7 Febbraio 2020 By Daniela Bonalume

Il regalo di Natale. Il nuovo racconto di Daniela Bonalume.

Il regalo di Natale è il nuovo racconto breve di Daniela Luisa Bonalume per la raccolta “Suggestive evasioni”.

di Daniela Luisa Bonalume

 

Prima di andare a studio passai da lì per controllare i fiori appoggiati su quel tumulo di terra. La ferita era spalancata e nel cuore ci entrava qualsiasi cosa. Ero così fragile da essere facile preda di tutte le situazioni emotive che mi si presentavano.  Mancavano tre giorni a Natale. Pensi che tre giorni son niente. Lo pensi ma non è così. Tre giorni fa il mio babbo mi dava la buonanotte. In tre giorni lui mi ha lasciata, è stato visitato ed onorato dalla sua città ed infine accompagnato a quella che sarà la sua dimora eterna.

Che brutto scherzo ci ha giocato. Noi che non abbiamo mai avuto il piacere di riunire l’intera famiglia per le feste natalizie. Ogni volta ci lamentavamo perché mancava sempre qualcuno e non si completava mai il cerchio affettivo. Eravamo infine costretti a riporre i regali non ritirati perché per quel Natale quello zio o quel cugino non potevano proprio venire.

La città dove vivo non è molto grande e mio papà lo conoscevano tutti. E’ stato un medico molto stimato ed amato. Una persona molto benvoluta ed alla cerimonia di commiato non si vedeva la fine del corteo. Scalda il cuore per un attimo, ma poi la ferita torna a sanguinare. E la testa continua ad essere ubriaca.

Mancavano solo tre giorni a Natale. Non avevo idea di quale Natale avremmo passato, io, mia mamma e le mie sorelle. Non sapevamo come sarebbe trascorsa quella giornata, così tradizionale ed evocativa. Eravamo smarrite, ed io ancora di più, fingendo di non esserlo. Tiravo la carretta emotiva compensando con le oscillazioni la mancanza di stabilità. Avevamo già pensato a tutti i regali. Mentre staccavo dai mazzi di fiori le poche foglie ingiallite, cercavo di scacciare dalla mente la sequenza di immagini del brutto film del giorno precedente. Si, mi sembrava proprio un brutto film, un terribile sogno e, inginocchiata accanto ai fiori, ero in ansiosa attesa dei titoli di coda, che però tardavano ad arrivare.

Accarezzai i petali delle gerbere che avevo portato. Un fiore semplice come era lui. Le avevo scelte bianche. Erano lo specchio della sua anima. Un uomo onesto intellettualmente e puro. Mi dolevano i muscoli e non avrei mai voluto rialzarmi da lì. Lo sentivo più vicino nonostante mi sembrasse tutta una finzione. Poi decisi di appoggiare il palmo della mano sulla terra e mi rimisi in piedi.

Trascorsi la giornata raccogliendo le condoglianze dei miei pazienti e cercando di effondere sicurezze. Il mio ruolo di terapeuta mi segregava in uno spazio, in assenza di gravità ed a tenuta stagna, dentro il quale mi sentivo protetta.  Una situazione temporanea, soprattutto quando il pensiero tornava all’organizzazione del Natale ed a quella che sarebbe stata l’atmosfera durante il pranzo. La bolla di sapone che racchiudeva quello che restava della mia famiglia non accennava a scoppiare. Ci si muoveva come marionette ben attente a non incrociare gli sguardi. La notte del ventiquattro fu spesa a guadare il soffitto. Analizzammo tutte le imperfezioni dell’intonaco ed ognuna di noi si creò una propria strategia per superare i due giorni che stavano per arrivare. E che erano praticamente arrivati.

La mattina di Natale, di buonora, ci prendemmo cura di mia madre. La preparammo bella, con un velo di trucco le infilammo una camicetta bordeaux con un filo di lamé. Noi sorelle avevamo deciso per il ristorante. Saremmo andate al mare a mangiare il pesce. Era una cosa che piaceva molto al babbo ed in quel modo lo avremmo tenuto con noi, proprio come facevano gli antichi cristiani nella giornata dei “Parentalia”.

Mi occupai personalmente della scelta del locale e, mentre stavo per prenotare il tavolo, suonò il campanello del citofono – Sono zio Giulio, mi apri per cortesia? – Lo zio Giulio era il fratello più grande del babbo.  Insieme a lui c’erano zia Anna, la moglie, ed i tre figli. Ognuno di loro aveva una teglia con dentro qualcosa di cucinato. Posai il telefono e capii subito che non saremmo andate al mare.

Poco dopo il campanello suonò di nuovo – Siamo zio Marcello e zia Sandra -. Aprimmo la porta alla famiglia che portava con sé viveri per una legione straniera. La casa si animò improvvisamente e non ci fu spazio per il silenzio quando il campanello suonò per la terza volta, poi per una quarta ed anche una quinta. La mattinata stava volgendo al termine ed il campanello suonò ancora. La tavola fu apparecchiata come mai successe prima. La mamma dovette recuperare i servizi di piatti, quelli belli, che si usavano solo nelle grandissime occasioni. Quelli del matrimonio, per intenderci! Si chiesero alcune sedie ai vicini, che nel pomeriggio si unirono a noi.

Tra un boccone e l’altro ognuno aveva un’esperienza vissuta col babbo da raccontare, non si parlò d’altro che di lui. Le fotografie delle nostre vite passavano di mano in mano,  dal tavolo al divano, dai tappeti alle poltrone. Cose belle. Solo le cose più allegre e divertenti. Solo i suoi gesti più generosi ed i momenti più goliardici della sua infanzia e giovinezza. Quel Natale durò due giorni perché non restammo mai sole, i cugini si coricarono dove poterono e gli altri si ripresentarono al sorgere del sole.

Penso molto spesso a quei giorni. Sono passati oltre vent’anni anni ma, considerati gli accadimenti ultimi di quel tempo, credo che il mio babbo mi abbia fatto un regalo favoloso e quel Natale resterà per sempre il Natale più bello.

Note biografiche sull’autrice

Daniela Luisa Bonalume è nata a Monza nel 1959. Fin da piccola disegna e dipinge. Consegue la maturità artistica e frequenta un Corso Universitario di Storia dell’Arte. Per anni pratica l’hobby della pittura ad acquerello. Dal 2011 ha scelto di percorrere anche il sentiero della scrittura di racconti e testi teatrali tendenzialmente “tragicomironici”. Pubblicazioni nel 2011, 2012 e 2017.


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