L’amore tormentato secondo Hollywood
Nuova puntata dedicata alle storie d’amore del cinema, in particolare a quelle tormentate, che gli Studios hollywoodiani hanno reso format sicuro per il successo di pubblico e critica. Ripercorriamo qui i più amati e ‘fortunati’ ostacoli all’amore raccontati dal cinema classico americano.
di Gabriella Maldini

Audrey Hepburn e Gregory Peck in Vacanze romane, 1953
La storia di Romeo e Giulietta è un capolavoro di sfortuna che ci ricorda come i modi che il destino ha per separare due innamorati siano infiniti. Tra i più frequentati dal cinema troviamo innanzitutto le differenze sociali: due esempi ultra classici (e dunque exempla ideali) sono Vacanze romane (di William Wyler, 1953) e Sabrina (di Billy Wilder, 1954). Due film perfettamente speculari che vedono la stessa attrice protagonista (Audrey Hepburn) in due situazioni opposte. In Vacanze romane è la principessa che s’innamora, ricambiata, dello squattrinato giornalista Gregory Peck, mentre in Sabrina è la figlia dell’autista di una famiglia di milionari che s’innamora del più giovane dei due figli di questa (ma poi finirà per sposare quello più anziano, interpretato dal mitico Bogart).

Audrey Hepburn e William Holden in Sabrina, 1954
La questione interessante è che, nel primo caso, in cui la donna è socialmente ed economicamente superiore all’uomo, la storia d’amore naufraga, i due non possono vivere il loro amore, sono costretti a dirsi addio. Nel secondo caso, invece, in cui la donna è la parte debole, abbiamo il lieto fine. Come dire: l’uomo ricco e potente può portare la donna nel suo mondo ma il contrario è molto più difficile. Cosa ci ricorda questo? Che la sceneggiatura di Cenerentola, nonostante tutto, è ancora la più forte e la più diffusa. E questo la dice lunga sugli stereotipi culturali di cui anche il cinema inevitabilmente è figlio; un dato di fatto che non deve sorprenderci perché il cinema è fatto da uomini inseriti in un contesto sociale e culturale di cui non possono che essere espressione, causa ed effetto. Ricordiamo poi che il cinema, in particolare, è, da sempre, un mestiere prettamente maschile e quindi maschilista.

Humphrey Bogart e Audrey Hepburn in Sabrina, 1954
Vedere come il cinema racconta l’Amore, significa rendersi conto dei valori sociali e culturali di un determinato paese e di una determinata epoca.
Un’altra pellicola perfetta per proseguire questo discorso è Il ponte di Waterloo (1941) dove, se Vivien Leigh e Robert Taylor non riescono a coronare il loro sogno d’amore, non è solo a causa della Prima Guerra mondiale, ma di molto altro. Ad esempio che appartengono a classi sociali molto diverse: lei è una piccola, povera ballerina e lui un alto ufficiale della Royal Navy britannica, per giunta appartenente ad una famiglia di rango. Fin dall’inizio quindi, lei teme di non essere accettata dalla sua famiglia e cerca di non farsi illusioni sulla loro possibilità di essere felici.

Vivien Leigh e Robert Taylor in Il ponte di Waterloo, 1941
La situazione precipita quando lui viene dato per morto e lei, che nel frattempo ha perso il lavoro e si trova in una estrema difficoltà economica, un po’ per orgoglio, un po’ per paura, non dice nulla alla famiglia di lui e, tra la miseria e la disperazione, finisce per prostituirsi.
Ma ecco che lui ritorna, i due si ritrovano e celebrano addirittura il fidanzamento ufficiale con una grande festa nella splendida villa di campagna della famiglia del futuro sposo. Tutto sembra avviato verso il classico lieto fine, quando all’improvviso lei entra in crisi: non vuole sposare l’uomo che ama tacendogli la verità ma, pur di non confessargli cosa ha dovuto fare per sopravvivere, preferisce lasciarlo per sempre. Prima di andarsene però si confida alla futura suocera, una cara signora che fin dall’inizio aveva provato per lei un sincero affetto. E cosa accade?
Premessa: siamo in pieno codice Hays, entrato in vigore nel 1934 per evitare che i film hollywoodiani nuocessero alla pubblica morale portando ad un degrado dei costumi. Torniamo alla madre, e vediamo come la sceneggiatura diventi qui un capolavoro di ipocrisia. All’inizio, la madre è shoccata, ma subito dopo si commuove dinnanzi al dolore della ragazza e prova per lei profonda pena e comprensione. Non si oppone al matrimonio. Ma ecco che è la ragazza a decidere, a scegliere di andar via per sempre. Perché dire la verità al suo amore sarebbe per lei un dolore ancora più insopportabile del lasciarlo pe sempre. A questo punto, la madre sospira e le dice che beh, forse ha ragione, dopotutto è meglio così; le promette che manterrà il segreto e suo figlio mai nulla saprà di quell’orribile verità. Terrificante.
Il punto non è la tragedia e l’inferno che ha dovuto passare questa povera ragazza ma le eventuali ripercussioni di questo sulla figura maschile, quel nobile ufficiale che mai alcuno scandalo avrebbe dovuto scalfire. Un punto di vista totalmente maschilista per un film che afferma forte e chiaro che matrimonio e virtù sono indissolubili. Le cose andranno avanti così, sebbene con sotterranee, crescenti resistenze, fino al 1967, quando tutto cambierà. Ma questa è un’altra storia, quella della prossima puntata.
- Audrey Hepburn, Sabrina, di Billy Wilder, 1954
- Vivien Leigh, Il ponte di Waterloo, di Melvyn Le Roy, 1941
- Vivien LEigh e Robert Taylor, Il ponte di Waterloo, 1941
- Audrey Hepburn e William Holden, Sabrina, 1954
- Robert Taylor e Vivien Leigh
- Audrey Hepburn e Gregory Peck, Vacanze romane, 1953
Note biografiche sull’autrice
Nata a Forlì nel 1970, dopo il diploma al liceo classico si è laureata in Giurisprudenza presso l’Università di Bologna. Ha svolto un Master in Comunicazione a Roma e Milano, poi un corso di Racconto e Romanzo e un di Sceneggiatura cinematografica alla Scuola Holden di Torino. E’ docente di cinema e letteratura e ha diverse collaborazioni in atto, fra cui quella con Università Aperta di Imola, la libreria Mondadori di Forlì e le scuole medie, per le quali sta portando avanti un progetto didattico che coinvolge i ragazzi delle classi terze in una ‘lezione cinematografica’ sul rapporto umano e formativo che unisce allievo e insegnante. Nell’aprile dello scorso anno è uscito il suo primo libro, edito da Carta Canta, dal titolo ‘I narratori della modernità’, un saggio di letteratura francese dedicato a Balzac, Flaubert, Zola e Maupassant, come quei grandi padri della letteratura che per primi hanno raccontato la nascita del mondo moderno.
Per ArteVitae scrive nella sezione Cinema e TV.
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