20 Novembre 2020 By Daniela Bonalume

Il pellegrinaggio. E’ il nuovo racconto di Daniela Bonalume.

“Il pellegrinaggio” è il nuovo racconto breve di Daniela  Luisa Bonalume per la raccolta “Suggestive evasioni”.

 

di Daniela Luisa Bonalume

“Aveva accumulato tanti passi, nelle proprie scarpe. Aveva scritto molte pagine. Ogni tanto si fermava per rileggere. Stranamente non si era mai sentita sola.”

La passeggiata si faceva lunga, troppo lunga. Alice iniziava a sentire le ginocchia molli. Le sue caviglie si opponevano alla rettitudine e stravaccavano un po’ a destra e un po’ a sinistra. Si appoggiò un minuto al carrello che trascinava dietro di sé e tirò su il bavero della giacca per proteggersi il collo. La giacca, chiamiamola giacca se vogliamo, era quello che restava di un elegante capo di abbigliamento recuperato ad una bancarella di abiti usati. Alice lo aveva avuto in dono da un commerciante mosso a compassione dai suoi occhi verdi, grandi, umidi e vivi di desiderio.

Un desiderio mosso non dalla ricercatezza del taglio, ma dal calore della stoffa, che sarebbe andato a sovrapporsi al vestitino smanicato che indossava ormai da parecchie settimane. La giacca le avrebbe garantito un po’ di tepore durante le notti di tarda estate, che muovevano verso il presto autunno. Vagò ancora per un po’ in cerca di un riparo, poi decise di ritirarsi come ormai era consuetudine. Anche per oggi, la sua giornata era giunta al termine.

Si sedette sul muretto della fontana della piazza principale di quella località sconosciuta, che aveva raggiunto a piedi come fosse stato un pellegrinaggio. Era stanca, stanchissima. Si guardò intorno ed individuò la canonica. Si diresse lì e suonò il campanello. La perpetua venne ad aprire, le concesse due parole e poi scomparve nuovamente chiudendo la porta. Alice rimase in piedi davanti all’uscio, che si riaprì dopo alcuni secondi. La donna portava con sé un secchio di acqua calda ed un pezzo di ciambellone.

Alice prese il tutto, ringraziò e si sedette a qualche metro dall’ingresso dell’abitazione curiale. Tolse dal carrello il proprio sacco a pelo e si preparò il giaciglio. Ingurgitò il ciambellone, si lavò i denti, il viso e tutto quello che poté, tolse gli abiti e si infilò in una specie di tuta di pile, sistemò le gambe all’interno del sacco a pelo e si mise a guardar le stelle in attesa del sonno.

Man mano che passavano i giorni, il sonno si faceva attendere sempre meno. Nella testa di Alice risuonavano sempre le stesse parole, quelle poche parole che avevano messo fine al suo matrimonio solo alcuni mesi dopo la celebrazione. Ma lei sapeva che, nel momento in cui si fossero dissolte, sarebbe stata pronta al passo successivo.

La perpetua uscì dalla canonica con una tazza di caffelatte ed un altro pezzo di ciambellone. Trovò un biglietto sotto il secchio. Alice già non c’era più, aveva ripreso il proprio cammino verso un’altra canonica, ma quello che contava era il percorso da un posto all’altro. Durante quei tragitti, Alice, acquisiva passo passo la consapevolezza della propria persona, della propria dignità e del proprio valore.

Arrivare finalmente ogni sera ad una canonica diversa alimentava la propria autostima e, soprattutto, l’aver percorso un ulteriore tragitto solo ed esclusivamente con le proprie forze, iniziava ad instillare in lei un vago senso di invincibilità. Sapeva che quel pellegrinaggio, pur faticoso e doloroso che fosse, l’avrebbe guarita per sempre da quella brutta malattia.

Una malattia che non si palesa sulla pelle, non si manifesta con i colpi di tosse, non si impone con lo svuotamento degli intestini, ma si fa largo nella testa, giorno dopo giorno, a causa di un parassita che si stanzia nella psiche e che erode la fiducia in sé stessi, lasciando solo l’ombra di ciò che si era.

Era una terapia un po’ particolare, l’aveva scelta lei stessa proprio quando quelle parole avevano raggiunto le sue orecchie. Non si era data un tempo perché aveva compreso fin da subito l’impellenza della necessità di dare una svolta alla propria vita, alla propria anima. Fortunatamente la sua intelligenza non era ancora stata lesionata ed un barlume di lucidità le aveva consentito di capire. Proprio quella sera, caratterizzata dalla violenta discussione col marito, Alice mise alcune cose nel carrello della spesa e lo portò in garage.

L’indomani mattina informò i propri cari circa le proprie intenzioni e, per non essere oggetto di rappresaglie affettive, staccò il cellulare. Si mise in cammino. Un percorso che l’aveva accompagnata per tutta l’estate. Un cammino che lei, ogni mattina, inaugurava con una preghiera rivolta a sé stessa, con la quale invitava la propria onestà a non tradirla. Un cammino che lei ogni sera concludeva con una poesia ringraziando la propria onestà per non averla tradita ed annotando sul piccolo diario una sintesi della giornata appena trascorsa.

Aveva accumulato tanti passi, nelle proprie scarpe. Aveva scritto molte pagine. Ogni tanto si fermava per rileggere. Stranamente non si era mai sentita sola. Accompagnata dai propri pensieri, era ogni giorno più soddisfatta della propria scelta. Poteva constatare, località dopo località, quanto fosse cambiata la percezione di se stessa e come l’insicurezza avesse lasciato il posto ad un delirio temporaneo di onnipotenza, per essere alla fine rimpiazzato con un sano egoismo ed una salutare autostima.

Aveva solo bisogno di far radicare dentro di sé queste bellissime sensazioni, al fine di renderle elemento imprescindibile nel proprio DNA.  La sera, dopo l’accoglienza riservatale dalla perpetua di turno, si infilò nel proprio sacco a pelo, si addormentò immediatamente cullata dall’unico pensiero di “non essere un utensile accessorio destinato all’uso di chiunque, compreso colui col quale avrebbe dovuto trascorrere la propria vita”.

Ora sarebbe stata pronta per il passo successivo.

Ringraziò i Deputati Antonio Baslini e Loris Fortuna per aver introdotto, nel 1970, importanti novità nell’ordinamento giuridico italiano.

Anche qui, grandi passi sono stati fatti, da allora.

Proprio come quelli di Alice.

Note biografiche sull’autrice

Daniela Luisa Bonalume è nata a Monza nel 1959. Fin da piccola disegna e dipinge. Consegue la maturità artistica e frequenta un Corso Universitario di Storia dell’Arte. Per anni pratica l’hobby della pittura ad acquerello. Dal 2011 ha scelto di percorrere anche il sentiero della scrittura di racconti e testi teatrali tendenzialmente “tragicomironici”. Pubblicazioni nel 2011, 2012 e 2017.


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