In amore vince davvero chi fugge? Sì, ma solo se alla fine rimane!
Il caffè con la psicologa. Quante volte, soprattutto in relazioni sentimentali complesse, abbiamo sentito ripetere la fatidica frase “in amore vince chi fugge”? Ma è davvero così? In realtà fuggire non è sempre la cosa migliore da fare: cerchiamo di scoprire il perché.
di Virginia Palombi
Gli uomini e le donne hanno due modi diversi di pensare, di esprimersi ed anche di amare. Le donne spesso condividono i propri sentimenti con gli altri; sentono il bisogno di parlare e di parlare tanto, per condividere quello che provano e che pensano; gli uomini, invece, generalmente più introspettivi e silenziosi, si ritirano nella loro caverna (mentale), fuggendo e rimanendo in solitudine. Per fuga, quindi, in questo caso si intende non qualcuno che scappa fisicamente, ma principalmente un atteggiamento. Uno stato mentale di pace con se stessi, un armonioso equilibrio tra le nostre due tendenze contrapposte che ci governano: quella che ci spinge verso l’altro e quella che desidera l’indipendenza affettiva. Generalmente questo detto probabilmente appartiene maggiormente all’universo maschile, perché gli uomini sono il più delle volte cinici e strategici, mentre l’universo femminile ne subisce l’effetto, soprattutto quando le donne sono realmente innamorate e quindi più arrendevoli e vulnerabili.
Una ricerca dell’università della Virginia conferma che “Il fascino per l’ignoto” sembra essere una tecnica di seduzione a tutti gli effetti, ma è bene ricordare che ha dei limiti, poiché riguarda solamente la fase iniziale dell’attrazione. È stato riscontrato, infatti, che una volta che si conosce meglio il partner misterioso, tutta l’aura seduttiva di cui era investito tende a scomparire e quindi è meglio restare! In effetti durante la fase del corteggiamento, avere l’altro che scappa, che tende ad essere tenebroso ed enigmatico, può essere stimolante per la ricerca e la conoscenza dell’altro. Sembra, insomma, che essere sfuggenti sia meno faticoso e garantirebbe risultati migliori; ma in che modo attuare tutto questo? Negandosi, ad esempio evitando di rispondere al primo squillo e senza mostrare troppi entusiasmi ai primi messaggi.
Possiamo dire che l’amore è una danza sensuale e lenta in cui ciclicamente i due partner tendono a respingersi e riavvicinarsi. Un balletto che, però, va messo in scena solo all’inizio: dopo, negarsi sortisce l’effetto opposto. Dopo è la reciprocità a prendere il sopravvento, diventando la condizione sine qua non per la salute della coppia. Come spiega l’esperto psicologo americano Gottman che nel suo Love Lab ha passato in rassegna migliaia di coppie negli ultimi 25 anni, “la vita a due è come una danza, a volte vogliamo stare vicini al nostro amore, a volte vogliamo staccarci per un po’. L’importante è non perdersi mai di vista“. Dopo, fuggire è sintomo di scompensi emotivi da risolvere perché una fuga costante impedisce ai partner di contaminarsi e influenzarsi a vicenda. In una parola, di diventare complici.
In definitiva possiamo quindi affermare che se nelle fasi iniziali dell’innamoramento la fuga può essere un comportamento funzionale alla scoperta del nuovo partner, colui che continua a scappare anche quando la coppia dovrebbe iniziare ad instaurare un legame più stabile e duraturo, potrebbe celare delle difficoltà relazionali più profonde: spesso infatti, la persona che non riesce a legarsi ad un’altra è intimamente portata a credere che non merita cura ed attenzione da parte dell’altro; è probabile che sin da piccolo sia cresciuta in contesti relazionali disfunzionali, per cui finisce con il pensare che se i genitori lo hanno trascurato è perché non era abbastanza, e non meritava quell’amore che tanto desiderava.
La tendenza a invaghirsi di persone poco o per nulla disponibili si configura così come il tentativo (inconscio) di ricercare, ricalcare e rivivere quelle relazioni della nostra infanzia in cui abbiamo sentito che l’amore tanto desiderato ci era negato. Tale ricerca è sorretta dal desiderio di dare a quelle relazioni un risultato diverso, di ottenere quell’amore tanto a lungo desiderato per dimostrare a se stessi che lo si merita. Ma la scarsa disponibilità dei nostri genitori non dipendeva da noi, così come non dipende da noi la scarsa disponibilità delle persone di cui ci innamoriamo. Se una porta non si apre, non è la nostra porta: non sono le nostre chiavi ad essere sbagliate, ma la porta a non essere quella giusta per noi. La tendenza a cercare di ottenere l’amore di chi non sa darcelo ci fa soffrire, non ci permette di avere delle relazioni buone, positive e soddisfacenti e alimenta un circolo vizioso che finisce per farci sentire sempre più sbagliati.
In realtà l’amore si nutre di momenti di vicinanza e di lontananza. Stare sempre insieme, dirsi tutto, condividere ogni momento potrebbe inaridire l’amore. Bisogna al contrario mantenere viva la curiosità, “fuggendo “ un po’. Dopo le prime fasi dell’innamoramento, è salutare che ciascuno coltivi anche degli interessi individuali. In effetti il bisogno e la dipendenza dell’altro espressa in forma eccessiva, a differenza di quanto si possa credere, fa paura e allontana. Amare troppo non fa per niente bene all’altro che si sente sovraccaricato di una grande responsabilità, ovvero un amore smisurato che in caso di rotture può portare a sofferenze devastanti. Questo non vuol dire che non si debba amare tanto, alla follia, ma occorre riuscire a miscelare nelle giuste proporzioni l’amore per noi stessi e quello per il nostro partner, facendo star bene noi e meglio l’altra/o.
Chiudo con le parole del poeta libanese Khalil Gibran, che nella poesia sul matrimonio afferma:
“(..) amatevi l’un l’altra, ma non fatene una prigione d’amore. Riempitevi a vicenda le coppe ma non bevete da una sola. Cantate e danzate insieme e siate gioiosi ma ognuno di voi sia solo come son sole le corde del liuto sebbene vibrino di una musica uguale. Datevi il cuore ma l’uno non sia il rifugio all’altra perché soltanto la mano della Vita può contenere i vostri cuori, E state insieme, ma non troppo vicini poiché le colonne del tempio sono distanziate e la quercia ed il cipresso non crescono l’una all’ombra dell’altro”.
Note biografiche sull’autrice
Virginia nasce a Roma nel 1978, ma vive stabilmente a Marino, uno dei paesi più apprezzati dei Castelli Romani. Dopo aver frequentato il liceo classico si laurea alla Sapienza in Psicologia Clinica e di Comunità. Già durante il percorso di studi, mostra uno spiccato interesse per le dinamiche relazionali e si avvicina al mondo scolastico, lavorando con bambini dai 3 ai 12 anni con disturbi dell’apprendimento e del comportamento. Parallelamente cerca di alimentare la passione per “l’altro”, conducendo per 4 anni, in due radio romane, un programma di attualità e frequentando per 7 anni un corso di teatro che l’ha portata a calcare palchi anche importanti come per esempio il Ghione di Roma. Oggi lavora in un’azienda romana che da oltre 20 anni si occupa di Customer Care, ricoprendo parte attiva nei processi di selezione e di formazione del personale.
Per ArteVitae scrive nella sezione PSICOLOGIA, esplorando il favoloso e complesso ambito delle Relazioni Umane e cura la rubrica Il caffè con la psicologa, uno spazio vivace e interattivo, tutto dedicato ai lettori, nel quale Virginia risponde alle loro domande.
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