14 Gennaio 2019 By Giusy Baffi

La città del ‘900, laboratorio di modernità in bilico tra pittura e architettura

Milano è sempre stata un laboratorio di modernità soprattutto tra la fine dell’800 e i primi del ‘900, un luogo dove tutte le riflessioni sulla “Nuova Città” immaginata e raccontata per la prima volta dagli artisti del movimento futurista trovano concretezza e realizzazione.

di Giusy Baffi

Immagine di testata – Fortunato Depero -Grattacieli e tunnel – New York 1930

Si può tranquillamente affermare che il futurismo sia nato a Milano in Via Senato 2, nella casa dove abitava Filippo Tommaso Marinetti. A questo proposito è interessante citare ciò che scrisse  Marinetti nel suo Manifesto del 1909 – e pubblicato in Francia sul quotidiano Le Figaro – sul concetto di città:

Noi canteremo le grandi folle agitate dal lavoro, dal piacere o dalla sommossa: canteremo le maree multicolori e polifoniche delle rivoluzioni nelle capitali moderne; canteremo il vibrante fervore notturno degli arsenali e dei cantieri, incendiati da violente lune elettriche; le stazioni ingorde, divoratrici di serpi che fumano; le officine appese alle nuvole per i contorti fili dei loro fumi; i ponti simili a ginnasti giganti che scavalcano i fiumi, balenanti al sole con un luccichio di coltelli; i piroscafi avventurosi che fiutano l’orizzonte, e le locomotive dall’ampio petto, che scalpitano sulle rotaie, come enormi cavalli d’acciaio imbrigliati di tubi, e il volo scivolante degli aeroplani, la cui elica garrisce al vento come una bandiera e sembra applaudire come una folla entusiasta.

Marinetti – Manifesto del movimento futurista – Figaro 1909. ©l’immagine potrebbe essere protetta da copyright

 

Una città dinamica, che vive una tensione di progresso, che porta una visione di luce elettrica, di mezzi di trasporto, di officine, di locali pubblici. Proprio la luce elettrica diventa il simbolo della nuova città contemporanea, la nuova icona.

Boccioni – La strada – 1911. ©l’immagine potrebbe essere protetta da copyright

Carlo Carrà – Piazza Duomo – 1909  ©l’immagine potrebbe essere protetta da copyright

Boccioni – Rissa in galleria – 1910  ©l’immagine potrebbe essere protetta da copyright

 

Nascono i nuovi quartieri destinati ad accogliere i contadini urbanizzati, lavoratori dei campi che vengono attratti in città dal sorgere dei primi impianti industriali.

Giuseppe Pellizza da Volpedo – Il quarto stato – 1901 ©l’immagine potrebbe essere protetta da copyright

Corso Lodi di Milano, con il dipinto “Officine di Porta Romana” di Boccioni, benché ancora in stile divisionista, è lo scenario di uno dei primi quadri italiani raffiguranti la città con i grandi  palazzi e le ciminiere fumanti.

Boccioni – Officine di Porta Romana 1910. ©l’immagine potrebbe essere protetta da copyright

E sempre Boccioni, con il dipinto “La città che sale” entra in pieno nel concetto futurista di dinamicità anche da un punto di vista linguistico, con la forza dei cavalli imbizzarriti in relazione con i palazzi sullo sfondo.

Boccioni -La città che sale 1910. ©l’immagine potrebbe essere protetta da copyright

 

Ma se gli edifici di Boccioni sono edifici classici, il futurismo aveva in sé qualcosa di molto più visionario, qualcosa che vedremo realizzato cento anni dopo.

Era il 1914 quando un architetto, Antonio Sant’Elia (1888-1916), scrisse il Manifesto dell’Architettura Futurista dove declamava:

Noi dobbiamo inventare e rifabbricare la città futurista simile ad un immenso cantiere tumultuante, agile, mobile, dinamico in ogni sua parte, e la casa futurista simile ad una macchina gigantesca. Gli ascensori non debbono rincantucciarsi come vermi solitari nei vani delle scale; ma le scale, divenute inutili, devono essere abolite e gli ascensori devono inerpicarsi, come serpenti di ferro e di vetro, lungo le facciate. La casa di cemento di vetro di ferro senza pittura e senza scultura, ricca soltanto della bellezza congenita alle sue linee e ai suoi rilievi, straordinariamente brutta nella sua meccanica semplicità, alta e larga quanto più è necessario, e non quanto è prescritto dalla legge municipale deve sorgere sull’orlo di un abisso tumultuante: la strada, la quale non si stenderà più come un soppedaneo al livello delle portinerie, ma si sprofonderà nella terra per parecchi piani, che accoglieranno il traffico metropolitano e saranno congiunti per i transiti necessari, da passerelle metalliche e da velocissimi tapis roulants.

Antonio Sant’Elia – Manifesto dell’architettura futurista – 1914. ©l’immagine potrebbe essere protetta da copyright

Insieme al suo amico Mario Chiattone (1891-1957) progettano città, anzi metropoli totalmente visionarie per l’epoca, siamo nel 1914, a Milano ci sono i tram a cavallo, il cinema è muto e sta per scoppiare la prima guerra mondiale. Eppure loro progettano alti palazzi, con gli ascensori esterni in modo da “ammirare il panorama”, torri, sottopassi, aree pedonali contrapposte alle strade dove passano le automobili, passerelle di metallo, gallerie, enormi prese d’aria. Idee che lasciano senza fiato, un concetto innovativo di città assolutamente moderna che si sta realizzando solo oggi, cento anni dopo. Architetti che hanno saputo anticipare le intuizioni urbanistiche di questo nostro nuovo millennio.

 

 

Antonio Sant’Elia – Progetto La Città Nuova – 1914. ©l’immagine potrebbe essere protetta da copyright

Mentre la città di Sant’Elia è esaltata dal concetto del movimento, la città di Chiattone è concepita come un enorme agglomerato urbano, evidenziando la necessità di ridurre le distanze tra abitazioni e luoghi di lavoro.

Mario Chiattone – Architettura Futurista 1914 -©Pisa, Gabinetto disegni e stampe, dipartimento di Storia

Per entrambi gli architetti questo non è utopia e neanche per noi lo è, anzi è la realtà attuale, anche se in ritardo di cento anni.

Contemporaneamente, intorno a questa città colorata, caotica, vivacissima dei futuristi, si delinea, nell’arte italiana, un’altra città agli antipodi, silenziosa, vuota, una città che ha avuto più riverbero nell’architettura razionalista, soprattutto nell’epoca del regime: la città immaginata da De Chirico.

La città metafisica è, all’opposto della città futurista, immobile, silenziosa, ordinata, le cui presenze umane sono rare, spesso distanti, ferme, a volte sono solo ombre.

Senza la scoperta del passato, non è possibile la scoperta del presente . –  Giorgio De Chirico

La città metafisica di De Chirico ha rimandi classicisti, rinascimentali, dove le piazze e i monumenti diventano testimoni di un mondo onirico.

Sotto questo aspetto la città metafisica non è in alcun modo una città rassicurante, anzi paradossalmente è più avvolgente la città futurista con i suoi tram, la sua gente, la sua folla, le sue luci elettriche, la città metafisica è estraniante, come affermava il poeta francese Jean Cocteau: ”La Metafisica agisce come un assassino che vuole colpirci a tradimento: prima ci tranquillizza, rassicurandoci con soggetti apparentemente famigliari, poi ci ferisce mortalmente, trasportandoci in mondi inquieti e stranianti”

Ogni cosa ha due aspetti: uno corrente quello che vediamo quasi sempre e che vedono gli uomini in generale, l’altro spettrale o metafisico che non possono vedere che rari individui in momenti di chiaroveggenza e di astrazione metafisica, così come certi corpi occultati da materia impenetrabile ai raggi solari non possono apparire che sotto la potenza di luci artificiali quali sarebbero i raggi X”. – Giorgio De Chirico

De Chirico cavalca l’onda di un cambiamento che è già nell’aria, un’onda che verrà ripresa dagli architetti del regime ed anche in periodi successivi, ma, come per i futuristi che esaltano degli aspetti della realtà precorrendo i tempi, in nessuno dei due mondi la città  è completamente reale; frenetica quella futurista, rarefatta quella metafisica.

 

 

Giorgio de Chirico – La torre rossa 1913 – © l’immagine potrebbe essere protetta da copyright

 

Roma Eur – foto © Ste Po

Palazzo della Civiltà Italiana – Architetti Guerrini e Lapadula 1936/1940 Roma Eur  foto © Osvaldo Ghirardi

 

Per trovare la città reale occorre arrivare a pittori che della città hanno raccontato la parte più deteriore, più solitaria come Mario Sironi. La città di Sironi è quella più vicina al vero, una città che è salita,  che ha già le sue ciminiere, reale, dura e ostile all’essere umano.

Le periferie di Sironi corrispondono ad un concetto di solitudine della città, la sua proiezione è quella che noi percepiamo maggiormente, è la metropoli con i suoi lati oscuri.

 

 

Il momento degli anni ’20 che coincide con l’Art Déco, segna un cambiamento sostanziale del costume, del modo di vivere, cambia il concetto abitativo e di vita quotidiana in questa nuova città, di cui Milano è un esempio sorprendente. In Italia, sia negli anni ’20 che ora, Milano è veramente la metropoli cosmopolita per eccellenza dal punto di vista delle dinamiche sociali ma anche urbanistiche, che l’arte ha immaginato, rielaborato e interpretato.

 

© Si precisa che, dove non specificato, le foto sono state prese, a titolo esplicativo,  da internet  e possono essere soggette a copyright.  L’uso delle immagini è  esclusivamente a scopo divulgativo. L’intento di questo blog è solo didattico e informativo.

ndr: un ringraziamento particolare a Stefano Barattini, Emiliano Bordonaro, Davide Colagiacomo, Osvaldo Ghirardi, Alessandro Malinverni, Ste Po, Roberto Rognoni, per la concessione delle loro foto.

© Giusy Baffi 2019


Note biografiche sull’autrice:

Giusy Baffi si occupa di antiquariato con la qualifica di perito d’arte nell’ambito di arredi antichi, ha collaborato con diverse testate di settore scrivendo numerosi articoli inerenti l’antiquariato e con una sua rubrica mensile dal titolo “L’esperto risponde”. Ha al suo attivo la pubblicazione di due libri.
La sua passione è la fotografia, ha vinto il concorso fotografico Unicredit/Corriere della Sera 2013, le sue foto sono state pubblicate su prestigiose riviste e quotidiani anche internazionali, sul libro “E poi la luce” edizioni Fioranna, su calendari animalistici e su alcuni siti professionali. Ha partecipato a diverse mostre fotografiche collettive sia nazionali che internazionali, una personale e al MIA Photo Fair 2017.