Il Ladakh, nascosto tra le vette dell’Himalaya e tra le strade più alte della terra, si apre al viaggiatore come uno scrigno magico, pieno di bellezze naturali e spirituali.

La strada verso il Pangong Tso, Ladakh, India
E’ una strada dura, ostica e impervia, quella verso il cielo. Una strada metafisica, capace di toccare nel profondo lo spirito e mettere in soggezione chiunque, anche il viaggiatore esperto, il giramondo abituato ad affrontare avversità d’ogni sorta e fatta: perché nulla e comparabile, in difficoltà e bellezza, al Ladakh.

L’ascesa al Rothang La (3.900 mt), Himachal-Pradesh, India
Occorre precisare che, pur essendo alla portata di molti, l’impegno non è da prendere sotto gamba, in quanto entrano in gioco fattori importanti, e talvolta pericolosi, che potrebbero mettere in seria difficoltà chi decidesse di affrontare le, imprevedibili, strade di questo angolo remoto di mondo per raggiungere Leh, nel cuore dell’Himalaya indiano.

Le More Plains, un plateau a 4.700 metri a nord di Pang, Jammu & Kashmir, India
Il Ladakh fa parte dello stato di Jammu & Kashmir, situato nell’estremo nord del Paese, stretto tra il Pakistan a ovest e la Cina a est. “La Terra degli alti passi” questo il significato della parola in lingua ladakha, è formalmente territorio indiano ma, culturalmente, è legata al Tibet, da cui la separa un confine indefinito, e conteso, con Pechino.

Bharatpur, luogo di sosta lungo la Manali-Leh Highway, Jammu & Kashmir, India
La rotta più battuta per raggiungere il Ladakh è quella che, partendo da Manali nell’Himachal-Pradesh, in poco meno di cinquecento chilometri e attraverso una serie di passi impegnativi, porta nella Valle dell’Indo, dove si trova l’oasi di Leh.

Panorama di Leh dallo Tsemo Gompa, Jammu & Kashmir
Ma non pensiate di affrontare una comune strada di montagna: in condizioni ottimali, occorrono almeno due giorni per coprire la distanza che separa le due località. In mezzo, potrete trovare di tutto: dai tornanti fangosi del Rothang La (il primo passo che si affronta a 3.900 metri) alla disastrata discesa verso Keylong, per proseguire con l’ascesa al Baralacha La (“La” sta per passo in ladakho) a 4.900 metri.

Lo Shanti Stupa a Leh, Ladakh
Solitamente ci si ferma per la notte a Sarchu, che altro non è se non un accampamento stagionale di tende, in un pianoro a oltre quattromila metri, poi si prosegue, restando sempre in quota, toccando Pang, prima di affrontare il Taglang La, a 5.328 metri, e la sua lunga discesa verso Leh.

Il centro di Leh e, sullo sfondo, il Royal Palace
Leh conta circa 25.000 abitanti, è il centro amministrativo della regione e punto imprescindibile di sosta e transito per tutti i viaggiatori. Data la sua importanza burocratica, economica e sociale, qui convivono Buddhisti, Hinduisti, Musulmani, Sikh e una piccola comunità di Cristiani, uniti in una tacita alleanza per affrontare la durezza di questo stupefacente deserto d’altura e il suo rigido clima invernale: l’area, infatti, diviene inaccessibile via terra da ottobre a giugno, quando la strada che la collega al resto del mondo viene sepolta sotto metri di neve.

Lo Tsemo Gompa visto dallo Shanti Stupa, Leh
Isolati per buona parte dell’anno, Leh e il Ladakh hanno cosi potuto salvaguardare la loro profonda anima spirituale legata al Buddhismo, che qui attecchì prima di espandersi nel vicino Tibet. Prova ne sono i numerosi Gompa (Monasteri) che con il loro bianco candore punteggiano i crinali e le valli della regione.

La valle dell’Indo vista dal Monastero di Thiksey, Ladakh
L’atmosfera mistica si percepisce profonda in Ladakh, nelle dinamiche di tutti i giorni, così come nei luoghi deputati alla fede di Siddhartha Gautama. Sono proprio i monasteri una delle attrattive principali, grazie alla loro collocazione, altamente scenografica, e all’importanza che rivestono nella vita sociale dei Ladakhi. Tra i tanti, spiccano lo Tsemo Gompa, il quale domina Leh, il Thiksey Gompa (il maggiore per estensione che ricorda vagamente il Potala di Lhasa), lo Stakna Gompa, e i Gompa di Chemrey, Diskit e Likir, giusto per menzionarne alcuni.

Il Buddha assiso del monastero di Diskit, Nubra Valley, Ladakh
Ma non di soli monasteri vive il Ladakh: anzi, in passato Leh fungeva da tappa lungo le vie commerciali che dal Tibet raggiungevano, lungo l’Indo, il Kashmir a ovest e, attraverso il passo Karakorum, lo Xinjiang e la Cina a nord.

Il Gompa di Chemrey, Ladakh
Di tutto questo passato, oltre alle rotte diventate strade, restano i suggestivi Cammelli della Battriana che, utilizzati un tempo per il trasporto di merci, fungono oggi da attrattiva turistica tra le dune di sabbia della spettacolare Nubra Valley.

I Cammelli della Battriana, Nubra Valley, Ladakh
Poi ci sono i laghi: gemme d’acqua cristallina, incastonate tra le vette dai colori cangianti, impegnativi da raggiungere, ma capaci di offrire panorami senza eguali e momenti di introspettiva meditazione, in un silenzio surreale rotto solo dal sibilare del vento. Il più noto, e il più grande dell’Himalaya, è il Pangong Tso, il quale si estende, per oltre cento chilometri, a 4.250 metri tra India e Cina. A seguire, in ordine decrescente, troviamo lo Tso Moriri e lo Tso Kar, quest’ultimo utilizzato in passato dai nomadi Changpa per l’estrazione del sale che veniva commerciato con il Tibet.

Il Pangong Tso, al confine con la Cina, Ladakh
A ottobre inoltrato il freddo comincia a farsi più che pungente e, sulle montagne, il bianco della neve prende il sopravvento, segno che l’inverno sta bussando alle porte. Arriva così il momento di lasciare questa terra: una terra di vette impervie, di strade difficili e monasteri suggestivi, dove il cielo è di un blu innaturale. Dove, pur tra mille difficoltà, l’approccio alla vita della sua gente mantiene questa terra a distanza siderale dalla frenesia masochista della nostra contemporaneità, scandita da ritmi sempre più alienanti e snaturata dalla mercificazione dei valori basici dell’uomo che, sempre più spesso, si abbassa a barattare con la propria anima.

Le sponde ricoperte di sale dello Tso Kar, Ladakh

Campane tibetane al Tibetan Refugee Market, Leh, Ladakh

Casa di pastori Changpa, Spangmik, Pangong Tso, ladakh

Il monastero di Thiksey, Ladakh

Il Tibetan Refugee Market a Leh, Ladakh
Note biografiche sull’autore
Negli ultimi trent’anni Donato Nicoletti ha accumulato una significativa esperienza come viaggiatore motociclista in tre continenti (Europa, Africa e Asia). Reporter, fotografo e redattore, opera in ambito giornalistico dal 2008. Dal 2013 opera anche come accompagnatore di gruppi in motocicletta, viaggiando in Europa, Tunisia, Stati Uniti e India. E’ inoltre creatore e organizzatore del Travellers Camp, un happening sulla cultura dei viaggi in moto che si tiene ogni anno, dal 2014, sulle colline dell’Appennino parmense.
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