15 Maggio 2019 By Donato Nicoletti

Lone Ride Around: Pamir, sul tetto del mondo

Lone Ride Around. Continua il foto-racconto di viaggio che ci conduce nelle ex Repubbliche Sovietiche di Tajikistan e Kyrgyzstan, per salire sul tetto del mondo: l’Altopiano del Pamir, ai confini con l’Afghanistan.

di Donato Nicoletti

Il caravanserraglio di Tash Rabat, Kyrgyzstan

Fra tutte le Repubbliche della” fu” Unione Sovietica, il Tajikistan è quella che è rimasta, per lungo tempo, avvolta da un alone di mistero quasi mitologico, remota e inaccessibile. A causa della loro posizione strategica (tra Cina e Afghanistan) queste terre assunsero un enorme rilevanza geopolitica già ai tempi del Grande Gioco (ripartizione delle influenze nella regione tra l’Impero britannico e  i Romanoff) che proseguì sotto i diktat del Cremlino. il Paese, infatti, rimase totalmente precluso a chi non vi era nato, vista la massiccia presenza di guarnigioni militari, che sarebbero servite, nel 1979, come teste di ponte per l’invasione delle truppe dell’Armata Rossa nella terra dei Talebani.

Il villaggio di Karakul, sulle sponde dell’omonimo lago, Tajikistan

Siamo in Asia Centrale, in un territorio dall’orografia dirompente, immensa e onnipotente. Qui, nella Regione Autonoma del Gorno-Badakhshan, si trova quello che i Tajiki chiamano “Bam y Dunya”, il tetto del mondo, ovvero, l’Altopiano del Pamir. Ma, per raggiungerlo, bisogna affrontare una delle strade più ostiche e pericolose del pianeta, per frane, valanghe e inondazioni: la famigerata M41, meglio conosciuta come Pamir Highway.

L’esondazione del fiume Panji, al confine tra Tajikistan e Afghanistan

Completata nel 1940, questa arteria vitale si è letteralmente dissolta insieme al crollo dell’Unione Sovietica, lasciando ai posteri solo timidi accenni di asfalto, malridotto, circondato da buche, sassi e panorami dalla bellezza ancestrale. In quest’area, La M41 corre lungo il fiume Panji, che divide il Paese dall’Afghanistan, il quale è soggetto a rapide, e deleterie, inondazioni. Capita così di dover caricare la moto su un camion per affrontare una serie di guadi profondi, in modo da proseguire il cammino, viaggiando tutta la notte con lo spauracchio di venire sommersi da una repentina onda di piena. Superato l’ostacolo, e raggiunta Khorog, comincia l’ascesa all’altopiano vero e proprio. Questo desolato, inospitale e ventoso, plateau, offre però scenari di rude bellezza e la bizzarra supremazia degli ovini sugli umani.

Islomiddin Aslanov, il camionista Tajiko e il suo provvidenziale camion Kamaz, Khorog, Tajikistan

Alichur, Murghab e Karakol, sono gli unici villaggi lungo la strada, dove è possibile trovare cibo, riparo e calore umano, tale da non farti patire le temperature rigide, anche ai 3.650 metri di Murghab, in piena estate. I Pamiri (di stirpe Persiana) sono abituati all’esercizio dell’istinto di sopravvivenza, piuttosto che all’idea di vita che intendiamo in occidente. Il contesto naturale, affascinante per il viaggiatore di passaggio ma ostile alla sedentarietà degli autoctoni, viene affrontato dai locali come una condizione di normalità: per quanto possa essere normale vivere senz’acqua, ed elettricità, corrente, costantemente al freddo, e seguendo, giocoforza, un regime alimentare limitato e non sempre sufficiente.

Momenti di vita quotidiana ad Alichur, Altopiano del Pamir, Tajikistan

Però, occorre dire che, nonostante le difficoltà di varia natura che questa terra impone, e le riflessioni sociologiche sulle condizioni di vita dei Tajiki, il Pamir val bene qualche sacrificio logistico da affrontare per arrivare al suo cospetto. Il Passo Ak Baital (4.655 metri) e il Kyzyl Art (4.250 metri) sono le estremità più elevate dell’altopiano, lungo le quali corre la M41, dalla gola del fiume Gunt a sud, alle drammatiche acque del Lago Karakul a nord, da dove si prosegue per il Kyrgyzstan.

La Pamir Highway nel tratto tra Murghab e Karakul, Tajikistan

Anche qui, in una terra che lentamente degrada dalle vette innevate ai verdi pascoli, ma sempre in altura, i ritmi di vita e le usanze scorrono lente e sempre uguali a se stesse, tra le yurte dei pastori che, ancora oggi, perpetuano una tradizione austera, e difficile, di pastorizia di sussistenza. Yak, capre e cavalli, sono la colonna portante dell’economia nomade, la base della loro cucina, quindi della loro sopravvivenza. Carne, latte e lana, vengono utilizzati come merce di scambio o, tutt’al più, in transazioni commerciali per garantire alla propria progenie un minimo di sostentamento, di speranza, per arrivare a vedere di nuovo il sorgere del sole.

L’incontro con un pastore kirghiso, e le sue pecore, rimasto senza benzina sulla strada per Murghab, Tajikistan

Solo poco tempo fa, le città di Osh e Jalalabad sono state teatro di cruenti scontri tra i Kirghisi e la minoranza Uzbeka, arrivata qui su espressa sollecitazione di Josif Stalin ai tempi del “Divide et impera” Bolscevico. Morti, feriti, interi quartieri date alle fiamme, in un crescendo di violenza fomentato dall’onnipresente, e anacronistico, nazionalismo, su entrambi i fronti: segno che, nel XXI° secolo, c’è ancora chi insegue i fantasmi della propria ristretta visione delle cose.

Il tramonto sul Lago Karakul (Tajikistan) circondato dalle vette più alte dell’Asia Centrale

La M41 termina la sua corsa a Kara Balta, dove si innesta sulla M39 che porta a Bishkek, la capitale. Questa città dal nome curioso (Bishkek significa zangola in Kirghiso) è un tipico agglomerato di casermoni ed edifici marziali, frutto del gigantismo architettonico sovietico, imposto anche qui per consolidare la soverchiante influenza del PCUS.

Gioventù Kirghisa, Karakul, Tajikistan

Il Song Kol è un modesto lago alpino, nascosto in una conca remota e difficile da raggiungere, dove i pastori nomadi transumano durante la breve estate per la ricchezza di pascoli, nonostante si trovi a 3.000 metri di quota. Lo scenario è bucolico, primordiale, con lo specchio d’acqua sovrastato dalle vette del Pik Lenin (7.134 metri) e del Pik Ismail Samani (7.495 metri).

Sulla M41 verso Osh, Kyrgyzstan

L’ultima istantanea, l’ultima memoria, riguarda Tash Rabat, un antico posto di tappa lungo uno degli innumerevoli rami della Via della Seta. Qui, le yurte dei pastori nomadi fanno da contorno ai resti di un antico caravanserraglio, in una valle ammantata di verde e solcata dalle acque, gelide, di un piccolo torrente.

Le praterie che circondano il Lago Song Kol, Kyrgyzstan

Dopo aver trascorso la notte nell’accampamento, restano un centinaio di chilometri da percorrere, sulla strada sterrata che, salendo lentamente tra i rilievi della catena del Tien Shan porta al Torugart Pass (3.705 metri). Un’altra frontiera, un altro Paese, un’altra burocrazia: di quelle che ti tolgono il sonno, mentre cerchi di districarti nei meandri paludosi dell’apparato di controllo dell’ex Impero Celeste. Nonostante mille difficoltà, tra contrattempi e rinvii vari, posso finalmente dire che la Cina è vicina: ma di questo vi racconterò in seguito.

Ospitalità in una tipica yurta, Tash Rabat, Kyrgyzstan

L’accampamento di Tash Rabat, con in primo piano la toilette in comune

La strada che porta al Torugart Pass e al confine con la Cina


Note biografiche sull’autore

Negli ultimi trent’anni Donato Nicoletti ha accumulato una significativa esperienza come viaggiatore motociclista in tre continenti (Europa, Africa e Asia). Reporter, fotografo e redattore, opera in ambito giornalistico dal 2008. Dal 2013 opera anche come accompagnatore di gruppi in motocicletta, viaggiando in Europa, Tunisia, Stati Uniti e India. E’ inoltre creatore e organizzatore del Travellers Camp, un happening sulla cultura dei viaggi in moto che si tiene ogni anno, dal 2014, sulle colline dell’Appennino parmense.