La fotografia di Oreste Messina: talento, emozione e rispetto.
In copertina oggi c’è Oreste Messina. Nel consueto appuntamento dedicato all’approfondimento dei nostri autori, ne racconteremo la storia e la fotografia.
di Luigi Coluccia
Oreste nasce ad Agrigento 55 anni fa dove vive fino al 2002. L’anno dopo per motivi familiari si trasferisce a Prato, città in cui attualmente vive. Sposato da 28 anni, ha una figlia di 24. E’ un funzionario dello Stato (MIUR) e dal 1996 è direttore amministrativo nelle Istituzioni scolastiche Statali, più precisamente all’Istituto Tecnico e Professionale di Stato “Paolo Dagomari” di Prato.
Non è un fotografo professionista, ma semplicemente un appassionato di fotografia. Dedica quasi tutto il tempo libero a questa sua grande passione, ma ha una certa timidezza a proporsi come autore ed a proporre il suo lavoro, malgrado le diverse sollecitazioni ricevute in merito.
Il Semplicemente Fotografare Live di Novafeltria, occasione in cui lo abbiamo incontrato e conosciuto rimanendo affascinati dal suo lavoro, gli ha dato l’opportunità di far conoscere i suoi progetti fotografici attraverso la loro stampa, che come afferma egli stesso “dà un senso di compiutezza alla fotografia e un appagamento di gran lunga più soddisfacente della semplice pubblicazione sui social oggi molto di moda“.
AVB: Oreste, anzitutto grazie per aver accettato il nostro invito a raccontarti. Il nostro pubblico è infatti sempre molto interessato al genere fotografico urbex, protagonista di questa nostra chiacchierata.
OM: Grazie a voi, per me è un onore oltre che un gran piacere.
AVB. Come e quando si è manifestata per la prima volta in te questa grande passione per la fotografia?
OM: Ho cominciato a fotografare da ragazzo, nasco quindi nell’era analogica. Già allora, la “mania” di intrufolarmi nei posti abbandonati era molto sviluppata. Le mie prime fotografie risalgono agli inizi degli anni ’80, quando durante una gita nella Valle del Belice mi sono ritrovato quasi per caso tra le rovine del terremoto che nel 1968, in pochi secondi, distrusse una vasta area della Sicilia occidentale.
E’ sempre emozionante per me ritrovarmi tra le rovine di edifici le cui mura sono ancora intrise dei ricordi e del passaggio di chi le ha vissute. Ecco, credo che questa mia sensibilità derivi da quella prima volta. Mi accompagna da allora e non si è mai più sopita.
AVB: Incredibile, ho sempre pensato che questo genere di fotografia rappresentasse un punto di approdo per un fotografo. Che questa passione molto particolare maturasse alla fine di un percorso artistico. Invece oggi scopro che un ragazzo con la passione della fotografia può già esserne fortemente attratto. Come nasce e dove trova terreno fertile in te quindi questa attrazione così viscerale nei confronti di questo genere fotografico?
OM: In special modo negli ultimi anni, ho dedicato gran parte del mio tempo libero alla fotografia dei posti abbandonati. Lo faccio principalmente per soddisfare il mio bisogno di emozionarmi che sembra non esaurirsi mai e poi per raccontare agli altri ma anche a me stesso, questo mondo nascosto che è ricco di testimonianze di vita vissuta. Un patrimonio da conservare e difendere.
Oreste è un Urbexer – termine che deriva dall’inglese Urban Explorer – da sempre infatti ama praticare la fotografia che riprende i luoghi abbandonati. Un importante lavoro documentale questo, di cui ci siamo occupati già in passato, ma che sempre alimenta la nostra immaginazione. Un vero e proprio fenomeno contemporaneo che come spesso accade in questi casi, ogni tanto purtroppo oltrepassa i limiti rappresentati dalle regole del gioco.
Ecco perché quando durante la nostra chiacchierata abbiamo “etichettato” Oreste come Urbexer, ha subito scosso il capo spiegandoci che non si ritrova molto in questa definizione e alla nostra richiesta di una spiegazione in merito, ci ha così risposto: “purtroppo adesso l’Urbex raccoglie un po’ di tutto, anche coloro che vandalizzano i luoghi e pur di entrarvi sono capaci di sfondare le porte che li mantengono chiusi.
Non esiste più l’etica dell’esploratore urbano, molto spesso diventa vera e propria violazione della proprietà privata che magari più che abbandonata è semplicemente chiusa. Non mi ritrovo quindi molto in questa classificazione, ma ad ogni modo la collocazione delle mie fotografie è comunque questa”.
AVB: Dalla professione agli interessi personali, passando per le grandi passioni. Quanto hanno influito la tua formazione e professione nello sviluppo delle tue passioni artistiche?
OM: Molto poco direi, il lavoro che faccio lascia poco spazio alla creatività. Bilanci, gestione del personale, gestione finanziaria e contabile richiedono attenzioni diverse. La fotografia invece è istinto, emozione, nel mio caso anche adrenalina, stupore, commozione, sentimenti assolutamente antitetici.
A dispetto della mia età, 55 anni non sono pochi, non ho ancora perso quello spirito di avventura, la voglia di divertirmi, di emozionarmi, di conoscere. La curiosità tipica di chi si approccia alle nuove esperienze. Sono sempre alla ricerca, quasi disperata, di nuovi stimoli, di rapporti umani che amo molto curare e consolidare.
AVB: Cosa rappresenta per te allora la fotografia?
OM: Come mi è capitato di riscontrare in altri amici con la mia stessa passione, anche io mi sono concesso una pausa dalla fotografia, una pausa di diversi anni. Ho poi ripreso a fotografare in un momento particolare della mia vita, quando ho avuto la necessità di impegnare la mente, dirottando verso altri interessi i miei pensieri. E’ stata quindi e continua ad essere, “terapeutica”.
AVB: Parlaci allora di quel momento magico. Di quando hai ripreso a fotografare, di quando hai ripreso questo dialogo interrotto con questa tua grande passione, ci sarà sicuramente un aneddoto come spesso accade in questi casi, che ha saputo spezzare l’incantesimo. Siamo molto curiosi.
OM: Ho ripreso la macchina fotografica in mano in occasione di un’uscita fotografica organizzata con amici. L’obiettivo era il manicomio abbandonato di Volterra. Ricordo che girammo per i suoi padiglioni più o meno distrutti per un’intera giornata. Da quel momento ho iniziato a girare l’Italia fotografando Ospedali psichiatrici, ville, chiese e castelli, riempiendo gli hard disk di fotografie, percorrendo migliaia e migliaia di chilometri.
AVB: Cos’è invece per te la fotografia Urbex? Che significato attribuisci a questa attività documentale?
OM: La cosiddetta esplorazione urbana, coniuga la passione per la fotografia e tutte le altre emozioni che vivi durante l’accesso, molto spesso assai difficoltoso, in questi luoghi carichi di fascino e di vita vissuta, luoghi dove si riesce ancora a percepire, come nel caso dei manicomi, la sofferenza di chi li ha vissuti.
AVB: Ho avuto occasione, come già detto, di imbattermi nei tuoi lavori durante il Live organizzato dal gruppo Facebook Semplicemente Fotografare conclusosi di recente. Sono sempre alla ricerca di emozioni anche io e i tuoi lavori me ne hanno trasmesse molte. Le tue fotografie lasciano poco spazio alla casualità. Sono caratterizzate da composizioni che hanno del carattere, che sono dotate di un rigore geometrico molto evidente ma anche di un’estrema cura dei dettagli. Tutte attenzioni che conferiscono all’immagine una visione armoniosa che appaga l’occhio di chi ne fruisce. Ci puoi raccontare come nascono?
OM: Non preparo mai a tavolino una mia composizione, mi lascio guidare dall’istinto, mi faccio catturare da una visione una volta arrivato sul posto. Le emozioni del primo impatto sono quelle che poi mi guidano nell’impostazione del lavoro. Il rigore geometrico è una cosa che ho acquisito con il tempo, rendendomi conto che determinati spazi venivano valorizzati maggiormente curando linee, diagonali e prospettive centrali in una maniera che fosse la più precisa possibili.
AVB: Vorrei capire meglio come organizzi il tuo lavoro. Cosa c’è dunque dietro la tua fotografia, ovvero come ti prepari allo scatto: la ricerca dei soggetti, l’esecuzione in macchina, la post produzione.
OM: Dietro le mie fotografie c’è parecchio lavoro. Lavoro di ricerca dei luoghi da fotografare, della loro storia che molto spesso risulta difficile da ricostruire, ci sono chilometri percorsi su e giù per l’Italia. Ovviamente questo tipo di fotografia necessita di un cavalletto, di un obiettivo grandangolare, di tempi lunghi ed ISO bassi per evitare il cosiddetto rumore.
In post produzione, dopo aver sperimentato ed abbandonato la realizzazione di lavori in HDR, da qualche anno mi limito alla eventuale sistemazione di luci ed ombre e contrasto. Scatto in Raw per avere file con più informazioni possibili che mi permettono di realizzare un’immagine molto vicina a ciò che i miei occhi hanno visto e la mia pancia percepito.
AVB: Di quali strumenti ti avvali per realizzare le tue immagini? Tipo di macchina fotografica, obiettivi, post produzione.
OM: Non ho attrezzature costosissime. Ho iniziato con una Nikon D300 ed un 8/16 mm della Sigma. Da qualche anno utilizzo una Fuji Xt1 con un 10/24 ed un 35. Per la post produzione mi avvalgo di Lightroom e di Photoshop.
AVB: Hai nel breve periodo dei progetti fotografici che vorresti mettere a punto? Qualcuno invece di cui ti stai occupando adesso?
OM: Ho fotografato quasi tutti i manicomi dismessi del centro nord Italia, me ne mancano proprio pochi. Mi piacerebbe che a raccontare la storia della realtà manicomiale fossero proprio le strutture stesse. I corridoi, le sale degenza, i laboratori, le celle di isolamento e contenzione. Probabilmente sarà il tema della mia personale alla prossima edizione di “Semplicemente Fotografare Live”.
AVB: Per concludere, si percepisce nel tuo lavoro e nelle tue parole molta passione per ciò che fai, cosa ti sentiresti di suggerire a coloro che inesperti vogliano approcciare la fotografia? Cosa ti ha insegnato la tua esperienza?
OM: Io metto passione in ogni cosa che faccio, anche i miei errori, che sono tanti, sono fatti con passione. Nel lavoro, nelle relazioni umane ed in tutto ciò in cui l’essere umano si cimenta deve metterci amore, impegno, rispetto. Nella fotografia, a mio parere, è la stessa cosa.
In ciò che faccio io sostanzialmente le cose da suggerire sono: grande attenzione, poiché molti di questi posti sono veramente pericolosi e rispetto. Il rispetto di ciò che non è nostro, di ciò che questi luoghi hanno significato per chi li ha vissuti. Il rispetto per gli oggetti, per i muri, anche per la polvere che preserva e custodisce.
AVB: Bellissime le tue parole, siamo certi che la maggioranza di questa comunità di “esploratori romantici” ama profondamente i siti visitati e fotografati. Lo scopo che si prefigge infatti è quello di documentare, di riportare alla luce una sorta di “conoscenza locale” che scaturisce dalla necessità di ristabilire, ripristinandolo, un legame forte con il territorio e il suo passato.
Oreste, a noi non resta che ringraziarti di cuore per questo appassionante viaggio alla scoperta della tua personalità e del tuo incredibile talento. I nostri migliori auguri per un futuro ricco di successi professionali e personali.
OM: Grazie a voi per avermi dato la possibilità di raccontare la mia storia, un saluto a tutti i lettori di ArteVitae.
Riferimenti dell’autore
e-mail: oremessina@gmail.com
Photogallery di Oreste Messina
[Ndr] : Tutte le didascalie attribuite alle immagini, riportano nomi di fantasia. Gli urbexer infatti, non rivelano mai i nomi dei luoghi ripresi. Questo per evitare che vengano individuati, vandalizzati e saccheggiati da malintenzionati.
Tutte le immagini contenute in questo articolo sono coperte dal diritto d’autore e sono state gentilmente concesse Oreste Messina ad ArteVitae per la realizzazione di quest’articolo.