Le sentinelle dello Stretto di Messina: i “Forti Umbertini”
Costruiti sul finire dell’ottocento dal nuovo Stato Italiano unificato per difendere lo Stretto di Messina dai nemici esterni, formano un sistema unico al mondo costituito da venti postazioni fortificate disposte sulle due sponde della Sicilia e della Calabria. Poiché il re dell’epoca era Umberto I, sono conosciuti anche come Forti Umbertini.
di Francesco Galletta
Lo Stretto di Messina, centro geografico esatto del Mediterraneo, è stato da sempre un luogo strategico. Sede del mito di Scilla e Cariddi, area di scambio tra l’Isola e la punta dello Stivale, via d’acqua agevolata per le merci e le persone tra il nord e il sud del mondo antico e tra l’est e l’ovest, in alcuni momenti storici fu un confine, ma più spesso il mare interno di una Nazione.
La Storia ci insegna, inoltre, che Messina soprattutto dall’anno Mille in poi, è sempre stata una piazzaforte. Ricordiamo, infatti, le due principali linee di difesa che la protessero nel tempo: le Mura Normanne (raffigurate anche nei dipinti di Antonello) che chiudevano anche il fronte sul porto fino agli inizi del ‘600 e la Cinta Spagnola del Ferramolino, che ridisegnò l’intera immagine urbana nel ‘500 sotto Carlo V.
Messina, la città dei bastioni pentagonali e dei forti esterni a corona; con il suo porto naturale a forma di falce che raccolse l’intera Armata Cristiana in partenza per la battaglia di Lepanto nel 1571. Messina, alla quale fu imposta una munitissima Cittadella pentagonale stellata per essersi ribellata alla Spagna nel 1674.
Quella stessa costruzione che diventata borbonica, prima cannoneggiò la città nelle rivolte del 1848, poi fu l’ultimo pezzo del regno delle Due Sicilie ad arrendersi ai Savoia, dopo la distruzione e la resa di Gaeta. Messina che nonostante, oggi, siano cambiati gli scenari politici mondiali, mantiene ancora al suo interno vastissime aeree di esclusiva pertinenza militare.
Nel riconfigurazione complessiva del nuovo Stato Italiano variamente unificato sotto la bandiera savoiarda tra il 1859 e il ’70, uno degli obiettivi primari fu la costituzione di un sistema fortificato a difesa di questo importante braccio di mare contro le minacce esterne, soprattutto francesi.
Il nuovo regno, passato in poco tempo dalla posizione piemontese di forza regionale al rango nominale di potenza continentale, aveva bisogno infatti di coprirsi le spalle dai vicini ingombranti e ben più organizzati. Regnando Umberto I (1878-1900) fu posta mano, quindi, a una revisione globale delle difese nazionali, in punti ben precisi del territorio.
I quindici forti che cinsero Roma Capitale tra il ’77 e il ’91, ne rappresentano un esempio eclatante. Un altro importante intervento fu compiuto intorno al golfo di La Spezia, ma qui le costruzioni, imponenti di numero (13 forti e 9 batterie), erano già state iniziate con il Regno di Sardegna nel 1859.
Nel nostro caso, fra il 1884 e il 1890, sui due fronti dello Stretto furono edificate venti postazioni fortificate, oggi entrate nell’immaginario comune con il termine di Forti Umbertini. Furono “sentinelle” a presidio della via d’acqua, con la finalità di non interrompere la continuità di difesa del nuovo territorio nazionale.

veduta notturna da Forte Cavalli verso Messina; foto Franco Sondrio, con Francesco Galletta
Con termine meno popolare e più tecnico, nel loro complesso si devono definire: Fortificazione permanente dello Stretto di Messina (Lo Curzio-Caruso, 2006). È un insieme unico al mondo, poiché irripetibile è lo scenario geografico su cui tale sistema si affaccia, ma anche per l’utilizzo di precise tipologie, per l’altissima qualità di esecuzione e per l’impiego di materiali da costruzione simili in ogni postazione.
Le venti fortezze-sentinelle cambiarono l’assetto puntuale dei luoghi in cui furono edificate, reinventandone in certi casi persino la funzione, ma a ragione dei nuovi reticoli di strade che vi vennero tracciate intorno, modificarono anche l’impianto d’insieme dei collegamenti viari con la città.
Ma esattamente come furono costruiti i Forti Umbertini? Quali sono le loro caratteristiche peculiari? Per capirli al meglio bisognerebbe studiarli soprattutto nelle sezioni trasversali degli elaborati di progetto, oppure – per i non addetti ai lavori – guardarli nelle magnifiche immagini dall’alto.

forte Cavalli (Sicilia)
Prima però, è necessario accennare all’idea di base che li ha generati. Diciamo che sono l’ultimo passaggio, o magari il penultimo rispetto all’età contemporanea, di una modifica concettuale dell’elemento fortificato, transitato nei secoli dal ruolo di deterrente visibile originato dalla modifica di una emergenza naturale, alla funzione di entità relazionata in un sistema complesso. In questo caso, addirittura mimetizzato al nemico.

forte cavalli – vista aerea dallo Stretto (da Google Earth)
Scopriamo, infatti, che nessuno dei Forti Umbertini è visibile dal mare poiché il fronte che offrono sullo Stretto è solo un brullo rilevato di terra, del tutto travisabile come possibile sommità naturale di una delle tante colline. In buona sostanza, da una parte queste sentinelle sono costruzioni ipogee, mentre dall’altra, lato monte, si aprono con vani edificati in serie affacciati su una piazza d’armi protetta da un muro.

Forte San Jachiddu (Sicilia)
I Forti Umbertini, mettevano insieme diversi concetti di difesa, legati anche alle rinnovate capacità di gittata delle artiglierie, persino raddoppiate sul finire dell’ottocento rispetto ai circa 3.500 metri dei primi anni ’60. Il nemico doveva essere, quindi, mantenuto a distanza, osservato in sicurezza e colpito senza scampo. I forti, ovviamente, comunicavano tra loro (ad esempio con i piccioni viaggiatori) e soprattutto dovevano coprirsi a vicenda.
La localizzazione, come ogni intervento di carattere militare, fu dettata dall’ovvio pragmatismo delle scelte funzionali. Soprattutto dalla capacità di copertura del tiro delle artiglierie, che doveva arrivare a includere l’intera superficie dello Stretto. Dalla sovrapposizione incrociata di tutti gli angoli di sparo non sarebbe uscito indenne neanche un convoglio dal braccio di mare messinese, né tanto meno una singola imbarcazione.
Per questo le venti strutture vennero posizionate in modo preciso. Viste oggi in evidenza puntuale su una mappa del territorio, ci appaiono come un sistema capillare nord/sud di otto fortini calabresi e nove siciliani puntati sul mare, più uno posto esattamente sullo spartiacque dei monti Peloritani sovrastanti Messina e ancora altri due oltre tale cerniera, verso il Tirreno, a protezione della spalla nord-ovest del sistema stesso.

forte Masotto (Sicilia)
Il tutto fu edificato tra il 1 novembre del 1884 (inizio lavori al Forte Matiniti Superiore di Campo Calabro) e il maggio del 1890 (fine lavori al Forte Campone di Villafranca Tirrena), ma quasi la metà delle batterie venne cominciata e del tutto conclusa in appena un anno, fra l’estate del 1889 e la primavera-estate successive. Uno sforzo colossale, sia sul piano economico sia nella preparazione dei progetti, già programmati comunque da diversi anni.
La nuova nazione, infatti, riuscita nella poco onorevole impresa di vincere una guerra contro l’Austria (la terza d’indipendenza) sulle spalle dell’alleato prussiano, pur rimediando due sventole epocali, per mare e per terra tra Lissa e Custoza; che ancora sabauda, si era appoggiata alle navi inglesi per proteggere lo sbarco dei Mille in Sicilia e che aveva ottenuto dai francesi la Lombardia nel 1859, con una partita di giro in un altro conflitto d’indipendenza (il secondo), dopo la presa di Roma decideva finalmente di mostrare i suoi muscoli al mondo.

forte Matiniti Superiore (Calabria)
Al giovane Stato, la sola prova di forza della Fortificazione dello Stretto (senza contare quindi i forti romani, spezzini e quant’altro edificato in quel lasso di tempo) costò in totale: 15.290.840 Lire del 1890, compresi gli indennizzi d’esproprio (Lo Curzio-Caruso, 2006). Un valore che, rapportato al 2005 corrisponde a circa 107 miliardi di vecchie Lire; poco più di 55 milioni di Euro. Al 2019 siamo già a 62 milioni, ma i costi furono addirittura ridotti rispetto alle previsioni iniziali di spesa.
Risultati? Non vorremmo dire zero, perché ci mancherebbe in effetti una controprova, cioè cosa sarebbe accaduto se le sentinelle non ci fossero mai state! È pur vero, però, che «da un’oggettiva analisi dell’impiego bellico dei forti dello Stretto, si può affermare che dal punto di vista militare essi servirono a ben poco» (Caruso, 2006).

modello di Forte Cavalli, Messina (scala 1:100; autore Roberto Ripepi, Museo Storico di Forte Cavalli)
Non che fossero mancate le occasioni! Dalla guerra mediterranea contro la Turchia del 1911-12, altrimenti intesa di Libia, che permise l’annessione di Cirenaica, Tripolitania e del Dodecanneso egeo, ai successivi due conflitti mondiali in cui però, come ben sappiamo, si era già modificata la modalità stessa della contesa oltre che la tipologia delle armi, per l’impiego degli aerei e, nel caso specifico, anche dei sottomarini.
Bisogna dire, comunque, che seppur costosissimi e poco efficaci in ambito bellico, i Forti Umbertini furono costruzioni solide, ben progettate e altrettanto bene eseguite. Purtroppo, ricordando in parallelo l’istituzione nell’ex regno delle Due Sicilie dello stato d’assedio e della legge Pica del 1863 o lo smantellamento di realtà industriali avanzate come il Reale Opificio di Pietrarsa a Napoli e il complesso siderurgico di Mongiana in Calabria, qualche domanda sull’uso militare di 107 miliardi (solo sullo Stretto), ce la dovremmo ancora fare, anche in rapporto alla realtà attuale.

Forte Ogliastri (Messina) – interno

Forte Ogliastri (Messina) – esterno
Tornando alle strutture, abbiamo già detto della loro precisa localizzazione dovuta a scelte di tipo strategico (distanza dalla costa, altitudine, qualità di osservatorio naturale), spesso in luoghi mai entrati fino ad allora in un contesto di eventi storici. Anche sul piano architettonico, benché i progettisti siano sempre partiti da parametri funzionali, i risultati appaiono tutt’oggi più che notevoli.
I forti hanno caratteristiche simili in ognuno dei modelli sviluppati: ipogei e nascosti dal mare, hanno strutture in muratura e vani in serie voltati a botte; quasi tutti presentano lato monte una piazza d’armi di dimensioni variabili da cui si dipartono delle rampe simmetriche che consentivano agli uomini e ai materiali di raggiungere le postazioni di sparo.

modello di Forte Cavalli, Messina (scala 1:100; autore Roberto Ripepi, Museo Storico di Forte Cavalli)
Uno stretto passaggio perimetrale contro terra, isola tutti gli ambienti dai rilevati e permette la circolazione interna dell’aria; un altro sistema di aerazione è costituito da canali incassati nella muratura con prese in alto e in basso; le acque meteoriche, in parte dirette a una cisterna sotterranea, sono smaltite attraverso un sistema formato da doccioni, discendenti in ghisa e canali di raccolta in pietra lavica.

Forte Monte dei Centri (Sicilia)
Il paramento murario è in pietra da spacco perfettamente posizionata in opera; gli stipiti di porte e finestre sono in mattoni posti di taglio ma anche in pietra; i cantonali o altri elementi cui era richiesta una resistenza maggiore sono in pietra lavica sagomata.
L’ingresso, architettonicamente autonomo rispetto al muro di cinta esterno, è raggiungibile attraverso un ponte levatoio, necessario a superare il fossato – elemento peculiare di tutti i forti – a sua volta difeso dai possibili attacchi esterni grazie alla caponiera, una costruzione a due livelli emergente dal fronte del muro.

forte Cavalli (Sicilia)
Quasi tutte le batterie avevano un presidio di circa 200-250 uomini di truppa con due o tre ufficiali di comando, ma i numeri erano variabili (Forte Cavalli, ad esempio, ne aveva 290 con cinque ufficiali). Inoltre le capacità di ricovero potevano essere ampliate ancora, grazie agli attendamenti e ai baraccamenti provvisori posti all’esterno.
Cosa rimane oggi dei Forti Umbertini? Moltissimo! Le strutture ci sono quasi tutte, benché non potendo più essere utili ai fini militari, nel corso del Novecento siano state progressivamente alienate. Come avviene sempre in questi casi, usi e abusi impropri ne hanno in seguito snaturato la funzione originaria, con alcuni casi limite di parziale o quasi totale demolizione.

Forte Schiaffino (Sicilia)

forte Petrazza (Sicilia)

Forte Campone (Sicilia)
Negli ultimi decenni, grazie alla riscoperta degli studi storici basati sui documenti originali, ai rilievi dei manufatti e all’impegno di alcuni appassionati, molte di quelle sentinelle, soprattutto sulla costa messinese, sono tornate in vita con nuove funzioni (Museo Storico, presidio del Demanio Forestale, ristorazione, sedi Scout, contenitori di attività culturali, Parco Ecologico). Altre, purtroppo, rimangono ancora in abbandono.

forte Puntal Ferraro – presidio del Demanio Forestale, parco dei daini (Sicilia)
Quelli che prima erano luoghi strategici ora sono diventati osservatori panoramici con valenza ambientale. Benché sia mancato (né s’intraveda) un piano complessivo d’intervento e malgrado certe “nuove vite” dei Forti Umbertini siano state a volte brevi, alcune di quelle strutture oggi funzionano bene. Favorite dal fascino del loro “vestito antico” in pietra e mattoni, le sentinelle che un tempo presidiavano lo Stretto stanno scrivendo ora una nuova Storia per la Comunità.
Note biografiche sull’autore
Francesco Galletta (Messina, 1965), architetto, grafico. Titolare di Tecniche Grafiche alle scuole superiori; laureato con una tesi di restauro urbano, è stato assistente tutor alla facoltà di Architettura dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria per Storia dell’Urbanistica e Storia dell’Architettura Moderna. Dottore di Ricerca alla facoltà di Ingegneria di Messina, in rappresentazione, con una tesi dal titolo: “L’Immaginario pittorico di Antonello”. Con l’architetto Franco Sondrio ha rilevato, per la prima volta, la costruzione prospettica e la geometria modulare dell’Annunciazione di Antonello. La ricerca, presentata in convegni nazionali e internazionali, è pubblicata in libri di diversi autori, compresa la monografia sul restauro del dipinto. Sempre con Franco Sondrio ha studiato l’ordine architettonico dell’ex abbazia di San Placido Calonerò nell’ambito del restauro in corso e scoperto a Messina un complesso architettonico della metà del ‘500, collegato al viaggio in Sicilia del 1823 dell’architetto francese Jaques Ignace Hittorff.
Per Artevitae Francesco Gallettà scrive nelle sezioni Architettura e Design, Arte e Cinema
[Ndr] Tutte le foto e i video presenti in questo articolo, ove non specificato, sono stati reperiti in rete a puro titolo esplicativo e possono essere soggetti a copyright. L’intento di questo blog è solo didattico e informativo.
Galletta autentico. Sciacciante evidenza della padronanza degli argomenti, non ostentata, ma piacevolmente dettagliata.
Good job Fra!!!