si ritrovano gli elementi tipici di un contesto reale e familiare insieme ad un elemento fantastico e immaginario. Nel “realismo magico” quest’elemento non viene percepito dai personaggi come qualcosa di innaturale – un po’ come accade nei sogni – mentre invece nel lettore sì: egli si sente pervadere da un senso di estraniamento davanti agli eventi narrati.
La fotografia, proprio per la sua capacità di catturare il reale, è il mezzo perfetto per trasmettere quei sentimenti perturbanti o di estraniamento nell’osservatore, proprio attraverso l’inserimento di elementi immaginari, grazie alle tecniche consentite dal fotomontaggio.
AVB: Sei spesso la protagonista assoluta dei tuoi lavori fotografici, il contesto nel quale si svolge l’azione sembra quasi essere marginale se non decorativo. Ciò che veicola il messaggio che vuoi lanciare è essenzialmente riconducibile alla tua postura piuttosto che alle elaborazioni creative realizzate sulla tua immagine. La forza espressiva del messaggio è davvero efficace, c’è un motivo particolare per cui hai scelto te stessa come vettore del messaggio?
MD: No, in realtà questo dipende dal fatto che spesso quando mi vengono delle idee da realizzare, ci sono solo io, quindi uso me stessa per farlo, soprattutto per motivi di praticità. Utilizzo la mia persona allo stesso modo con cui userei un oggetto. Non c’è nessuna forma di narcisismo da parte mia rispetto a questa scelta. Ciò che mi interessa, come dicevo prima, è trasmettere emozioni. Io sono solo un corpo, un personaggio, e l’osservatore deve identificarsi con me come si identificherebbe con il protagonista di un romanzo.
AVB: Le tue immagini per via delle particolari elaborazioni e per quelle cromie che inevitabilmente riportano alla mente le pellicole analogiche, danno come la sensazione di essere visioni oniriche, cosa per altro da te confermata in più occasioni. La notte, momento in cui i sogni si materializzano, serve solitamente a capire, a capirsi. C’è un legame quindi tra i tuoi lavori, la tua espressività artistica e l’esigenza di capire meglio te stessa? Quanto il messaggio lanciato dalle tue immagini vuole rendersi comprensibile all’osservatore e quanto invece vuole rimanere criptico a tuo uso e consumo?
MD: Penso che la nostra vita abbia la consistenza dei sogni, sì. Quando mi guardo indietro, il passato non è altro che un cumulo di sensazioni e ricordi che hanno la durata di un fotogramma, come dei piccoli frammenti d’immagini. Per fortuna ci sono i libri e le fotografie a soccorrere la nostra memoria! La stessa cosa ci accade al risveglio, quando pur sapendo di aver fatto un sogno lunghissimo, non riusciamo a coglierne e ricordarne le sensazioni e le immagini che ci ha lasciato.
Mi piace pensare ai miei lavori di fotomontaggio come ad immagini oniriche perché come accade nel sogno, in esse c’è una rielaborazione della realtà. Nei sogni questa rielaborazione ci consegna qualcosa che abita nel nostro inconscio, nei fotomontaggi che realizzo quindi, suppongo accada qualcosa di simile. In maniera più o meno consapevole c’è sicuramente molto di me in loro. Il carattere criptico dei miei lavori penso segua questo filone dei sogni: Anch’essi sono criptici, per ciò l’osservatore deve essere libero di interpretare l’immagine che ha davanti in maniera assolutamente personale.
AVB: Spesso nelle tue fotografie, a rafforzare la tua presenza, c’è una cornice che custodisce al suo interno una tua immagine, nella quale però sei ritratta in una posizione diversa rispetto a quella principale, protagonista dell’immagine. Si percepisce un contrasto tra le due. Qual è dunque il vero significato di questo gioco di interposizioni?
MD: Credo tu ti stia riferendo alla serie “Ritratto in bianco e nero”. Come dicevo prima, sono molto interessata al mondo dei sogni ma anche alla letteratura fantastica. Ebbene, bisogna sapere che finzione e senso letterale sono condizioni essenziali per l’esistenza del fantastico. Allo stesso modo, in queste immagini esiste la finzione dentro la quale, incorniciata e in bianco e nero, troviamo la realtà o il senso letterale. La finzione è la forza creativa dell’arte, è il sogno, quello che nasce da me e che prima non esisteva. Il senso letterale è la realtà, raffigurata in bianco e nero perché essa è destinata a sbiadire con il passare del tempo.
Inoltre, tra gli scrittori del genere fantastico, un autore che io amo e che ho studiato è Borges: Nei suoi racconti, tra i procedimenti usati per creare un effetto fantastico troviamo la descrizione di un’opera all’interno dell’opera. Ciò genera un labirinto di sogni contenuti in altri sogni. La realtà dentro la finzione, dunque, diventa anch’essa finzione.
AVB: Il tuo corpo è spesso il protagonista assoluto dell’immagine, viene sempre rappresentato in abbigliamenti molto ricercati e un po’ retro’ e in diverse posture. La parte anatomica invece sulla quale spesso giochi nelle tue elaborazioni è proprio la testa. Da sempre simbolo della ragione e contraltare del sentimento, è forse questo un modo per dirci che possiamo vivere senza la ragione ma non possiamo fare a meno delle ragioni del cuore e quindi del sentimento?
MD: Sì, ora che mi ci fai pensare è vero, di solito applico delle elaborazioni in quella zona ma non c’è un ragionamento dietro. Magari inconsciamente la testa per me è una parte del corpo importante perché in essa si cela la forza creativa. È nella testa che avvengono i sogni.
AVB: Sei laureata in lingue e letterature straniere, quanto e come questa tua formazione letteraria ha influito nella scelta del messaggio fotografico per veicolare le tue emozioni? In che modo la letteratura ti ha portato ad essere l’artista che oggi sei a pieno titolo?
MD: Molto. Se è vero che la fotografia e i programmi di post produzione li ho conosciuti da autodidatta, all’università ho seguito un corso di letterature Ispano-americane che mi ha davvero toccata. Si è approfondito Borges come autore fantastico e di conseguenza la letteratura fantastica in generale, e devo dire che ne sono rimasta impressionata. Penso che molto di quello che oggi faccio trovi negli studi di quegli anni la sua spiegazione.
AVB: Dove e in che modo hai trovato l’ispirazione per portare a termine i lavori fotografici realizzati fin qui? Ci sono momenti dell’anno che ti sono più congeniali dal punto di vista dell’ispirazione artistica o piuttosto contesti emozionali particolari in cui meglio che in altri si evidenzia la tua capacità espressiva?
MD: Come dicevo, molto di quello che porto dentro e che esprimo poi nei miei lavori lo devo alla letteratura, più che all’immaginario fotografico. Certo, oggi siamo bombardati da immagini e inevitabilmente alcune di esse possono avermi influenzato nella realizzazione di qualche lavoro. Sicuramente ho trovato molta ispirazione nei dipinti di Magritte, anche se dei suoi quadri l’unico a piacermi davvero è “L’impero delle luci”, gli altri un po’ meno, francamente. Quello che mi attrae del suo lavoro e che ho cercato d’interpretare è invece il messaggio e il suo modo di rappresentare il surrealismo.
AVB: Quali sono i tuoi lavori fotografici cui sei più legata e perché?
MD: Per una questione del tutto personale non riesco a legarmi troppo alle cose e comunque c’è in ognuno dei miei lavori un pezzetto di me. Sicuramente gli ultimi lavori sono più consapevoli dei primi e la tecnica è un po’ più accurata, ma non saprei.
AVB: Come sai noi siamo amanti della storia dell’architettura e della fotografia che la ritrae, cosi come del minimalismo, inteso sia come corrente artistica ma anche applicato alla fotografia. Qual è il tuo rapporto con queste due meravigliose forme d’arte? Quale rapporto esiste fra le figure umane, soggetto delle tue immagini, e l’architettura? Qual è invece il loro e il tuo rapporto con il minimale?
MD: Lo stile minimalista è stato il primo in cui mi sono cimentata. Ero interessata alla luce e ai suoi giochi che riproducevano ombre e quindi all’architettura. Il minimal è qualcosa che mi appartiene e che mi attrae da sempre e anche adesso che non faccio più quel genere di fotografia è uno stile che persiste nei miei lavori. I personaggi sono sempre inseriti in contesti spogli, minimalisti, che aiutano a creare nell’osservatore quel senso di vuoto e solitudine che per alcuni può arrivare ad essere perturbante, a me invece rilassa.
AVB: Bene Montserrat, a noi non resta che ringraziarti di cuore per esserti raccontata per noi e per averci regalato uno spaccato del tuo meraviglioso mondo interiore.
MD: Grazie a voi per l’ospitalità e l’attenzione verso i miei lavori e un saluto a tutti gli amici di ArteVitae!
Gallery immagini Montserrat Diaz
Riferimenti dell’autrice