9 Novembre 2016 By artevitae

Intervista con Vito Leone

di Luigi Coluccia

Con l’intervista di oggi vogliamo farvi conoscere più da vicino un nostro grande amico, uno degli autori fotografici più apprezzati dal variegato popolo della Rete. Cercheremo di farlo alla nostra maniera, entrando in punta di piedi nel suo mondo e andando a porre l’accento sulle sue molteplici sfaccettature. Analizzando il suo costante percorso di ricerca, affronteremo l’evoluzione del suo lavoro fotografico, che rispecchia la sua innata capacità di osservare la società e i suoi mutamenti con spirito analitico. Andiamo allora in Puglia, precisamente a Taranto, per conoscere più da vicino Vito Leone. Buona lettura! 

Vito è nato a Taranto, una delle grandi città del sud, è un giornalista e si occupa di comunicazione. La sua storia, la sua fotografia e la sua acuta sensibilità artistica sono strettamente legate al suo territorio che negli anni ha attraversato tante controversie e ha sofferto di una miope gestione delle tante problematiche che lo hanno interessato, di cui l’emblema è senza dubbio rappresentato dalla vicenda dell’ILVA.  “Ci sono tre cose a Taranto – osserva infatti Vito – il mare, la storia e l’industriaLa fusione di questi elementi ha sicuramente influenzato il mio stile e la mia visione del mondo”. Il suo amore per la città di Taranto è incondizionato e traspare inequivocabilmente dal suo sguardo, quando ne parla con quel trasporto misto all’amarezza per i continui torti che ha subito e le molte opportunità di riscatto che le sono state negate.

AMB: Vito, cercheremo di approfondire il tuo lungo percorso fotografico, intanto cominciamo dall’inizio. Quando è nata la tua passione per la fotografia? Quale è stato il momento in cui si è accesa in te la passione per questa forma di espressione artistica?

VL: La passione per la fotografia è nata  quando ero ancora un bambino. Fu mio padre a mettermi in mano la prima macchina fotografica. Fotografo da sempre anche se ho abbandonato negli anni 90, quasi per nausea. Agli inizi del nuovo millennio il giornale per cui lavoravo mi affidò una delle prime Canon digitali e fu grazie a quell’occasione che ricominciai a scattare. Circa cinque anni fa, insieme alla scoperta del digitale e dei social network, ho iniziato a fotografare in maniera più professionale e a postare le mie immagini sui social network più in voga. Un viaggio a Berlino, poi, città che definirei quasi metafisica, ha risvegliato in me tracce e germogli sopiti.

AMB: Nella Rete sei considerato uno dei più autorevoli rappresentati della fotografia  minimalista, quando hai deciso di abbracciare questo genere fotografico?

VL: L’incredibile svolta artistica arriva quando la mia compagna mi iscrive a Facebook. Navigando in Rete, mi imbatto casualmente in un gruppo che si occupa di minimal art e da subito mi riconosco in quelle foto di dettagli, annotazioni, metafore. Inizio così a cercare avidamente degli approfondimenti circa le correnti artistiche ad esso collegate e pian piano comincio a conoscere e studiare autori quali i grandi maestri pittori e scultori americani degli anni 60 e 70, Stella, Morris, Judd, LeWitt e poi Buren, Flavin, Andre, Martin, Serra ed infine  i fondamentali, per me richiami alla fotografia di Baltz, Becher e Basilico.

AMB: Hai citato alcuni fra i più grandi artisti e fotografi dell’epoca contemporanea che hanno evidentemente costituito per te dei riferimenti costanti. Quanta rilevanza hanno avuto nel tuo percorso di ricerca e quanto hanno influenzato la tua crescita fotografica?

VL: Senza studio e riferimenti non si può dire di appartenere a un genere, per cui sono fondamentali. Io tendo a fondere fotografia, pittura, scultura e a reinterpretare anche inconsciamente ciò che mi arriva dal reale.

AMB: Nella tua fotografia, il minimalismo viene presto affiancato da un rigore molto ferreo per le linee geometriche, caratteristica fondamentale per le foto di architettura., ma nel tuo percorso evolutivo realizzi immagini sempre più rappresentative di  realtà urbane tipiche delle città Globali. Quale è il rapporto che hai con questo tipo di fotografia e quale significato attribuisci ai tuoi lavori?

VL: Questo tipo di fotografia rappresenta il modo in cui la mia mente interagisce con le forme e il colore. E’ come se, attraverso lo scatto, riuscissi ad ‘iconizzare’ l’ambiente circostante, nel tentativo di spiegare agli altri la mia idea di bellezza. Una bellezza che, paradossalmente, può essere presente nelle linee delle periferie, considerate brutte e degradate, nel profilo – per esempio – di un complesso industriale, di per sé non bello, perché portatore di inquinamento ed abbruttimento del paesaggio. Qualcuno ha chiamato questa fotografia la “fotografia della banalità”. Io vorrei dare dignità espressiva a quella banalità, cercare il bello nelle forme e negli oggetti quotidiani, trovare, nello scatto, la ‘teoria’, la legge matematica che regge il disegno.

Ilva Taranto – ©Vito Leone

Quartiere Tamburi Taranto – ©Vito Leone

Vito nasce e cresce nel quartiere Tamburi di Taranto, da cui si trasferisce solo qualche anno fa, ragione per la quale il paesaggio industriale e urbano sono parte integrante della sua vita. Ecco perché le città-alveare, gli scorci di quartieri popolari, le periferie e il cemento sono il rumore di fondo, costante, della sua fotografia. La sintesi che cerca di perseguire è un contrappunto di linee e forme, che coglie il ritmo della città, che pone gli accenti e detta le pause, nella ripetitività o nella discontinuità dell’immagine.

Vito è attratto dalla geometricità, gli piace cogliere le architetture urbane nella loro essenzialità: si pensi ai “merletti” della Concattedrale di Giò Ponti, di un bianco assoluto e ai “buchi neri”, alle trombe delle scale come quelle del periodo razionalista.

Descrivendo la sua fotografia dice: “Sento il bisogno di descrivere la mia città, i luoghi che mi appartengono, di ricercare un po’ di bellezza nascosta

AMB: Cosa attira la tua attenzione? Cosa fa nascere in te l’esigenza di raccontare i luoghi che ti appartengono?

VL: Sono attratto dai non-luoghi. Nelle nuove teorie sulla ‘città globale’, sono luoghi effimeri e fluttuanti, di passaggio, definiti “spazi di circolazione, di consumo, di comunicazione” attraverso cui transita la collettività nell’attualità di un progressivo “restringimento planetario e di un’accelerazione della storia” (la globalizzazione). Sono aeroporti, stazioni, metropolitane, ipermercati, centri commerciali, fast-food, autostrade.

Serie “non-luoghi” – ©Vito Leone

Serie “non-luoghi” – ©Vito Leone

Le fotografie dei non luoghi, ricollegandosi alla definizione attribuita loro dal sociologo degli anni ’60 Marc Augé, catturano le atmosfere sospese, costellate di presenze e solitudini che sono tipiche dei luoghi di passaggio. In queste foto, a fare da trait d’union fra la presenza espressiva dell’autore e la sua presa di distanza dall’immagine, c’è la transitorietà, definibile come ‘lo stato in cui l’immagine si arricchisce della presenza altrui’. Lo sguardo del fotografo fa un passo indietro, catturando quelle presenze umane, come se le spiasse, per tratteggiarne quei gesti segreti, che sono il vero vocabolario della solitudine. Una presenza terza, spettatrice delle scene, che guarda “dal buco di una serratura” ma non emette alcun giudizio.

AMB: Una nota amara contraddistingue la tua fotografia, quasi un grido di denuncia sulle ingiustizie subite dalla tua città, una città del “profondo” Sud. Quanto ha influito su questa tua matrice? Ritieni che la fotografia abbia il compito di denunciare, di relazionarsi con il sociale che la circonda?

VL: Ha influito pesantemente sia per i torti subiti dalla mià città sia per la mia professione di giornalista. Proprio qualche giorno fa leggevo un intervista a Efrem Raimondi il quale affermava “che oggi più che in qualsiasi altro periodo, il fotografo deve avere una visione del mondo. Non deve necessariamente pronunciarsi dal punto di vista politico o sociale, la contemporaneità non è la lettura dell’attualità, ma una visione del mondo devi averla. Se sei un fotografo non puoi sottovalutare alcune cose. Non devi sventolare una bandiera, ma io devo riconoscere il tuo sguardo sul mondo.”

AMB: Tornando al tema dei social media che hanno facilitato l’approccio ai generi fotografici e artistici che ti hanno appassionato nel tempo, cosa pensi realmente della loro utilità e del loro utilizzo ?

VL: Spesso queste piazze virtuali vengono demonizzate, ma nella mia esperienza sono state una vetrina mondiale e un luogo dove sperimentare e ricevere immediatamente consenso o critiche, un luogo anche di confronto con esperti fotografi da tutto il mondo e critici d’arte.

AMB: Cosa guida la tua ricerca fotografica, cosa ti spinge a prender una direzione piuttosto che un’altra?

VL:  Appagamento, soddisfazione e pace interiore. Credo, ciò che accade a chiunque porti a termine un proprio lavoro. Il mio interesse artistico non è al significato dell’immagine in sé, ma alla tensione tra i materiali e le forme e al loro comportamento nello spazio. L’osservatore può interpretare con la sua personale sensibilità, liberandosi dai codici di lettura convenzionali; dettagli urbani che sono spesso sotto i nostri occhi senza che siano “letti” artisticamente ma che ognuno può sentire propri. Credo che la capacità di scovare l’arte nel quotidiano sia la missione del fotografo, che può suggerire un’interpretazione inedita e personale dell’esistente.

AMB: Abbiamo notato ad un certo punto seguendoti, un ulteriore momento di ricerca nel tuo fare fotografia. Cosa ti spinge a cambiare e a ricercare nuove strade? Sono stimoli esterni quelli che ricevi o trovi in te questo desiderio?

VL: Ogni cosa si esaurisce, quando penso di essere appagato cerco nuovi spunti o altri arrivano da soli dall’esterno o casualmente da nuove scoperte, come tasselli di puzzle che si completano.

©Vito Leone

©Vito Leone

AMB: Raccontaci quindi i tuoi progetti attuali e futuri, frutto della maturazione di questa continua ed evidentemente stimolante ricerca.

VL: È un terreno troppo permeabile.

AMB: Allora rimarremo in attesa di poterli apprezzare una volta che li avari focalizzati e realizzati. Per concludere, siamo curiosi, con che strumenti tecnici realizzi le tue fotografie?

VL: Una fotocamera fuji ed un sapiente e coscienzioso uso di photoshop e ottiche grandangolari, uso un 10/24

Vito rappresenta senza dubbio uno dei più apprezzati autori della Rete, i suoi lavori sono sempre uno stimolo alla riflessione e alla crescita. E’ diventato nel tempo uno dei naturali punti di riferimento per chi si approccia alla fotografia minimalista e a quella di architettura urbana. E’ sempre disponibile, gentile e generoso con chi si approccia a lui anche solo per chiedere un consiglio.

Galleria di immagini di Vito Leone

Quella con Vito, come sempre, è stata una chiacchierata piacevolissima. E’ impagabile la sua innata capacità di affrontare temi complessi con quella sapiente leggerezza che li rende cosi accessibili ai più. Il mondo dei social ha il pregio di metterci in contatto facilmente gli uni con gli altri, resta però a ben vedere, un luogo in cui è difficile socializzare davvero in modo approfondito. Sarebbe davvero interessante infatti passare le giornate intere ad ascoltare i racconti e le idee di tanti autori ricchi di conoscenza come Vito e in questo nostro spazio proviamo a colmare questa lacuna. Noi ti ringraziamo per essere stato con noi e per aver accettato di raccontarti a cuore aperto.

VL: Grazie a voi.