14 Giugno 2019 By Daniela Bonalume

Il terrazzo risolutore. Racconto breve di Daniela Luisa Bonalume.

Il terrazzo risolutore è il nuovo racconto breve scritto da Daniela Luisa Bonalume per la raccolta “Suggestive Evasioni”.

di Daniela Luisa Bonalume

Le nocche delle dita gli facevano male. Le falangette disertavano la direzione delle falangine che, a loro volta, si dissociavano dall’indirizzo imposto dalle falangi. Guardava con rammarico le proprie estremità superiori, entrambe fasciate con una lunghissima benda elasticizzata. Aveva adottato questo espediente in modo da poter dipingere senza sentire dolore alle dita. Questa pratica la aveva mutuata da Renoir, che in vecchiaia chiedeva al suo collaboratore di legargli i pennelli alle mani, a causa di una invalidante artrite deformante.

Silverio, la mattina, si faceva bendare ed infilare i pennelli tra gli strati delle fasce dalla donna di servizio. Uno per ogni dito escluso i pollici ed i mignoli. Si trovava bene, poteva così averli a disposizione in tutte le dimensioni a lui necessarie. Si guardava le mani e non si capacitava del come mai quella mattina fossero così doloranti.

Da quando aveva lasciato il suo impiego per raggiunti limiti di età, aveva trovato sollievo solo nella pittura. Aveva diviso il grande terrazzo della casa nella quale viveva con la moglie e la figlia, ricavandone un angolo studio e giardino con serramenti di alluminio e doppi vetri.  Lo completò con tutto l’indispensabile per ottenere una temperatura ideale all’interno dell’area preferita e, oltre alla sua attrezzatura ed alle piante, fece installare anche una comodissima poltrona letto.

E lì si trovava, quella mattina, in attesa di Irina.

Irina era l’unica persona che si prendeva cura di lui. Forse perché era il padrone, forse perché ne subiva un po’ il fascino, o forse per tenerezza e pietà. Silverio non era certo un uomo facile da trattare. Fin da giovane partiva con certe impuntature che nessuno era in grado di smontare. Alcune di queste, ancora le stava pagando. Per esempio quella del suo matrimonio.

Quando conobbe Rachele, oltre cinquantanni prima, era un bel ragazzo, un po’ superficiale e coattello, ma di buon cuore. Si era appena laureato ed era convinto di avere un futuro fulgido e felice davanti a sé. Un po’ come tutti noi, insomma. Ma una sera, complice una chitarra, una festa di Sant’Anna sulla spiaggia ed una birretta di troppo, Silverio fu superficiale anche nel posizionamento del profilattico, dando vita, e non in senso metaforico, a quella che sarebbe stata la propria galera.

Nonostante i genitori non fossero d’accordo, Silverio decise di onorare Rachele e riparare alla sua reputazione sposandola. Ne faceva una questione di responsabilità. Non era molto convinto, non era sicuro dell’amore di lei, e neppure del proprio, ma era certo che con un po’ di civiltà e rispetto, l’unione si sarebbe anche potuta trasformare in un matrimonio sereno. L’arrivo di Valentina, la figlia, avrebbe reso il percorso di vita più vellutato e consapevole.

Proprio davanti alla porta della chiesa il padre gli sussurrò – Guarda che sei ancora in tempo a non rovinarti. Riconosci la bambina e ce ne occuperemo insieme, ma non sposarti –.

Silverio si sposò. E già dalla sera stessa la sua anima si erose. La gelosia di Rachele iniziò subito a rendergli la vita grama. La donna, che scelse di occuparsi esclusivamente della bimba, aveva volutamente ristretto drasticamente il suo campo di relazioni, riservando e riversando su Silverio tutta la propria acredine per una vita ed un marito che non avrebbe voluto e che la sorte, invece, le aveva imposto.

La colpa di chi poteva essere? Ovviamente di quel cretino di Silverio, incapace anche di mettersi un preservativo. Per Rachele, il marito, era intento solo a seguir le sottane fuori casa, facendo il ganzo con una moto di grossa cilindrata che, né lei né la figlia, avrebbero mai cavalcato negli anni.

Qualcosa di vero magari c’era. Silverio, un po’ sbruffone lo era, e non sempre usava la testa. Come quella volta che entrò dal salumiere bardato come Dart Fener di guerre stellari, con il casco nero in testa. Per poco la vecchia della salumeria non muore d’infarto ed il consorte, spaventato, gli tirò un coltello. Fortunatamente mancandolo.

Comunque, considerato il trattamento che gli veniva riservato dalle due donne di casa, Silverio portava la propria croce con dignità e coerenza, fingendo fino in fondo per non addolorare i propri genitori, che non osarono mai più intervenire, se non per regalare al figlio quella casa che lo vide tanto infelice, e che ora lo ricoverava come un ospite in uno spazio appendice.

E proprio questo, ad Irina raccontò quella mattina. Per la prima volta, mentre si faceva fasciare le mani, Silverio srotolò la sua vita come un cartiglio. Irina lo guardava con occhi increduli e commossi.  Le parole uscivano copiose ed invadevano tutto lo spazio della luminosa veranda. Parole tristi ed allegre, grigie e gialle, viola ed arancioni, rosse e verdi. Parole che davano un senso alla vita, come i colori davano un senso alle tele che incessantemente Silverio si ostinava a dipingere nonostante la malattia.

Sistemati tutti i pennelli nelle posizioni di combattimento, Silverio chiese ad Irina di aiutarlo ad alzare il braccio per iniziare una nuova opera. Irina prese il braccio dell’uomo e lo alzò.

– In questo momento, Irina, non avrei più nulla da chiedere alla vita, sarei pronto ad andarmene – ed in un attimo, coi pennelli tra le mani, Silverio se ne andò.


Note biografiche sull’autrice

Daniela Luisa Bonalume è nata a Monza nel 1959. Fin da piccola disegna e dipinge. Consegue la maturità artistica e frequenta un Corso Universitario di Storia dell’Arte. Per anni pratica l’hobby della pittura ad acquerello. Dal 2011 ha scelto di percorrere anche il sentiero della scrittura di racconti e testi teatrali tendenzialmente “tragicomironici”. Pubblicazioni nel 2011, 2012 e 2017.

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