8 Febbraio 2018 By Cristiana Zamboni

Jean Michel Basquiat, il successo di essere fragili

Ci sono artisti che godono di una rara e dimenticata virtù, la fragilità. Jean Michel Basquiat è certamente fra questi. Una virtù che lo annovera, alla sua morte, fra i grandi protagonisti del Club 27.

di Cristiana Zamboni

Ci sono artisti che godono di una rara e dimenticata virtù, la fragilità. Siamo fragili di fronte alla vita ed alla morte. A noi stessi ed alle nostre emozioni. L’artista si ritrova fragile di fronte ad un successo anelato e rincorso. Ed una volta ottenuto, fa i conti con la precarietà del successo stesso. Jean Michel Basquiat rappresenta la fragilità in tutta la sua essenza.

Al primo anno di università ho perso l’amicizia più cara. La sua felicità e le sue  risate alla vita. Una sensazione che tutti i giorni mi dimostra quanto siamo friabili di fronte agli eventi. Ho sempre pensato di poter far tutto e, con costanza e volontà, di poter ottenere tutto. Ma non è vero. E quella sensazione non mi abbandona mai, ogni mattina vibra nelle orecchie come una sveglia. E l’arte lo dimostra in ogni sua opera.

Notebooks J.M.Basquiat 1982

Ci sono artisti entrati ed usciti dal firmamento del successo alla stessa velocità di una stella cadente quando la osserviamo per esprimere un desiderio. Basquiat ne è uno scintillante protagonista. Troppo giovane viene incoronato con la stessa corona che spesso rappresentava nei suoi graffiti e disegni.

Quando si muore a ventisette anni, uccisi da se stessi e dalla non accettazione delle proprie fragilità, si entra nella leggenda del Club 27. Vi si ritrovano personaggi come Jim Morrison, Amy Winehouse, Brian Jones, Kurt Cobain ed altri. Giovani re di talento. Intelligenti, bellissimi, ribelli ed autolesionisti che hanno cambiato la cultura giovanile. Il talento spesso diviene una condanna. C’è ed è reale, ma non sottostà alle leggi dell’artista, bensì a quelle dettate da altri. In arte dal mercato e dai critici.

Senza titolo Collezione Larry Warsh
J.M.Basquiat
1987

Basquiat annovera nel suo curriculum artistico ventitre mostre personali, quarantatre collettive nel mondo  e più di cinquanta articoli mentre è ancora in vita.

Nasce a Brooklyn il 22 dicembre del 1960. Padre haitiano che non riesce a costruire un rapporto col figlio. Madre portoricana che lo sostiene ma, fragile psicologicamente, è spesso in ospedale. Bambino diventa socio del Brooklyn Museum. Intelligente ed intuitivo. Bravo nel disegno.  Tanto da essere accettato alla City As School, una scuola per bambini dotati.

Cancello le parole in modo che le si possano notare. Il fatto che siano oscure, spinge a volerle leggere ancora di più

Jean Michel Basquiat

A quindici anni scappa di casa. Troppo ribelle. Non va d’accordo col padre, forse, violento. Incurante di qualsiasi regola. Vive per strada e frequenta i writers di New York. E’ all’affannosa ricerca di qualcuno a cui potersi attaccare affettivamente. Ha un disperato bisogno d’accettazione e d’identificazione. E la trova nel suo amico Al Diaz con cui comincia a creare vere opere di street-art. Si firma  “Samo”  il cui significato è “Same Old Shit”,  sempre la stessa merda.

SAMO
J.M.Basquiat

Orgoglioso delle sue origini  si scaglia contro il razzismo ed il mercato. La corona ed il marchio del copyright diventano i loghi del suo disprezzo.

The Same Old Shit. SAMO, giusto? Immaginatevi: vendere pacchi di SAMO! E’ così che iniziò, come uno scherzo tra amici e poi crebbe”.

Basquiat

Mette in luce la falsità edonista della società in cui vive. Un’arte carica di colore e rabbia. Segni inferti sulla superficie ma mai a caso. Infantili ad un primo sguardo. Ma studiati e ricercati. Ricchi di storia. Inserisce lettere e frasi per poi cancellarne alcune così d’attirare l’attenzione. Un talento dirompente che esprime emozioni d’immediata lettura e comprensione. A soli vent’anni è già una leggenda metropolitana. Ricercato dai più scaltri curatori che vedono subito in lui una nuova spinta al mercato dell’arte.

SAMO
J.M.Basquiat

Vive vendendo le cartoline che disegna per i locali di New York frequentati dallo show-business dell’arte.  Una sera, entra in un locale di Soho  e riesce a venderne qualcuna a Andy Warhol. Preludio della grande amicizia – collaborazione che nascerà qualche anno dopo con il suo ingresso nella Factory.

 

 

Riconosce il suo valore. Sa perfettamente di fare un’arte di sicuro successo e vuol, a tutti i costi, entrare nelle alte sfere del mercato artistico. Senza un soldo vive di notte e frequenta i locali di tendenza  per entrare in contatto col mondo che anela. Elengante e bellissimo. Intuitivo ed intelligente. Sfuggente, sconclusionato e pigro. Ma, nel profondo, maturo e consapevole.

“Sono convinto che l’arte nasca dall’esigenza, a mio modo di vedere, primordiale di dare una risposta alla fragilità individuale ed a tutti i limiti dell’esistenza”.

Roberto Gramiccia

Nel 1980 partecipa alla grande mostra al  Times Square Show organizzata da Haring, suo grande amico e proveniente anche lui dal mondo della Street-art. Le sue quindici opere esposte ottengono un successo straordinario ed entra ufficialmente nella schiera dei più ricercati artisti contemporanei.

Ama le donne, i soldi e la droga. Lo fanno sentire forte, allontanano il disagio e la rabbia. Va oltre le regole per seguire le regole del vivere alla moda. Frequenta gli anticonformisti più conformisti del momento. Legati alla voglia di successo e d’eternità. E’ e fa parte del sogno americano. Un sogno fragile e borderline.

“Untitled,” Jean Michel Basquiat 1982

Nel 1981 espone a Modena. Lavora in loft offerti dai galleristi che lo accudiscono. Dipinge indossando abiti di Armani e le sue opere scalano velocemente le vette del mercato. Vende a prezzi altissimi. Ha una breve liason con Madonna e Susanne Mallouk. Ma, entrambe, lo lasciano velocemente per non essere risucchiate in quel mondo fragile ed in continua ricerca di anestetico.

Mona Lisa
J. M. Basquiat
1983

La sua arte matura. Passa dalle bombolette spray ai pastelli ed acrilici. Non abbandonerà mai l’universo metropolitano e la street- art. Caratteristico esempio è l’opera “Mona Lisa”. Cancellata e celata dietro segni inferti con forza. Diviene primitiva ma è curata e studiata. Si riconosce un’affinità con l’Espressionismo astratto. Nelle tele imprime emozioni intense ed istinto. Genialità e sapere. Va oltre l’arte e la riscrive con un linguaggio primitivo ma adulto e conscio.

Rincontra Andy Warhol. Creano e lavorano insieme dando vita alla più interessante collaborazione artistica di tutti i tempi. Un’amicizia vera in cui l’artista trova quell’affetto sempre cercato. Si spingono a provare l’uno l’arte dell’altro, quasi a creare opere davvero complete. Si placa la sua rabbia e trova un flebile equilibrio tanto da decidere di disintossicarsi. Ma la critica non è concorde, lo definisce la “mascotte di Andy”. E lui ricade nel baratro.

Jean Michel Basquiat e Andy Warhol

La sua fragilità torna ad urlare ferocemente. Baquiat fugge in droghe sempre più pesanti per stordirsi e far tacere il mondo attorno a lui. Si sente estraneo ed incompreso. Warhol decide di lasciarlo andare al suo destino. Sempre troppo stordito dalle droghe e autolesionista, ormai quasi incapace di produrre opere.

“A J.M. Basquiat fu affibiata l’etichetta di graffittaro. Il totale travisamento e la manipolazione di questo ipotetico “gruppo” è un esempio perfetto dell’arte dei primi anni Ottanta. La gente era più interessata al fenomeno che all’arte in sè”

Keith Haring

Gli ultimi anni della sua vita li passa nell’oblio delle sue fragilità. Con la speranza, un giorno,  di potersi riappacificare con l’amico Warhol. Ma il 22 febbraio del 1987 Andy muore e per Jean Michel è l’inizio della fine. Lo si vede raramente in giro e se capita è a bordo della sua bicicletta vestito d’Armani. Sempre più magro e sempre più lontano dalla realtà.

Jean Michel muore il 12 agosto del 1988, nel suo studio di Great Jones Street stroncato da un’overdose. Da allora disegna, dipinge, scrive e suona jazz nell’olimpo del Club 27 ed è sepolto al Green Wood Cemetery of Brooklyn.

L’angelo ribelle
J.M.Basquiat

La fragilità è la  virtù che nasce dalla sofferenza del vivere. Ci spingiamo oltre ogni limite per poterla combattere. Nasce dalla sofferenza del vivere stesso. Siamo fragili davanti a tutto. Anche ad un sogno che si realizza, fu così per Jean Michel. L’artista fragile che dipinge e scrive poesie. Con un’idea romantica di come le persone potessero diventare famose.

 


Note biografiche sull’autrice

Cristiana è nata a Milano il 25 giugno 1969, frequenta il liceo artistico di Bergamo, si diploma nel 1987, frequenta l’istituto d’arti grafiche e figurative San Calimero a Milano per la qualifica di Grafica pubblicitaria nel 1992. Contemporaneamente lavora come free-lance presso studi di grafica per progettazione cartelloni pubblicitari e libri per bambini. Collabora con diversi studi. Interior designer si specializza in Art – design. Collabora free-lance con studi di progettazione d’interni per la creazione di complementi d’arredo artistici e  per la creazione di quadri d’arredo, dipinge.