I numeri arabi. Racconto breve di Daniela Luisa Bonalume
I numeri arabi è il nuovo racconto breve scritto da Daniela Luisa Bonalume per la raccolta “Suggestive Evasioni”.
di Daniela Luisa Bonalume

Lampadario fiammingo della Collegiata
L’architetto si svegliò di soprassalto. Quel vicolo, nel sonno, non presagiva nulla di buono. Le bottegucce scure ed anguste, piene di robaccia vecchia ed arrugginita, erano abitate da personaggi a tre teste, che “guardiavano” la loro logora merce. L’architetto, che era già grassottello, era tutto sudato. Non si spiegava come mai passeggiasse per quelle vie di Milano, che tra l’altro neppure conosceva. Se ne stava seduto sul letto con la fronte tutta bagnata. Insieme a lui, la giovane moglie cercava di calmarlo asciugandogli il viso con il lenzuolo – stai male? Cosa ti è successo? – Un incubo – rispose l’uomo – camminavo per delle brutte viuzze in mezzo a bottegacce di robivecchi con a guardia certi cerberi dal corpo umano –.
La donna si alzò per preparare una bevanda calda che sedasse un po’ il consorte. – E poi c’erano alcuni affreschi sul soffitto ed alle pareti, ma non riuscivo a vederne le figure, affreschi in un’abside familiare, ma non riesco a collocarli – continuò l’architetto tra un singhiozzo e l’altro. Proprio quel giorno sarebbe dovuto andare nel capoluogo lombardo per alcune trattative. Come mai proprio quella notte quel sogno? La cosa gli creava tanta tanta ansia. Avrebbe chiesto al suo collaboratore di studio di accompagnarlo in città. Si, questa idea gli sembrava una buona idea. Gli era rimasta addosso la sensazione sgradevole della minaccia, del malaffare. Dopo la camomilla si riappisolò a tratti, ma ormai quelle strade lo avevano inghiottito e solo l’albeggiare gli restituì la calma.
Di buonora si avviò verso la stazione ferroviaria per prendere il primo treno utile. Abbandonò l’idea dell’accompagnatore, l’ansia era sparita e la testa era completamente occupata dalle cose programmate per quella giornata. Due ore buone di viaggio gli avrebbero consentito di riguardare tutte le carte. Giunto nella città meneghina si apprestò a risolvere le questioni che lo avevano portato fin là. I suoi interlocutori rimasero molto soddisfatti dell’incontro ed insistettero per averlo ospite a colazione. L’architetto cercò in tutti i modi di svincolarsi dallo stringente abbraccio, anche a causa del suo generoso giro vita, blaterando su giretti che avrebbe dovuto fare per alcune viuzze brutte in cerca di robivecchi. E mentre sentiva la propria voce far uscire quelle parole, gli si accapponava alta la pelle da solo.
I suoi ospiti non demorsero e, obtorto collo, l’uomo dovette soccombere alle insistenze. Dovette soprattutto piegarsi alla compagnia di costoro che ce lo avrebbero accompagnato molto volentieri, in quei vicoli poco raccomandabili, luoghi che lui stesso ignorava. Così si trovò fregato due volte. La prima con i commensali che lo volevano rimpinzare a tutti i costi, per gratitudine. E la seconda con i commensali che lo volevano scortare a tutti costi nei vicoletti, sempre per gratitudine.
E questo fecero. Dopo il caffè e l’ammazzacaffè, si avviarono verso quella parte della città dove si pulivano e si aggiustavano i ferri vecchi. L’architetto guardava senza tanta convinzione ma fingeva di cercare qualcosa. Ogni bottega aveva il suo torvo proprietario che stava seduto sullo sgabello intento ad aggiustare la propria merce. Lui vi ficcava dentro la testa e passava in rassegna velocemente i rottami accatastati negli angoli dei locali. Era un po’ spaesato ed annoiato, quella recita lo imbarazzava. Rispondeva in modo evasivo alle domande che gli venivano fatte. Non sapeva neppure lui cosa stesse cercando, in verità non sapeva neppure il perché si trovasse proprio lì in quel momento, in quella strada che non conosceva ma che aveva già visto. Ma dove l’aveva vista?
La notte!!! Era la strada del sogno. E mentre la consapevolezza della coincidenza iniziò ad impossessarsi di lui, gli occhi si fissarono su un lampadario sghimbescio ed arrugginito, in ferro battuto e di fattura probabilmente medievale, buttato sopra la rete di un letto in ferro.
L’uomo entrò e lo guardò attentamente, senza toccarlo. Gli tremavano le mani. Buttò un’occhiata furtiva al titolare del piccolo magazzino ed uscì di gran carriera insieme ai suoi accompagnatori. Si precipitarono in Prefettura, tutti trafelati. E l’architetto sull’orlo di un infarto, chiese ed ottenne l’immediato sequestro, contando sull’amicizia che da anni lo legava al Prefetto della città.
Si. Adesso l’architetto aveva capito cosa stesse cercando. Il lampadario nella bottega era lo stesso lampadario che pendeva dal transetto della chiesa dell’antica Collegiata del suo paese. Com’era possibile! Era qui ed era là. Contattò urgentemente il parroco il quale lo rassicurò. Il lampadario stava al proprio posto, appeso dove era da sempre, ed era stato rimesso lì dopo la pulitura di qualche anno prima.
L’Architetto, in preda ad una grande eccitazione che lo rendeva pralinato e luccicante come una sfera da discoteca anni settanta, si prese la responsabilità di far smontare il lampadario candeliere appeso in chiesa e pregò il prete di portarlo velocemente in Prefettura a Milano dove lo attendeva quello appena sequestrato. Insieme al lampadario ed al parroco arrivò anche il fabbro del paese. Ormai, pure il Prefetto era coinvolto nel fatto, e voleva anche lui vedere come sarebbe andata a finire la storia del lampadario che stava qui e che stava anche là. Tutti volevano capirci qualcosa.
Il confronto tra i due esemplari fu accurato. Fu sancito all’unanimità che uno dei due era una copia dell’altro. Si sapeva che l’originale era di fattura tedesca o fiamminga collocabile intorno al 1400. Uno simile è inserito nel ritratto dei Coniugi Arnolfini di Jan van Eyck del 1434. Tutte le mani presenti volevano toccare i due esemplari, e con le lenti cercavano i segni rivelatori che chiarissero l’arcano. Era palese che il bottegaio incaricato della pulitura aveva agito in modo truffaldino. Aveva fatte delle copie, quasi perfette, del bellissimo lampadario, e la migliore l’aveva restituita alla parrocchia, spacciandola per l’originale.
Il parroco incredulo iniziò a balbettare qualche orazione alzando le mani e gli occhi al cielo. Come aveva potuto, quel manigoldo, fare un simile torto alla casa di Nostro Signore. Si trattava solo di individuare quale dei due fosse quello commissionato dal Cardinale che fece costruire la chiesa nei primi decenni del 1400.
L’oggetto, che aveva otto bracci con la stessa scena – San Giorgio e il drago – era assemblato con degli ingegnosi incastri. Ogni braccio riportava, in numero crescente, alcune semisfere che si incastravano perfettamente in altrettante concavità poste sul corpo centrale arricchito da piccole sculture, probabili Dottori della Chiesa. I polpastrelli dell’architetto, tremanti di emozione, individuarono la caratteristica rivelatrice che non lasciava più dubbi sulla collocazione temporale dell’oggetto sotto esame. La copia, invece, aveva contrassegnato gli stessi incastri con i numeri arabi. Imperdonabile!!!
Il lampadario originale tornò al proprio posto, accompagnato da una grande festa con tanto di processione che terminava nella chiesa della Collegiata del Cardinal Branda a Castiglione Olona, mentre la copia venne collocata nella chiesa di Villa ai piedi del colle sul quale svettava l’antico complesso ecclesiastico.
All’architetto rimase sempre un dubbio sul mandante del sogno. E se fosse stato proprio il Cardinal Branda?
Racconto liberamente tratto da un fatto realmente accaduto alla fine del 1800. La Collegiata si trova in provincia di Varese ed il lampadario è tuttora visibile nella collocazione in cui il Cardinal Branda lo volle: tra gli affreschi di Masolino da Panigale.
Note biografiche sull’autrice
Daniela Luisa Bonalume è nata a Monza nel 1959. Fin da piccola disegna e dipinge. Consegue la maturità artistica e frequenta un Corso Universitario di Storia dell’Arte. Per anni pratica l’hobby della pittura ad acquerello. Dal 2011 ha scelto di percorrere anche il sentiero della scrittura di racconti e testi teatrali tendenzialmente “tragicomironici”. Pubblicazioni nel 2011, 2012 e 2017.
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