8 Ottobre 2018 By Luigi Coluccia

L’amore cantato da Charles Aznavour.

Lunedì scorso è scomparso il grande cantautore Charles Aznavour, aveva novantaquattro anni. Ci lascia in eredità oltre 1200 canzoni scritte e cantate in sette lingue diverse e la speranza che l’amore possa diventare davvero ciò che muove il mondo.

di Luigi Coluccia

La grande avventura di un istrione, definito anche  il “Frank Sinatra francese”, si è conclusa a 94 anni nella sua casa delle Alpilles. Una vita votata alla musica e al cinema, con l’Armenia nel cuore.

Voglio morire da vivo.

Questo aveva dichiarato Charles Aznavour e così è stato.

Nasce a Parigi il 22 maggio 1924, il suo vero nome è Chahnourh Varinag Aznavourian. Il padre, Micha, è un immigrato armeno originario della Georgia e lavora come cuoco per il governatore d’Armenia; la mamma, Knar Baghdassarian, è anche lei un’immigrata armena ed è sopravvissuta al tremendo genocidio armeno perpetrato dai turchi.

In Francia i poeti non muoiono mai

Con queste parole, il presidente francese Emmanuel Macron, ha chiuso lunedì scorso l’elogio funebre a Charles Aznavour, un gigante della canzone francese.

Emmanuel Macron

Una produzione discografica mastodontica, oltre mille sono infatti le canzoni scritte e cantate in sette lingue diverse. Sì, avete letto bene, in sette lingue diverse. In ognuna di esse, il protagonista assoluto è sempre stato l’amore. Credo sia impossibile infatti trovare un testo del maestro in cui l’amore non sia stato raccontato nelle sue innumerevoli sfaccettature.

La grandezza della sua produzione discografica risiede nei diversi punti di vista e prospettive con cui l’amore viene raccontato, quasi vivisezionato. Dettagli intimi raccontati in un viaggio lungo una vita intera, quella di tutti noi, quella del ‘900.

Un amore che si districa nei cambiamenti sociali, facendo da collante fra le generazioni che inevitabilmente si ritrovano a viverlo, sentendolo addosso come un cappotto che scalda quando fa più freddo. L’amore, ma com’è cambiato negli anni il nostro modo di viverlo, di sentirlo, di provarlo?

E’ vero, nella società liquida di oggi, tante cose non si fanno più. Quando avevo vent’anni o poco più, mi ero ripromesso di non fare da grande ciò che gli adulti – i miei punti di riferimento di allora – facevano con me. Gli adulti di allora infatti tendevano a denigrare l’epoca in cui io mi stavo formando, ritenendola meno interessante e più povera di contenuti rispetto a quella in cui invece si erano formati loro. Lo facevano, spesso adducendo tesi volte a dimostrare il maggiore spessore sociale e culturale che aveva animato la loro gioventù.

Invece eccomi qui, come un’orologio svizzero, alla soglia dei cinquant’anni, a fare altrettanto.

Quel che non si fa più” – già la meravigliosa canzone del grande chansonnier francese  recentemente scomparso – fu la colonna sonora di uno spot della Barilla. Fu scelta perché associava le sue parole ad un prodotto tanto genuino, fatto ancora seguendo antiche tradizioni e ricette, proprio come ormai non si faceva più.

Era il 1994 e il rapporto tra l’artista e l’Italia, che è sempre stato molto forte,  vantava anche l’amicizia con il Cavaliere Silvio Berlusconi, aspirante chansonnier ai tempi degli spettacoli sulle navi da crociera, che proprio in quell’anno fondava Forza Italia.

Silvio Berlusconi e Charles Aznavour

Era invece nel 1972, proprio nell’anno della mia nascita, che la canzone “Quel che non si fa più” spopolava in tutta Italia, complice la partecipazione al Festivalbar.

Il testo racconta di tutti quei piaceri fuori moda dei “vecchi”. Il maestro li apostrofava proprio così, in un’epoca in cui non eravamo costretti a pensieri che fossero “politically correct“, tanto invece in voga oggi. Il brano canta appunto di quei piaceri lenti, quei contrasti insanabili tra ciò che era ieri e ciò che invece è oggi.

Proprio nelle note di questo pezzo, che sentivo canticchiare spesso in casa   tanto da averlo imparato a memoria insieme alle tabelline, si nasconde un messaggio tra i più belli, tra i più accorati: tutto passa nella vita, l’amore invece resta. Magari non sarà sempre lo stesso amore, ma sicuro è che questo sentimento scandisce ogni aspetto della vita.

Ha cantato la vita bohémien di artisti innamorati a Montmartre, quella di coppie che nascono e muoiono, di tradimenti,  delle difficoltà e dell’isolamento delle coppie omosessuali, del desiderio ormai svanito di chi, pur essendo al nostro fianco ormai non riconosciamo o desideriamo più.

La forza dei testi di Aznavour è figlia della grande professionalità e capacità dei parolieri che lo hanno affiancato per le traduzioni dei testi. Per L’Italia ricordiamo  Giorgio Calabrese, Sergio Bardotti, Mogol, grandi maestri di composizione letteraria della canzone ma anche della tecnica dell’adattamento – che non è affatto quella traduzione che spesso si pratica oggi.

Charles Aznavour entra di diritto nella storia della canzone italiana e non solo grazie alla perizia con cui i grandi professionisti e parolieri prima citati ne hanno modulato le meravigliose canzoni in lingua italiana, una delle più complesse e difficili per altro.  Egli entra nell’Olimpo della canzone d’autore italiana anche e soprattutto per le sue numerose partecipazioni alle manifestazioni canore più in voga in quegli anni nel bel paese.

Moltissimi autori italiani inoltre hanno inevitabilmente preso spunto dal suo lavoro e tantissimi altri si sono proposti in quella che era una vera e propria moda in quegli anni, producendo una serie infinita di cover dei suoi brani eseguiti da interpreti e autori italiani che vanno da Iva Zanicchi e Domenico Modugno a Ornella Vanoni passando per Mina, Mia Martini, Enrico Ruggeri e molti altri ancora. Su tutte, ricordo la bellissima “Ed io tra di voi” cantata da Franco Battiato.

Sono passati solo pochi giorni dalla morte di questo grande artista, voglio ricordarlo prendendo in prestito un suo pensiero che mi ha sempre accompagnato nel corso della vita:
Dobbiamo fare attenzione, non dobbiamo continuare a guardare quelli con cui abbiamo avuto dei problemi come nemici per generazioni. Al contrario, bisogna abbassare i toni.
Un messaggio di armonia e di speranza dunque, un inno ancora una volta all’amore, a quell’amore fra gli uomini oggi forse un po’ precario.

Note biografiche sull’Autore

 Gigi, salentino di nascita e romano d’adozione, intraprende il percorso di laurea in Economia Bancaria e successivamente abbraccia la carriera militare. Alterna la passione per l’economia e la letteratura, ereditata dal nonno, a quella per la fotografia che coltiva da tempo, applicandosi in diversi generi fotografici, prima di approdare alla fotografia di architettura e minimalismo urbano in cui trova espressione la sua vena creativa. 

Dotato di personalità votata alla concretezza e con uno spiccato orientamento alla cultura del fare,  Gigi intuisce le potenzialità aggreganti della fotografia unite alla possibilità di condivisione offerte dal Social e fonda il Gruppo ArchiMinimal Photography attraverso il quale riesce a catalizzare l’attenzione di tanti utenti italiani e stranieri attorno ad progetto di più ampio respiro che aggrega una nutrita comunità attiva di foto-amatori. Impegnato nella promozione e nella divulgazione della cultura fotografica, crea il magazine ArteVitae, progetto editoriale derivato dal successo della community social, per il quale scrive monografie ed approfondimenti sugli autori fotografici e cura la rubrica Digressioni sulla Fotografia, ricercando nel panorama fotografico contemporaneo,  personaggi e spunti di interesse di cui parlare. 


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