Il diabete – Racconto breve di Daniela Luisa Bonalume
IL Diabete è il nuovo racconto breve scritto da Daniela Bonalume per la raccolta “Suggestive Evasioni”. Una lettura veloce, intensa e dal finale bruciante, quello che non ti aspetti e ti sorprende sempre. Una storia bonsai che concentra la trama in pochi, avvincenti paragrafi. Da leggere in un respiro.
di Daniela Luisa Bonalume
Si rigirava la boccetta di smalto per unghie rosso lacca tra le mani, Adele. Non aveva ancora iniziato a colorarle, forse non lo avrebbe fatto. Sapeva che Giuseppe non amava le unghie sgargianti e si sentiva insicura. Aveva il cuore come la grancassa di una batteria che batteva allo stesso ritmo di una danza funebre africana, e le mani le tremavano. Non riusciva a scaricare l’adrenalina. Il dolore non era proprio dolore, era più uno stordimento, come se fosse un po’ ubriaca, come se le sette vertebre cervicali si scambiassero il posto tra loro regolando la coscienza in modo intermittente. La testa era staccata dalle spalle, la scatola cranica sembrava vuota e gli occhi talmente pesanti che, se avesse potuto, li avrebbe fatti piangere fino a perdere anche il verde dell’iride.
Era seduta sul letto della grande camera colorata e non poteva muovere le gambe. Avrebbe voluto capire e risalire a quando! Capire, poi, sarebbe servito a rimettere le cose a posto? In quale posto? E a posto per chi? Per se stessa o per Giuseppe?
Dopo quasi trent’anni di amore straripante, doloroso e complicato, vissuto troppo intensamente per essere goduto pienamente, Adele se ne stava lì come una salma nel tentativo di ossigenare l’ultima cellula. Per un momento le balenò nella mente la figura di San Sebastiano. Lei si sentiva esattamente così. Tutte quelle frecce conficcate come fosse un bersaglio. Le labbra le si piegarono in una smorfia di sorriso. Ironia ed autoironia non le facevano difetto, se ne era sempre servita per soffrire un po’ meno fin da bambina, ma questa volta non funzionavano. Forse perché non riusciva ad accettare i fatti.
Un po’ sovrappeso, non si riconosceva più, e non erano i chili o gli anni la causa del suo disagio. Finché si era sentita desiderata ed amata non si era mai posta il problema, convinta com’era di poter mantenere unico il suo rapporto con la forza della testa. Così era stato quando si erano conosciuti, lei e Giuseppe, lasciandosi morti e feriti alle spalle.
Adesso, invece, non si guardava neppure allo specchio. Era lei, quella ferita a morte, e le iridi dipingevano i colori del lutto.
Non voleva e non vi era alcuna necessità di guardare dentro di se, dato che il magma rovente era tutto lì, quasi in superficie, compresso tra il derma e l’epidermide, pronto ad esplodere come una pentola a pressione con la valvola di sicurezza otturata. “Riprenditi, per favore” si diceva, “ne hai passate parecchie e passerai anche questa, d’amore si vive, non si può morire, se Giuseppe non ti ama più vuol dire che doveva andare così”.
Ma Adele non capiva quando si era offuscato il filo di luce che li univa. Qualche scazzo e qualche urlo un po’ troppo urlo, avevano lasciato sulle gote di lui un rossore quasi infantile ad accompagnare uno sguardo basso e un po’ enigmatico. Adele si era subito taciuta. Non aveva capito ma aveva intuito.
Già quella sera Giuseppe si era sottratto alle sue carezze. Qualche volta succedeva quando tornava stanchissimo dopo aver attraversato la città con i mezzi pubblici, sempre affollati e sempre in ritardo. Anche il mattino seguente sfuggì alle gentilezze che gli offriva. Certo, lei aveva davvero un caratterino, ma era anche dotata di una intelligenza intuitiva che lo aveva sempre affascinato. “Probabilmente ha trovato una intelligenza più intelligente dotata di intuizioni più intuitive” ironizzò lei.
Adele cercava di darsi delle spiegazioni e di provare rassegnazione, addossandosi la colpa della fine di questo amore che le aveva riempito la vita per tutti quegli anni, senza mai scadere di intensità. Da un certo momento in poi Giuseppe smise di chiamarla almeno 10 volte al giorno. Improvvisamente non era più la sua interlocutrice. Lo conosceva. Come si dice da quelle parti, lui non si teneva un cecio in bocca neanche sparato. Deduzione logica anche se dolorosa: c’è un’altra. Sono mancate le frasi d’amore, le conferme d’amore, le effusioni d’amore.
E’ mancato l’amore.
Era come se la odiasse. All’improvviso. Una sera lo prese di petto e gli chiese se ci fosse un’altra persona. Ebbe risposta negativa, corredata da pizzi e merletti sulla stanchezza, l’età che avanza, il lavoro faticoso, il caldo, la città che sale di temperatura. Adele gli diede un bacio sulla fronte, gli strinse la mano inerme e tentò di addormentarsi accanto a lui, tutto teso e con gli occhi sbarrati al soffitto in preda a una crisi d’astinenza di non si sapeva cosa.
Un estraneo. Giuseppe e Adele divennero velocemente estranei l’una all’altro, le uniche cose in comune erano la cena e le bollette. Ogni qualvolta gli si rivolgeva per una cosa non pratica, lui diventava inspiegabilmente cafone. Tuttavia, il sorriso gentile di lei, che era una donna ancora piacente, riusciva a frenare lo tsunami iroso. Decise di riprendere in mano il telaio che aveva appeso al chiodo qualche anno prima e, approfittando di un impegno fuori casa di lui, si apparecchiò il desco con fili argentati, dorati e colorati, anestetizzando la propria disperazione con la teoria dei colori. Quando Giuseppe rientrò, lei abbozzò il solito sorriso gentile e continuò il suo lavoro con notevole sforzo, mentre l’uomo, seduto sul divano, muoveva i pollici sul display del telefonino. Quasi alla mezzanotte lui si ritirò lasciando l’infernale arnese silenziato sul tavolino.
Totalmente calata nel ruolo di Penelope à rebour, era quasi l’una quando venne shakerata dal tremore del tavolino, il cellulare vibrava. Lo toccò per placarlo e, temendo che fosse qualche congiunto del dormiente, cercò di individuare chi chiamasse. Vide un occhio sul desk col proprio nome ed impulsivamente lo sfiorò.
La poverina quasi morì.
Sentì il cuore schizzare fuori dal torace come un rognone fritto alla vigilia di Natale. Questa volta gli occhi sbarrati li aveva lei, sui fumetti della chat nella quale era precipitata suo malgrado. – Amore mio, non farmi preoccupare – ed altre tenerezze del genere…
Gli occhi di Adele si muovevano sul display privi di controllo. Leggevano e rileggevano. E leggevano ancora per esser certi di aver letto bene e soprattutto tutto.
– Ah, amore mio, ti devo lasciare perché l’animaletto (Adele) mi sta girando attorno sospettosa, a presto amore mio -.
E basta! L’indice destro di Adele digitò “elimina conversazione”. Si tonfò sul divano davanti al televisore acceso e fece mattina senza che se ne accorgesse.
– Amore, ma cosa fai l…- Giuseppe sbucò dalla porta del salotto avvicinandosi alla donna, la quale reagì sbraitando.
– Amore a chi, a me Adele, a Lucia o a Lucia chiamata Adele, amore a chi …?!
– Ma cosa stai farneticando, chi è Lucia?!
– Chiamami Adele, o chiama Lucia al 329343 eccetera eccetera…
Lui girò i talloni e ritornò a dormire lasciandola come una stronza così come l’aveva trovata. Lei prese il suo cellulare in mano e lo seguì. Con gli occhi pieni di rabbia e di dolore iniziò il suo racconto, continuamente interrotta da lui che la insultava : – Mi disgusti, vai a controllare le mie cose, mi disgusti, non capisci che questo è solo un gioco virtuale? Sono cazzi miei, tu devi farti i cazzi tuoi e basta.
– La nostra storia è finita – diceva lei, urlava lei, – tu hai un’altra e questa storia, la nostra storia, è finita.
– Macché finita, è un gioco virtuale, non capisci, con tutti i cazzi e i problemi che ho ti ci metti pure tu..
E così finì la conversazione. Adele andò allo studio distrutta. Lui continuò tranquillamente la sua relazione per mesi. Le nuove tecnologie, se uno le sa leggere, danno più informazioni del dovuto e Adele capì che non poteva combattere un’idea. Giuseppe si era innamorato dell’idea di una persona che dietro l’armatura della rete lo coccolava e lo gratificava, sollevandolo dalle responsabilità della vita e delle decisioni, dalla vecchiaia ormai prossima. Lui viveva esclusivamente in funzione della sua chat, anche sotto la doccia, sacrificando completamente il rapporto con Adele e relegandola nel ruolo di madre e figlia, pronto a soddisfare tutti i suoi bisogni materiali per assicurarsene la non ostilità.
Il tempo passava e non vi era cenno di recupero, lui partiva appena possibile. Non era più virtuale. Adele si chiese se trent’anni prima lei non si fosse buttata in una storia sbagliata. O forse era proprio Giuseppe, ora, ad essere risucchiato in una storia sbagliata. Una storia che non poteva dare nulla di reale, o almeno lei credeva così, ma solo l’illusione di un amore che, non essendo logorato dalla quotidianità, fosse eterno e facile. Adele aveva perso l’uomo della sua vita. Lui aveva lasciato la loro casa ed era andato a vivere solo.
Accettare era l’unica cosa da fare. Ripensare la propria vita, daccapo. A partire dalla spesa al supermercato. Edulcorare il solitario rientro serale. Trovare un equilibrio riparatore con libri sparsi sul lettone fingendo di non rimpiangere le lunghe chiacchierate abbracciata a lui. Soprattutto non mettere piede nel suo bagno per un po’. Lì, tracce del suo profumo rendevano ancora più lacerante quello che già era penoso. Aveva bisogno di tempo, tanto tempo, e forse non sarebbe bastato tutto il tempo che la vita le avrebbe ancora concesso. Era malata, avrebbe curato questa malattia come si cura il diabete, con quotidiane iniezioni di autostima e di coccole. Ci doveva assolutamente provare, non voleva rischiare l’amputazione del cuore. Si dipinse le unghie di rosso lacca. Le servivano di quel colore! Avrebbe lottato con le unghie e con i denti. Si truccò ed uscì verso la sua nuova e sconosciuta vita.
Note biografiche sull’autrice
Daniela Luisa Bonalume è nata a Monza nel 1959. Fin da piccola disegna e dipinge. Consegue la maturità artistica e frequenta un Corso Universitario di Storia dell’Arte. Per anni pratica l’hobby della pittura ad acquerello. Dal 2011 ha scelto di percorrere anche il sentiero della scrittura di racconti e testi teatrali tendenzialmente “tragicomironici”. Pubblicazioni nel 2011, 2012 e 2017.