2 Aprile 2019 By Gabriella Maldini

Haute Couture, quando la Moda è Sogno

Nuova puntata del Favoloso viaggio della Moda tra Simbolo e Desiderio. Tappa di oggi il momento di massimo fulgore dell’arte sartoriale, l’Haute Couture francese e il magico, esclusivo mondo dell’Atelier.

di Gabriella Maldini

Dovima e Sacha, cappello e abito Balenciaga, Café des Deux Magots, Paris, 1955. Fotografia by Richard Avedon © The Richard Avedon Foundation

Dior, 1954

Quella della Haute Couture fu l’epoca d’oro dell’arte sartoriale, in cui gli abiti erano creazioni e la moda un sogno, più che mai intrisa dell’idea di divino. E il pianeta favoloso da cui discendevano questi abiti-meraviglie era l’Atelier, un piccolo mondo in cui tutto era lusso e raffinatezza e dove, come un sovrano, regnava, inavvicinabile e misterioso, il Couturier. Precisiamo subito che couturier in francese vuol dire sarto e non stilista! e che sarto e stilista sono due cose molto diverse: il sarto nasce con ago e filo, è qualcuno che se tu lo chiudi in una stanza con tessuto, ago e filo, sa realizzare un abito e dunque è la sola vera incarnazione del più alto sapere sartoriale. Lo stilista invece è essenzialmente un uomo di immagine, di marketing, un manager creativo che quasi mai saprebbe confezionare in toto un abito. Non è una differenza da poco.

Il Couturier ha l’animus dell’artista, come ci ricorda Coco Chanel: “Un couturier è un artista che scrive con gli abiti. Le sue sono parole in tessuto, in forma su di un corpo”.

Prima regola della Haute Couture è che ogni abito è un pezzo unico,  confezionato su misura interamente a mano, secondo un modus operandi molto costoso e quindi estremamente elitario. Il fondatore della Haute Couture francese fu l’inglese Charles Frederich Worth che nel 1858 aprì a Parigi  il primo atelier, al numero 7 di Rue de la Paix, diventando, nel 1864 sarto di corte. E’ suo l’abito da sogno più celebre di tutto l’Ottocento: quello indossato dalla meravigliosa Principessa Sissi nel famoso ritratto conservato al Castello di Schönbrunn di Vienna.

Empress Elisabeth of Austria in dancing dress

L’Haute Couture non era un business ma una vocazione, una forma d’arte. Era l’espressione di un piccolissimo mondo esclusivo, e rivolta esclusivamente a quello. Era un mondo completamente autoreferenziale e non voleva essere altro. Le sue prime mannequin furono le figlie dell’aristocrazia internazionale, giovani donne la cui bellezza raffinatissima era il prodotto di quel mondo e quella cultura. Spesso appartenevano al naturale giro di amicizie del Couturier che, a volte, ne era addirittura ispirato per le sue creazioni.

Maxime de la Falaise,

Maxime de la Falaise, abito Baleciaga

Il momento in cui si compiva la solenne rivelazione del creatore era il défilé, che era completamente diverso dalla sfilata di oggi. Innanzitutto non avveniva su una passerella ma  sullo stesso pavimento dove era seduto il ristretto e selezionatissimo pubblico. E’ una differenza importante perché, se ci pensiamo, la passerella fa subito spettacolo, ma il défilé non era uno spettacolo, bensì un rito, un momento contraddistinto da una dimensione privata, intima, quasi mistica. Per questo avveniva nel più assoluto silenzio, dove gli unici impercettibili suoni erano il fruscio della seta o un respiro trattenuto dall’emozione.

La legge non scritta della Haute Couture voleva che ogni abito fosse diverso, sorprendente, unico, qualcosa di  ai visto prima. L’abito doveva rendere la donna che lo indossava unica al mondo. Era la filosofia del dandy che, come ci insegna Oscar Wilde, non vuole seguire la moda ma crearla. Non cerca il consenso ma lo scandalo. Il futuro Pret – a – Porter capovolgerà tutto, offrendo a consumatori sempre più privi di identità una rassicurante serialità e omologazione.

Anche se con la Haute Couture si è imposta la figura del grande sarto, al maschile, dobbiamo tenere presente che tutta la storia della Moda è storia di donne.  Il sapere sartoriale nasce come patrimonio esclusivamente femminile che solo in seguito l’uomo farà suo, forte di quella libertà che le donne riusciranno (e solo in parte) a conquistare con lotte durissime e mai davvero concluse.

 

 


Note biografiche sull’autrice

Nata a Forlì nel 1970, dopo il diploma al liceo classico si è laureata in Giurisprudenza presso l’Università di Bologna. Ha svolto un Master in Comunicazione a Roma e Milano, poi un corso di Racconto e Romanzo e uno di Sceneggiatura cinematografica alla Scuola Holden di Torino. E’ docente di Cinema e ha diverse collaborazioni in atto, fra cui quella con Università Aperta di Imola, la libreria Mondadori di Forlì e le scuole medie per le quali sta portando avanti un progetto didattico che coinvolge i ragazzi delle classi terze in una ‘lezione cinematografica’ sul rapporto umano e formativo che unisce allievo e insegnante. Da pochi mesi è uscito il suo primo libro, edito da CartaCanta, dal titolo ‘I narratori della modernità’, un saggio di letteratura francese dedicato a Balzac, Flaubert, Zola e Maupassant, come quei grandi padri della letteratura che primi hanno colto la nascita del mondo moderno.

Per ArteVitae scrive nella sezione Cinema e TV.


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