Preziose cartoline dall’Italia: micromosaico e Grand Tour
Quando un’arte molto antica si mette a disposizione dei colti turisti stranieri del ‘700 e dell’800: il grand tour del micromosaico.
di Giusy Baffi

Piazza san Pietro – Micromosaico – fine XVIII / inizio XIX secolo
L’Italia ha sempre vantato una lunga tradizione nell’arte musiva: dai mosaici dell’antica Roma, passando a quelli bizantini che hanno in Ravenna una delle due città imperiali (l’altra era Costantinopoli), esaltandosi nella Sicilia di epoca normanna con la Cappella Palatina, attraversando il virtuosismo musivo di San Marco a Venezia per poi tornare a primeggiare a Roma nel 1700.
E’ infatti a Roma che nel 1727 viene istituito lo Studio Vaticano del Mosaico con un gran numero di mosaicisti alle dipendenze della Reverenda Fabbrica di San Pietro.

Bacchette in pasta colorata – foto ©Cinzia Orrù
Nel 1731 Alessio Mattioli, fabbricante di paste vitree, scopre una formula a base di stucco e olio di lino che permetteva, filando gli smalti in bacchette, di preparare tessere di misura estremamente ridotta, anche inferiore al millimetro e con una vastissima gamma di colorazioni, si parla di oltre 18.000 tonalità di colore.
Questa scoperta segnò l’esordio del micromosaico.
Le opere in micromosaico divennero di gran moda, applicate nella decorazione di oggetti personali e d’arredamento come piani dei tavoli, piccoli quadri, tabacchiere e perfino gioielli.
Questa produzione di lusso si diffuse presso papi, diplomatici e aristocratici. I soggetti iconografici si richiamavano alle tematiche antiche tornate di gran moda grazie alle nuove scoperte archeologiche, ai monumenti di Roma, alla campagna romana, oltre che a una vasta rappresentazione di animali, di composizioni floreali e personaggi.

Arco di Costantino – placca in micromosaico – inizio XIX secolo © Porro Casa d’Aste

Colombe di Plinio -placca in micromosaico – inizio XIX secolo © Bruschin Tanca Antichità
Quasi contemporaneamente assistiamo a un’espansione del Grand Tour, il lungo viaggio nell’Europa continentale, diventato un passaggio obbligato per gli eredi di nobili casate, spesso affiancati dai figli della classe borghese, meno blasonati ma a volte più facoltosi.
Le destinazioni più in voga erano la Francia, l’Olanda, la Germania, ma l’ obiettivo più privilegiato in assoluto, la meta fondamentale, era l’Italia con le sue principali città, Roma in particolare. Le nuove scoperte archeologiche a Ercolano, Pompei e Paestum furono un ulteriore richiamo per quella schiera fitta ed eterogenea di “turisti” stranieri.

Fori Imperiali – placca in micromosaico – fine XVIII secolo/inizio XIX secolo – © Cambi Casa d’Asta
Un uomo che non sia stato in Italia, sarà sempre cosciente della propria inferiorità, per non avere visto quello che un uomo dovrebbe vedere. Samuel Johnson
Verso la fine del ‘700 ogni uomo di cultura europeo che si rispettasse doveva aver compiuto almeno un viaggio in Italia, Paese ricco di testimonianze del passato classico e cornice di splendidi capolavori. Questo boom si protrasse fino all’’800 con il nome di Grand Tour. Il termine fu coniato per la prima volta nel 1670 dall’inglese Richard Lassel nel suo libro “Voyage of Italy, or a complete Journey through Italy”, la prima “guida” di grande diffusione che i colti e curiosi turisti si portavano utilmente appresso.
E’ evidente che davanti a tanto turismo di lusso e proprio per soddisfare la crescente richiesta di souvenirs, i mosaicisti romani iniziarono a produrre un’infinita varietà di oggetti in micromosaico estremamente raffinati, che avevano come soggetto i luoghi famosi di Roma: Piazza san Pietro, Fori Imperiali, Pantheon.

Pantheon – placca in micromosaico – fine XVIII secolo/inizio XIX secolo ©Porro Casa d’Aste

Domenico Moglia – Il Colosseo – Placca in micromosaico – metà XIX secolo ©l’immagine può essere protetta da copyright

Tabacchiera in micromosaico – Inizio XIX secolo ©l’immagine può essere protetta da copyright
Già sul finire del ‘700 Piazza di Spagna e le vie adiacenti, luoghi preferiti dai viaggiatori stranieri che soggiornavano in città, si riempirono di ateliers specializzati in questa arte, tra questi quello di Giacomo Raffaelli, Nicola Roccheggiani, Nicola De Vecchis e Antonio Aguatti; persino lo Studio Vaticano nel 1795 entrò nel florido mercato cittadino con una produzione di soggetti profani.

Giacomo Raffaelli – micromosaico con cardellino – fine XVIII secolo – ©l’immagine può essere protetta da copyright

Giacomo Raffaelli – L’ultima Cena, dettaglio – micromosaico – fine XVIII secolo ©l’immagine può essere protetta da copyright
Proprio dai mosaicisti dei laboratori dello Studio Vaticano vennero realizzati degli splendidi gioielli in micromosaico, orecchini, spille, bracciali.

Bracciale in micromosaico – inizi XIX secolo – ©Antichità Valiani

Spille in micromosaico – inizi XIX secolo. © l’immagine può essere protetta da copyright
Persino Goethe, nel suo Italienishe reise del 1786 citava: ” ……l’arte del mosaico, che agli antichi offriva i pavimenti, ai cristiani inarcava il cielo delle loro chiese, ora si è avvilita fino alle tabacchiere e ai braccialetti…….. “.
Fortunatamente Goethe si sbagliava nel disprezzare quella serie infinita di minuscoli oggetti in micromosaico, piccoli capolavori usciti da mani di artisti famosi o anonimi che, sempre più apprezzati, stanno raggiungendo notevoli quotazioni nelle attuali aste.
La tecnica del micromosaico:
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