18 Ottobre 2017 By artevitae

Lorenzo Linthout e la fotografia di architettura, l’eleganza della purezza.

In copertina oggi c’è Lorenzo Linthout. Nel consueto appuntamento dedicato all’approfondimento dei nostri autori, ne racconteremo la storia e la fotografia.

di Luigi Coluccia

Lorenzo nasce a Verona, città in cui vive, 43 anni fa. Inizia a fotografare giovanissimo, ha solo sedici anni infatti quando si appassiona alla fotografia. Si laurea presso la Facoltà di Architettura “Biagio Rossetti” dell’Università degli Studi di Ferrara a soli 24 anni.

Collabora successivamente per quasi quindici anni presso uno studio di ingegneria, ma è nel 2013 che mette in relazione i suoi studi con la passione per la fotografia, che non ha mai abbandonato. Matura così il bisogno di dedicarsi completamente a questo linguaggio espressivo universalmente riconosciuto, coniugandolo con lo studio dell’architettura, applicata agli spazi urbani ed alle città.

E’ proprio così che ci siamo imbattuti nei suoi interessanti lavori. La sobrietà, l’eleganza e un’elaborazione sempre attenta, rappresentano quindi la cifra stilistica di questo interessantissimo autore. Il suo è essenzialmente un lavoro di sottrazione dei disturbi visivi urbani. Una decontestualizzazione dell’elemento ripreso, posto come unico soggetto caratterizzante della visione urbana, grazie ad un’attenta elusione di tutto ciò che risulta essere ridondante ai fini del messaggio fotografico.

AVB: Lorenzo, anzitutto grazie per aver accettato il nostro invito a raccontarti. Siamo davvero felici di ospitarti sulle pagine del nostro Quotidiano, nello spazio dedicato ai nostri autori, questo ci dà il modo di approfondire i tuoi lavori  e la tua visione della fotografia. Siamo certi che i nostri lettori apprezzeranno molto.

LL: Grazie a voi, per me è un onore oltre che un gran piacere. 

AVB: Quando hai cominciato a fotografare? Come nasce in te l’amore per questa forma d’espressione e come l’hai alimentata nel tempo?

LL: Piuttosto presto, avevo all’incirca quindici anni. Ogni estate la passavo sul lago di Garda, dove i miei genitori hanno una seconda casa; un ragazzo poco più grande di me aveva una reflex, da lui compresi la differenza qualitativa, ma soprattutto percettiva di questo “nuovo” apparecchio all’epoca a me sconosciuto, rispetto a quello rappresentato da una tradizionale compatta.

Acquistai la mia prima reflex, ovviamente analogica, una Praktica BCA, prodotta nella Germania dell’Est. Da lì ho intrapreso un percorso fotografico durato dieci anni, interrotto solo da una pausa post laurea e poi ripreso nel 2006, questa volta con una reflex digitale.

AVB: Sei un Architetto e noi siamo fermamente convinti che la fotografia dovrebbe essere un esame fondamentale nel percorso di studi di questa figura professionale. Oggi più che mai infatti, la fotografia è uno strumento fondamentale per comunicare e valorizzare le sue opere e la fotografia di architettura è una cosa seria. Quanto ha influito quindi la tua formazione nello sviluppo delle tue passioni artistiche?

LL: Totalmente: per me lo studio in quest’ambito è stato fondamentale, è inconcepibile fotografare elementi architettonici senza padroneggiare la materia. Tendo a comprendere il “disegno”, la struttura, i volumi, le proporzioni dell’architettura, immedesimandomi in chi l’ha progettata.

Lorenzo negli ultimi anni ha esposto in mostre personali e collettive in moltissime città italiane ma anche all’estero.  Attualmente collabora con la rivista trimestrale di Architettura e Cultura del Progetto “A. V. – Architetti Verona”, l’agenzia Art+Commerce con sede in New York, oltre ad altri clienti privati, sempre nell’ambito dell’architettura.

A febbraio 2017 ha pubblicato il suo primo libro fotografico “Architectural visions”, ottantacinque immagini a colori di architetture riprese in diverse città europee che ritraggono il silenzio nella giungla urbana, attraverso un lavoro di privazione fotografica, sottrazione e negazione, che le riporta ad una sobrietà lessicale, ad un’assenza di chiasso strutturale, di ridondanza stilistica.

I soggetti architettonici ripresi, vengono resi quasi irriconoscibili da un elegante lavoro di sottrazione di qualsiasi disturbo visivo, che rappresenta così una nuova realtà, ripulita e denudata da ogni traccia contestuale ed eccesso di forma. Così spogliata, questa architettura appare “non assordante”, illuminata a volte dalla luce del cielo, che diventa spesso un asettico sfondo e rappresenta il silenzio che ha il compito di esaltare lo spazio vuoto.

AVB: Ognuno di noi nel proprio ambito cerca un linguaggio per poter esprimere i propri sentimenti, le proprie emozioni e lanciare attraverso il suo potere evocativo, dei messaggi rispetto a quelle che sono le sue visioni. Perché hai scelto, fra i tanti, il linguaggio fotografico come mezzo d’espressione?

LL: Amo la fotografia,  la ritengo un linguaggio completo, qualcosa di molto intimo e personale da poter però mostrare; tendo ad essere solo quando fotografo, eccetto nei luoghi abbandonati, mi devo estraniare e concentrare totalmente su ciò che faccio, senza distrazioni.

AVB: Cosa rappresenta per te la fotografia? Quale è il rapporto viscerale che ti lega ad essa?

LL: La quotidianità: sembra una brutta parola rapportata alla fotografia, ma non c’è giorno che non pensi a questo mondo. Nel modo di guardare le cose, ogni giorno, penso di avere sempre un obiettivo davanti ai miei occhi.

AVB: Ogni autore prima di approdare a quello che sarà il genere fotografico in cui meglio riuscirà ad esprimersi, percorre un viaggio tortuoso attraverso i meandri di questa sconfinato linguaggio espressivo. Immaginiamo che per te sia stato più facile trovare l’indirizzo giusto, visti i tuoi studi, come sei arrivato dunque alla fotografia d’architettura? Cosa ti attrae in questo genere?

LL: Si, i miei studi mi hanno subito indirizzato verso la fotografia d’architettura. Amo l’architettura razionalista, minimalista e pura. Sono attratto dai “mostri” di cemento, il genere “brutalist” che trova spesso molti esempi nell’architettura di regime: un totalitarismo che schiaccia la leggerezza.

Amo viaggiare attraverso l’evoluzione dell’architettura, gli stili diversi che rappresentano il tempo che passa, un po’ come accade nella moda. A periodi, amo molto pure i luoghi abbandonati, dove il tempo ha lasciato i suoi segni.

AVB: Ogni linguaggio e quello fotografico non fa specie, dovrebbe saper indurre alla riflessione, ma anche lasciar scoprire, fermare l’attenzione, dare modo di approfondire. Quello applicato alla fotografia d’architettura, addirittura dovrebbe saper riportare l’interesse e la riflessione su luoghi, gli ambienti, le architetture stesse, attraverso composizioni che abbiano cura di riprenderne gli elementi essenziali alla comprensione del luogo, della storia e della cultura di chi lo vive. La tua cifra stilistica è senza dubbio rappresentata da una maniacale cura della composizione e da un eccellente rigore geometrico che restituiscono come risultato finale proprio questi aspetti.

LL: Amo fotografare soggetti architettonici perché sono regolati da studi precisi, alla base c’è un progetto, un “disegno” che cerco di rispettare nelle immagini che creo cercando inoltre di esaltarne le caratteristiche.

AVB: Come organizzi il tuo lavoro fotografico, quali sono le metodologie che utilizzi per realizzare la ricerca dei soggetti, lo studio compositivo, l’esecuzione in macchina, la post produzione. Quanto incide ciascuna di queste fasi sul risultato finale?

LL: Le mie fotografie nascono da un’attenta fase di studio e di osservazione dei luoghi. I soggetti che riprendo, sono essenzialmente statici, per cui questo mi lascia un ampio margine di tempo per poter osservare un luogo, studiarlo approfonditamente, proprio per rispettarne poi, in fase di scatto, l’architettura, la progettualità.

Non c’è nulla di casuale nelle mie composizioni, le porzioni di cielo, gli spazi, le geometrie interne alle immagini sono guidate da regole precise riconducibili ai principi classici dell’architettura, pur declinati in tutti le loro evoluzioni e interpretazioni.

Gioco molto con la regola dei terzi, spesso cerco di costruirmi delle severe ipotetiche griglie geometriche che possano ricondurre lo scatto ad un preciso, proporzionato e rigoroso modo di lettura dell’immagine. Il grosso lavoro di post produzione nei miei scatti è il raddrizzamento delle linee verticali; per il resto lievi ritocchi ai toni, luci, colori e contrasti.

AVB: Di quali strumenti ti avvali per realizzare i tuoi lavori? Tipo di macchina fotografica, obiettivi e post produzione?

LL: Ho una Nikon D90, un Nikkor 18-135 mm ed un Sigma 10-20 mm, un po’ datati, non stabilizzati.

AVB: Hai nel breve periodo dei progetti fotografici di cui ti stai occupando o che vorresti mettere a punto?

LL: Si, continuo a portare avanti le varietà di fotografia che prediligo, luoghi abbandonati, architettura “pura” e figure umane contestualizzate nelle città, sono tre generi di portfoli aperti, senza una fine e nei quali sono sempre alla continua ricerca ed evoluzione stilistica. Attualmente sto lavorando per la mia seconda pubblicazione “The silent cities”.

AVB: Per finire, si percepisce nel tuo lavoro e nelle tue parole molta passione per ciò che fai, cosa ti sentiresti di suggerire a coloro che inesperti vogliano approcciare la fotografia? Cosa ti ha insegnato la tua esperienza?

LL: Consiglio di approcciarsi alla fotografia con molta pazienza, un passo alla volta e senza ansia da prestazione. Magari acquistando inizialmente una reflex entry level, perché il mezzo più complesso determina un approccio alla fotografia che risulta più complicato.

Ritengo necessario frequentare un valido corso base, utile a capire i concetti alla base di questa arte. Oggi, grazie al digitale, abbiamo la fortuna di poter vedere immediatamente il risultato di uno scatto, enorme vantaggio per chi cerca di imparare.

Bisogna poi imparare ad affinare la capacità di cogliere, prima di realizzarla, la composizione della fotografia. Scegliere prima di qualsiasi cosa, il taglio e se sarà in B/W oppure a colori. Ritengo un errore determinare queste cose dopo averlo realizzato, in fase di post produzione. Sembra questa l’opera di chi ha confusione, di chi non ha approcciato bene l’ambiente che stava riprendendo. 

AVB: Lorenzo, non ci resta che ringraziarti per la gentile concessione di questa intervista. Non è sempre facile parlare di sé e dei propri lavori, per cui apprezziamo molto la tua disponibilità.

LL Grazie a voi dell’opportunità concessami. Alla fine di questa amabile chiacchierata, permettetemi di salutare gli amici di ArteVitae, arrivederci.

Riferimenti dell’autore

e-mail: lorenzo@linthout.it

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[Ndr] : Tutte le immagini contenute in questo articolo sono coperte dal diritto d’autore e sono state gentilmente concesse Lorenzo Linthout ad ArteVitae per la realizzazione di quest’articolo.