Il favoloso viaggio della Moda, tra simbolo e desiderio
Inizia oggi una nuova rubrica dedicata alla Moda, alla sua storia e ai molti e sorprendenti significati dell’abito. Un viaggio nella bellezza e una riscoperta, oggi più che mai necessaria, del talento e della creatività femminili. Perché parlare di Moda vuol dire parlare di donne e in particolare di quella figura artigianale oggi quasi dimenticata che è la sarta.
di Gabriella Maldini

Pasquale De Antonis. La fotografia di moda (1946-1968)
Ho voluto intitolare questo mio progetto Il Favoloso viaggio della Moda, tra simbolo e desiderio perché l’abito è un simbolo e lo è sempre stato, in ogni epoca e cultura; e nasce da un desiderio. Non solo: l’abito esprime un desiderio e suscita il desiderio. Desiderio è la parola – chiave di tutto il discorso moda, così come lo è della modernità, di cui la Moda è una delle incarnazioni più profonde. Ma pronunciare la parola Moda è lanciarsi da un aereo senza paracadute perché è una parola troppo piccola per un territorio così sconfinato, così poliedrico, così complesso.
Un territorio dalle radici profonde e misteriose, come ci svelano le parole di Oscar Wilde: ‘La profondità va nascosta. Dove? Alla superficie.’

Oscar Wilde
Uno splendido paradosso, certo, ma solo fino a un certo punto perché quella dell’abito è una superficie molto particolare. Niente affatto superficiale. Tanto che possiamo considerarla addirittura rivelatrice del nostro inconscio, perché l’abito rivela non solo ciò che siamo, ma anche ciò che non sappiamo di essere. Non solo: l’abito che indossiamo rivela di noi molto di più di quello che vorremmo e di cui siamo consapevoli. Paradossalmente, vestirsi è mettersi a nudo.

Coco Chanel
Riandiamo ora all’origine della parola ‘abito’, il latino habitus, derivazione del verbo avere che, in senso transitivo significa avere una forma, un aspetto, ma in senso intransitivo indica un modo di essere, un’abitudine (anch’essa derivata da habitus). Dunque, l’abito è qualcosa che coniuga esteriorità (forma) e interiorità (sostanza), che le mette non solo in relazione ma in un rapporto di reciproca causalità: la forma produce la sostanza e la sostanza si rivela attraverso la superficie. L’abito è una seconda pelle che ci accompagna da sempre, nasce con il primo uomo e la prima donna del mito cristiano: Adamo ed Eva. Nella Genesi è scritto ‘E il signore Dio fece e all’uomo e a sua moglie delle tuniche di pelli e li vestì.’ Quelle tuniche sono il primo manufatto della storia dell’umanità. L’abito nasce con la Creazione, tanto che nell’epoca d’oro dell’arte sartoriale, quella della Haute Couture, il termine creazione diverrà sinonimo di abito. Fin da principio dunque, l’abito si ammanta di un’aura che gli resterà cucita addosso per sempre: l’idea del divino.
E fin dal principio l’abito diviene per l’uomo simbolo e destino, un compito affidatogli dal primo Creatore: il compito di continuare la Sua opera divina, elaborando, modellando e ricreando fogge sempre nuove, sempre diverse, per rivestire un corpo sempre uguale.
La lavorazione dei tessuti è così antica da non poter essere datata. Sicuramente risale a prima del 5000 a.C. quando gli antichi Egizi iniziarono a produrre i primi veri tessuti della storia: il lino, il cotone e la canapa. Tessuti preziosi e simbolici, anche a livello religioso. Plinio scrive che ‘gli abiti più pregiati indossati dai sacerdoti egiziani erano di cotone.’ C’erano laboratori tessili annessi ai templi che producevano manufatti solo per il Faraone, che per gli egizi, come sappiamo, era una figura sacra, divina.
- Sacerdote egiziano
Parlare della storia dell’abito vuol dire parlare di Storia con la S maiuscola. L’unica differenza è che invece di studiare battaglie, guerre e conquiste si studiano le fogge degli abiti, i tessuti, i colori, gli accessori, tutto quello che costituisce il rivestimento degli uomini e delle donne di una determinata epoca. Il potere caratteristico di ciò che chiamiamo moda, infatti, è quello di smascherare il proprio tempo, di mettere a nudo lo spirito di un’epoca, il suo vero volto. E se, da sempre, la moda riesce in questo, è anche perché sottovalutata, considerata una cosa frivola, superficiale. E così, non vista, essa colpisce dritta al cuore del suo tempo, svelandoci in una sola immagine tutta una civiltà.
- Sogni, di Vittorio Matteo Corcos, 1896
- Capucci
- Maria Antonietta di Francia
- Rogier van der Weyden, Ritratto di giovane donna,1460 circa.
- Nefertiti
- Foto di Pasquale De Antonis
Note biografiche sull’autrice
Nata a Forlì nel 1970, dopo il diploma al liceo classico si è laureata in Giurisprudenza presso l’Università di Bologna. Ha svolto un Master in Comunicazione a Roma e Milano, poi un corso di Racconto e Romanzo e uno di Sceneggiatura cinematografica alla Scuola Holden di Torino. E’ docente di cinema e ha diverse collaborazioni in atto, fra cui quella con Università Aperta di Imola, la libreria Mondadori di Forlì e le scuole medie per le quali sta portando avanti un progetto didattico che coinvolge i ragazzi delle classi terze in una ‘lezione cinematografica’ sul rapporto umano e formativo che unisce allievo e insegnante. Da pochi mesi è uscito il suo primo libro, edito da Carta Canta, dal titolo ‘I narratori della modernità’, un saggio di letteratura francese dedicato a Balzac, Flaubert, Zola e Maupassant, come quei grandi padri della letteratura che per primi hanno colto la nascita del mondo moderno.
Per ArteVitae scrive nella sezione Cinema e TV.
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