Lone Ride Around: Il Triangolo d’Oro?
Lone Ride Around. Cultura e storia, non sempre ortodossa, si incrociano nel sud est asiatico, dalla Thailandia al Laos, alla Cambogia. Alla scoperta di un triangolo che, per certi versi, ha perso i suoi riflessi dorati. Di Donato Nicoletti

Gli Stupa dorati del Royal Palace, Bangkok
Nell’immaginario collettivo, il “Triangolo d’Oro” evoca l’epopea della produzione e del traffico di oppio ed eroina nell’area a cavallo dei confini tra Myanmar, Laos e Thailandia. Il commercio di queste sostanze venne avviato già nel XVIII secolo, prevalentemente per il consumo locale e delle vicine India e Cina poi, grazie al perspicace pragmatismo della Compagnia Britannica delle Indie Orientali (gli Inglesi, sempre loro), il traffico dell’oppio si espanse su scala globale.

Relax e meditazione a Wat Benchamabophit, Bangkok
Questo business, utile per alcuni ma letale per i più, raggiunse il suo zenith a cavallo degli anni ‘60 e ‘70 del secolo scorso, quando cominciò la produzione di eroina. I trafficanti, forti del loro potere economico, innescarono connivenze con le autorità dei singoli paesi, necessarie per consentire il transito delle sostanze dai centri di produzione ai mercati di tutto il mondo, con le conseguenze che ben conosciamo.

I tetti a pagoda del Wat Arun, Bangkok
Tra i vari signori della droga, vi era anche un gruppo di nazionalisti cinesi del Kuomintang, i quali, dopo essere stati sconfitti dall’esercito rivoluzionario di Mao Zedong, ripararono nel Myanmar, dove cominciarono a produrre enormi quantità di oppio ed eroina, spostandosi in seguito nell’area di Mae Salong in Thailandia.

I guardiani del tempio, War Arun, Bangkok
Ma la definizione di “Triangolo d’Oro” potrebbe essere usata anche per indicare le bellezze architettoniche, e naturali, di quella parte della penisola indocinese che ingloba i territori di Thailandia, Laos e Cambogia, se non fosse che, la cupidigia e la bramosia di potere dell’uomo ne abbia macchiato, in alcuni casi indelebilmente, lo splendore.

Particolare del Buddha assiso, Sukhothai, Thailandia
A Bangkok, oltre otto milioni di persone vivono congestionate tra arterie brulicanti di traffico, monumenti dalla bellezza unica, e una skyline che poco ha da invidiare alle metropoli d’oltreoceano. Ciò che colpisce è la disciplina stradale perché, nonostante il volume abnorme di veicoli che procedono a passo d’uomo, quasi nessuno usa il clacson o tenta di svicolare maldestramente per guadagnare qualche metro di asfalto: è un caos calmo, che procede con ordine, senza frenesia, ma con la compassata pazienza della virtù buddhista.

Doi Suthep, Chiang Mai, Thailandia
Una delle, piacevoli, consuetudini del popolo Thai è quella di approcciarsi al prossimo con un sorriso spontaneo, quasi inerziale, il quale raramente nasconde secondi fini. La gentilezza e la propensione verso l’altro sono il prezioso patrimonio che la cultura locale offre tutti i giorni, ovunque, nelle città come nei remoti villaggi immersi nella lussureggiante macchia sub tropicale. Attenzione, però, a non abusare della fiducia e della benevolenza Thai: essi sono si sorridenti, affabili e leali, ma qualsiasi tentativo di approfittare della loro disponibilità verrà marcato a fuoco con il segno dell’offesa eterna.

Sul Mekong a Ban Houayxay, Laos
Varcato il, tristemente, noto Mekong, giusto a Ban Houayxay (storicamente il maggiore centro di produzione di oppio ed eroina del Paese) si entra in Laos. Anche qui le persone si approcciano alla vita con dinamiche posate, in armonia con la tranquillità del contesto ambientale, senza però quella inclinazione ad illuminare il viso con un sorriso. Il motivo è che ci sono istanze urgenti da affrontare, come l’indigenza generale, dovuta ad un’economia ridotta al lumicino (se si escludono gli oppiacei) e alla corruzione, figlia delle sempiterne lotte intestine di potere.

Sulla strada tra Luang Prabang e Vientiane, Laos
Le diverse fazioni del governo si schierarono, al tempo delle guerre indocinesi, da una parte con gli Stati Uniti e dall’altra con i Viet Cong fedeli a Mosca e Pechino, giusto per preservare gli interessi di casta, non certo quelli della popolazione.

Monaci in attesa, Siam Rep, Cambogia
Oggi il Laos sta lentamente imboccando la via d’uscita dal suo passato in chiaroscuro, grazie anche alla decisione di Washington, ovviamente per fini esclusivamente “filantropici”, di depennare il Paese dalla lista degli “stati canaglia”, in modo da consentire congrui investimenti, guarda caso da parte di aziende statunitensi, per riavviare lo sviluppo economico nazionale.

Angkor Wat, Cambogia
Seguendo, verso sud, la corrente del Mekong si entra in Cambogia. Dei tre Paesi in questione, la Cambogia è forse quello che più ha sofferto la brutalità dell’uomo contro i suoi mili, quantomeno in tempi storici relativamente recenti.

L’ingegno dell’uomo e la potenza della natura, Angkor Wat, Cambogia
Alle bellezze naturali, e allo splendore ritrovato dell’immensa e stupefacente Angkor, fanno da contraltare, a Phnom Penh, le lugubri celle della Suretè-21 (S-21), un ex Liceo che ospitò il più temibile e spietato centro di detenzione dei Khmer Rossi.

Una delle sale di tortura della S-21. Phnom Penh, Cambogia
Qui, nell’arco di cinque anni, vennero internate, torturate e uccise, con l’accusa spesso infondata di tramare contro il regime, circa 20.000 persone, tra cui intellettuali, giornalisti e persino chi, nonostante l’appartenenza allo stesso schieramento, aveva la sola colpa di essere filo sovietico o vicino ai rivoluzionari vietnamiti. L’operato di Pol Pot, e dei suoi sodali, si tramutò in un vero e proprio delirio di onnipotenza, in un agghiacciante scollamento dalla realtà, attuando un pensiero retrogrado che portò allo sterminio di circa un milione e mezzo di persone, vuoi per mano diretta dei Khmer Rossi, vuoi per fame e carestie varie, dovute alla folle pretesa di instaurare nel paese un’autarchia assoluta.

Lunch time, Phnom Penh, Cambogia
L’incubo ebbe il suo epilogo solo quando i vietnamiti entrarono a Phnom Penh nel 1979, mettendo così fine ad un lustro di terrore e sangue, estirpando le radici malate di una visione distorta e alienante di un’ideologia che, sulla carta, avrebbe dovuto mettere gli uomini su un piano paritetico ma che invece, dagli uomini stessi, è stata tradita e violentata con meschina bassezza.

Tramonto sul Mekong, Kratie, Cambogia
Note biografiche sull’autore
Negli ultimi trent’anni Donato Nicoletti ha accumulato una significativa esperienza come viaggiatore motociclista in tre continenti (Europa, Africa e Asia). Reporter, fotografo e redattore, opera in ambito giornalistico dal 2008. Dal 2013 opera anche come assistente di gruppi in motocicletta, viaggiando in Europa, Tunisia, Stati Uniti e India. E’ inoltre creatore e organizzatore del Travellers Camp, un happening sulla cultura dei viaggi in moto che si tiene ogni anno, dal 2014, sulle colline dell’Appennino parmense.
Lone Ride Around è il nome del progetto di viaggio realizzato da Donato Nicoletti che racconta su queste pagine la sua permeante cavalcata solitaria nel continente asiatico. Un’altro mezzo per viaggiare, la moto, un’altra prospettiva da cui vedere il mondo e se stessi, dopo quattordici mesi e oltre sessantamila chilometri percorsi.