18 Febbraio 2019 By Gabriella Maldini

L’uomo del treno. Avete mai sognato di essere qualcun altro?

Seconda visione ripropone‘L’uomo del treno’, diretto nel 2002 da Patrice Lecomte, un altro ‘piccolo grande film’ esempio di come il cinema francese sappia lasciare il segno, che affida la sua storia semplice alla leggerezza e all’intensità di una coppia di interpreti tanto diversi quanto complementari.

di Gabriella Maldini

 

Sono l’anziano, borghesissimo Jean Rochefort, e l’irregolare, ruvido Johnny Halliday, che porta su di sé la malinconica maschera di uno sconfitto eroe del west, due uomini soli, all’ultima svolta della vita. Il primo è un professore di francese ormai in pensione che vive da solo (e da sempre) nella grande casa di famiglia, colma di ricordi di una vita ordinata e prudente a cui un inevitabile bilancio presenta troppi e dolorosi rimpianti. Il secondo è un fuorilegge sul viale del tramonto, stanco di una vita troppo veloce e troppo vuota.

Una sera s’incontrano per caso in una addormentata cittadina di provincia, e nei pochi giorni che precedono un delicato intervento chirurgico e una rapina già segnata, tentano (sognano?) di scambiarsi le vite.

L’anziano professore, dopo una vita di libri e di fantasie, vorrebbe provare il rischio e abbandonarsi all’avventura. Il bandito deluso, che quel rischio e quell’avventura ha sempre vissuto, sente invece un commovente bisogno di stabilità, di quiete, e perfino di quella dolcezza domestica che non ha mai conosciuto.

L’homme du train Francia, 2002

 

Con grande semplicità e poesia, il film ci mostra i due protagonisti cogliere quest’ultima, insperata occasione, istante dopo istante, in un climax di piccoli gesti che restano in mente. Il professore che indossa di nascosto il giubbotto di pelle di quel misterioso straniero e davanti allo specchio fa le mosse del pistolero.

L’uomo che nasconde nella sua sacca tre pistole che chiede al suo ospite di provare le sue pantofole, perché lui non ne ha mai avute. In una sequenza bellissima, lui si sostituisce al professore nella lezione a un ragazzino che per quel giorno ha portato ‘Eugenie Grandet’ (il meraviglioso romanzo di Balzac). Di fronte a un insegnante così inaspettato, il ragazzino è spiazzato, titubante, mentre il nuovo maestro affronta la situazione con slancio sornione. Il dialogo che scaturisce fra i due è stringato, ma contiene mondi.

 

– Allora, qual è la storia?

-…in realtà…non c’è nemmeno una storia…

-guarda bene, c’è sempre una storia. Chi è Eugenie?

-Una ragazza…

– e cosa fa?

-aspetta…

-e chi aspetta?

-l’uomo che ama…ma lui non torna

– Ci avrei giurato… e lo aspetta per molto?

-Per tutta la vita.

-E tu? Come la trovi questa Eugenie?

-…paziente…?

-Io la trovo meravigliosa. Non c’è più nessuno che aspetta tutta la vita.

Più la storia va avanti e più ci accorgiamo con sorpresa che, fra i due uomini, quello più saggio non è il professore ma il fuorilegge che, avendo provato fino in fondo la realtà della vita, è in grado di comprendere e apprezzare davvero le piccole grandi cose del quotidiano. Quelle piccole grandi cose che lo sguardo annoiato e un po’ vile del professore non riesce più a cogliere, se non come fonte di insofferenza, specchio di una vecchiaia inutile a cui cerca di sfuggire ubriacandosi di parole e di fantasie. Una consolazione un po’ disperata e un po’ vile che, al momento giusto, il suo misterioso ospite non esita a diagnosticare con impietosa schiettezza:

‘La sua rovina sono le parole’.

Johnny Halliday e Jean Rochefort

Si potrebbe perfino azzardare che quello che il film ci racconta è che, per imparare davvero a vivere, i libri non possono fare poi tanto; e quello che più conta è confrontarsi con gli altri, soprattutto se molto diversi e lontani da noi. E’ così che i due protagonisti sono all’inizio, diversi e lontanissimi. Prima diffidenti, poi sempre più complici, infine amici. Di quelli veri, che non hanno nemmeno bisogno di dirselo. Un bandito che sa che non è il caso di avere troppa fiducia nelle parole, e un professore che non ha mai avuto il coraggio di pronunciare quelle sentite davvero. Stranamente insieme, sotto uno sconosciuto  cielo stellato che forse ascolta il loro ultimo sogno.

 

 


Note biografiche sull’autrice

Nata a Forlì nel 1970, dopo il diploma al liceo classico si è laureata in Giurisprudenza presso l’Università di Bologna. Ha svolto un Master in comunicazione a Roma e Milano, poi un corso di Racconto e Romanzo e uno di Sceneggiatura cinematografica alla Scuola Holden di Torino. E’ docente di cinema e letteratura e ha diverse collaborazioni in atto, fra cui quella con Università aperta di Imola, la libreria Mondadori di Forlì e le scuole medie per le quali sta portando avanti un progetto didattico che coinvolge i ragazzi delle classi terze in una ‘lezione cinematografica’ sul rapporto umano e formativo che unisce allievo e insegnante. Da pochi mesi è uscito il suo primo libro, edito da CartaCanta, dal titolo ‘I narratori della modernità’, un saggio di letteratura francese dedicato a Balzac, Flaubert, Zola e Maupassant, come quei grandi padri della letteratura che per primi hanno colto la nascita del mondo moderno. Per ArteVitae scrive nella sezione Cinema e TV.

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