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Fotografia Home Mostre
24 Gennaio 2018 By Luigi Coluccia

Like An Ant in Jerusalem, il nuovo reportage di Cristiano Zingale

Quella che vi propongo oggi è la storia di un reportage fotografico. Like An Ant in Jerusalem, nato per caso, durante un viaggio improvvisato nel quale il protagonista, Cristiano Zingale, si trova suo malgrado coinvolto, senza via di fuga, in una storia incredibile che lo ispira stimolando tutti i suoi sensi. Il lavoro fotografico diventa una mostra che apre il 29 gennaio e si concluderà sabato 3 febbraio con il finissage previsto alle ore 17.30 presso lo spazio ChiAmaMilano in via Laghetto 2 a Milano.

di Luigi Coluccia

Un reportage, non è altro che un racconto per immagini, di solito lo si pensa, lo si costruisce, lo si realizza secondo la propria sensibilità rispetto a ciò che si vuole raccontare.

Questa è la storia di un reportage fotografico, risultato di un viaggio inatteso e non preventivato che ha coinvolto emotivamente il fotografo che l’ha realizzato, Cristiano Zingale. Like An Ant in Jerusalem, questo è il suo nome, ha preso il posto di un altro lavoro già realizzato e la cui esposizione in mostra era già stata programmata.

Ci sono storie infatti, che quando ti coinvolgono così intimamente, ti lasciano sulla pelle la sensazione di doverle comunicare, raccontare immediatamente, senza indugio. Ragione per la quale in pochissimi giorni, la mostra già programmata viene annullata a favore di questo ultimo lavoro.

Ma facciamo un passo indietro. Tutto ha inizio con una mail giunta a Cristiano venerdì 1 dicembre dalla sua azienda che recitava così: “facendo riferimento agli accordi sindacali stipulati, la S.V. dovrà pianificare e usufruire di N.3 giorni di ferie ulteriori entro fine mese.”

Cominciava così la mail ricevuta, che mi gettava nel panico, non sapendo affatto come poterli spendere al meglio quei giorni.

Una delle possibilità a quel punto, sembra essere quella di passarli a casa in una glaciale Milano, come avrebbe fatto la maggior parte delle persone. L’alternativa invece è quella di partire per uno dei suoi amati viaggi. Si ma con chi? Nessuno infatti lo avrebbe accompagnato in un viaggio la settimana prima di Natale.

Non mi rimaneva allora che rassegnarmi all’idea di partire da solo, magari legando ai tre giorni in ballo, un bel weekend.

Un’applicazione molto nota che si occupa di viaggi aerei gli suggeriva un viaggio per Tel Aviv ad un costo davvero vantaggioso. Aveva trovato la meta. Parliamo di una città che non aveva mai considerato come ipotetica meta di viaggio, però perché no? Avrebbe potuto fare un giro fotografico interessante in una terra molto affascinate e suggestiva.

Nel frattempo, precisamente il 5 dicembre, il Presidente americano Trump, comunica al Presidente palestinese Abu Mazen la sua intenzione di spostare l’ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme.

Una scelta che costituirebbe un riconoscimento dell’amministrazione americana a Gerusalemme come capitale d’Israele. Un gesto molto controverso, non solo per il popolo palestinese ma anche per tutta la comunità araba. Gerusalemme infatti è la culla delle tre grandi religioni monoteiste: ebraismo, cristianesimo e islamismo che la considerano la città santa.

Nessun paese fino ad oggi aveva spostato la sua sede diplomatica da Tel Aviv a Gerusalemme. La decisione di Trump potrebbe mettere a repentaglio un equilibrio precario, magari anche ambiguo, ma durato cinquant’anni esatti.

La dichiarazione di Trump ha sconvolto l’opinione pubblica. Gerusalemme è un luogo dove riesci a comprendere appieno il significato della parola precarietà, dove tutto da un momento all’altro può cambiare a causa di un banalissimo fatto di cronaca.

Nonostante tutto quello che su Gerusalemme è stato scritto, detto, fotografato raccontato e visto in TV, si fatica a comprendere una situazione così paradossale se non la si vive con i propri occhi, con le proprie sensazioni.

In questa particolarissima realtà infatti, si rimane colpiti da come a distanza di poche decine di metri possano cambiare gli scenari, sembra quasi di aver cambiato città!

La sensazione che si prova nel percorrere le sue vie, vicoli, è quella di una formica che cammina sul nastro di Möbius, due universi lontanissimi che in realtà sono uno.

Continua Cristiano: “Non due facce della stessa medaglia, ma la stessa faccia appartenente a due medaglie differenti. Una faccia in cui gli stessi cellulari passano ormai indifferentemente dalla ripresa di una scena di vita quotidiana a un live su Facebook di qualche scontro“.

Nonostante le evidenti problematiche di natura politica scaturite dalle scelte annunciate da Trump, Cristiano decide di partire ugualmente alla volta di Tel Aviv per raggiungere poi Gerusalemme.

Ama ripetere sempre una frase: “il turista cerca quello che non trova e il viaggiatore trova quello che non cerca” e proprio per rimanere fedele a questa sue filosofia, dopo esser atterrato alle 11:25 nella capitale Israeliana, alle 14 si trova già a Gerusalemme.

Era il secondo giorno dell’Hanukkah, la festa della luce Ebraica. In città e nelle case si accendono dei candelabri (Channukià) e svariate persone vi si riuniscono intorno per cantare e/o danzare con balli tipici.

Fra tutte le cose prima di arrivare al Muro del Pianto notai in particolar modo una gigantesca bandiera americana appesa sulla facciata della City Hall e un manifesto con la scritta: “God Bless Trump”.

Continua Cristiano: “All’indomani del mio arrivo, cominciai un giro più approfondito della città e quasi casualmente finii davanti alla Porta di Damasco, considerata sia in passato che ancora oggi l’entrata della parte araba della città, nonché il simbolo della resistenza dell’eterno conflitto tra israeliani e palestinesi. Mi guardai intorno e un signore, che vedendomi con la macchina fotografica e lo zaino sicuramente mi aveva scambiato per un giornalista mi fece notare come la “sua” porta era sorvegliata da soldati israeliani.

Era un palestinese e mi fece questo genere di osservazioni incurante dei militari a pochi metri di distanza da noi. Mi soffermai un po’ a parlare con lui e poi mi andai a sedere poco lontano. Volevo guardare, prima con i miei occhi e poi con la mia macchina fotografica, l’ambiente e l’aria che si respirava. Non volevo fare il turista e cercar il Point of Interest, volevo fermarmi e osservare.

Giornalisti, fotografi e pulmini come sempre stazionano con le loro antenne paraboliche nell’attesa che succeda qualcosa.

Ci racconta ancora Cristiano: “Nonostante un gruppetto di signore e di bambini, che nel frattempo si erano riuniti, sugli scalini di fronte la porta, cominciavano a gridare e intonare slogan contro gli israeliani, tutto era piuttosto calmo. Addirittura i militari sorridevano o cercavano di seguire col piede, il ritmo di quei canti, quasi come fosse una canzone piacevole.

La scena diventò un po’ più tesa solo quando un’anziana signora mise a terra una bandiera palestinese poco più grande di un fazzoletto. Subito un militare lasciò la postazione di guardia per sequestrarla e le proteste aumentarono di tono.

Ma fu al tramonto che le cose cambiarono decisamente. Dopo la preghiera di un gruppo di uomini, un giovane cominciò a bruciare una foto di Trump e da lì un’escalation improvvisa di violenza, che a chi la vive per la prima volta lascia addosso una sensazione di sgomento.

Cominci a riflettere non solo sul conflitto, ma su quell’equilibrio precario che regna costante, sull’eterno conflitto arabo-israeliano, sulle guerre di religione, sulla decisione di Trump, su come un uomo possa picchiare un altro uomo mentre altri uomini stanno a guardare, a filmare o a trasmettere live su Facebook in un mix voyeur-reporatgistico”.

Al mio ritorno in Italia ho cercato di ricostruire e scovare in rete i video e le immagini a cui avevo assistito, scoprendo ad esempio che una manifestante non vedente che avevo notato non era una manifestante “qualunque” ma una giornalista cieca, Budour Hassan, impegnata nella difesa dei diritti dei palestinesi”.

In quel parapiglia generale ero una formica, non ero nessuno, ero inerme e non potevo fare assolutamente niente. Dal pomeriggio alla sera avevo assistito alla trasformazione della Porta di Damasco.

Sarebbe stato scontato fare il solito pezzo sulla lettura delle opere in mostra, ho scelto invece di farvi fare un viaggio insieme all’autore, cercando di catapultarvi in questa storia contemporanea, per farvi provare le sue sensazioni, le sue emozioni. Il tentativo di farvi spingere oltre, di arrivare al cuore di un conflitto mai risolto.

Ora, non vi resta che visitarla questa mostra, viverla attraverso i vostri occhi, le vostre sensibilità. Lo potrete fare tutti i giorni presso la sede dello spazio ChiAmaMilano, in via Laghetto2 a Milano, dal 29 gennaio al 3 febbraio nei seguenti orari: 10-20 dal lunedì al venerdì, 12-20 il sabato. Ogni giorno dopo le 17, troverete in sede anche l’autore. Il finissage è fissato invece per sabato 3 febbraio alle ore 17:30.

Riferimenti dell’autore: 

Web site 

Pagina Facebook 

Instagram: @kouam


[Ndr] : Tutte le immagini contenute in questo articolo sono coperte dal diritto d’autore e sono state gentilmente concesse da ©Cristiano Zingale ad ArteVitae per la realizzazione di quest’articolo.


Note biografiche sull’Autore

Gigi, salentino di nascita e romano d’adozione, intraprende il percorso di laurea in Economia Bancaria e successivamente abbraccia la carriera militare. Alterna la passione per l’economia e la letteratura, ereditata dal nonno, a quella per la fotografia che coltiva da tempo, applicandosi in diversi generi fotografici, prima di approdare alla fotografia di architettura e minimalismo urbano in cui trova espressione la sua vena creativa. Dotato di personalità votata alla concretezza e con uno spiccato orientamento alla cultura del fare,  Gigi intuisce le potenzialità aggreganti della fotografia unite alla possibilità di condivisione offerte dal Social e fonda il Gruppo ArchiMinimal Photography attraverso il quale riesce a catalizzare l’attenzione di tanti utenti italiani e stranieri attorno ad progetto di più ampio respiro che aggrega una nutrita comunità attiva di foto-amatori. Impegnato nella promozione e nella divulgazione della cultura fotografica, crea il magazine ArteVitae, progetto editoriale derivato dal successo della community social, per il quale scrive monografie ed approfondimenti sugli autori fotografici e cura la rubrica Digressioni sulla Fotografia, ricercando nel panorama fotografico contemporaneo,  personaggi e spunti di interesse di cui parlare. 

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