12 Marzo 2018 By Francesco Galletta

Giovanni Battista Cavalcaselle: l’uomo che ridisegnava i quadri

Cavalcaselle fu un conoscitore d’arte ottocentesco che spostandosi come i viaggiatori del secolo precedente, aprì la strada, con i suoi disegni e le sue osservazioni scientifiche, alla nascente figura dello storico dell’arte.

Di Francesco Galletta

“Si contentava di viaggiare a piedi, a piccole giornate, da un paese a un altro, con l’involtino delle cose sue in spalla infilato a un bastone”.

Sono le parole che l’insigne storico dell’arte Carlo Ludovico Ragghianti utilizza in un basilare saggio su Giovanni Battista Cavalcaselle (1819-1897), negli anni cinquanta del Novecento. Nella loro efficacia evocativa ci consentono di introdurre questo fondamentale personaggio ottocentesco che, nella penisola italiana in trasformazione verso lo Stato Unitario, si trovò a ricomporre una nuova storiografia artistica del Paese con analisi acute e disegni penetranti.

In verità, il rapporto di Cavalcaselle con la nazione nascente fu spesso contraddittorio o addirittura conflittuale, soprattutto quando divenne un pubblico funzionario. In effetti, emerse sempre nella vita e nella professione più da europeo che da italiano e il senso del viaggio, di cui tutta la sua esistenza fu piena, meglio di altri concetti ne definisce la figura di uomo privo di confini geografici.

Le sue pubblicazioni, scritte in inglese con il giornalista e studioso d’arte Joseph Archer Crowe (1825-1896) per l’editore Murray di Londra, solo in seguito furono tradotte in italiano. Da noi sarà per molto tempo quasi uno sconosciuto, quando nei circuiti culturali europei dei mercanti d’arte, dei collezionisti e dei musei era già tenuto in gran conto.

Joseph Archer Crowe, ritratto di Louis Kolitz

Cavalcaselle nacque a Legnago e studiò pittura a Venezia, capendo però da subito che non sarebbe mai stato un vero artista. Si dedicò pertanto allo studio dell’arte antica e, benché la sua istruzione rimanesse sempre a livelli poco più che primari, fece un’esperienza sul campo che lo portò a spostarsi di continuo. Nel 1846, durante un viaggio che toccava Monaco, Dresda, Lipsia e Berlino, incontrò Crowe con cui formerà, per tutta la vita, un’ineguagliata entità professionale.

In viaggio gli giunse la notizia delle Cinque Giornate di Milano: tornò allora in Italia per combattere nella Legione studenti volontari veneti a Vicenza, Treviso e Venezia. Catturato dai soldati di Radetzky e sfuggito alla morte in modo rocambolesco nel Duomo di Piacenza, prima raggiunse Venezia, poi Roma per le vicende della Repubblica Romana. Dopo la caduta della città, nell’estate del 1849 arrivò a Parigi, dove per puro caso, in Place de Notre Dame des Victoires, ritrovò Crowe che lo aiutò a raggiungere Londra.

Nella capitale inglese fece il disegnatore, l’illustratore di conferenze e lezioni d’arte e il restauratore. Allo stesso tempo, per caso, partecipò al riordinamento della collezione pittorica della città di Liverpool e lavorò con personaggi illustri come Waagen, direttore del Museo di Berlino; Passavant, autore di un’importante Vita di Raffaello, ed Eastlake, direttore della National Gallery, con cui collaborerà per anni.

Crowe gli chiese in seguito di scrivere insieme sui pittori fiamminghi del ‘400 e, dopo un viaggio in Europa nel 1852 che consentì all’italiano di documentarsi sul tema, nel 1854 il loro manoscritto giunse a Murray, che però lo rifiutò. The Early Flemish Painters, verificato e ampliato, uscì nel 1856. Il sodalizio tra i due studiosi, poco comune in una professione così personalizzata, continuò tra alti e bassi per tutto il resto delle loro vite.

disegno della crocifissione di piero della francesca

Curiosamente, persino in morte, come in vita, Cavalcaselle ebbe a che fare con un viaggio: morì, infatti, a settantotto anni durante uno spostamento in treno tra Firenze e Roma. I funerali si svolsero il giorno di Ognissanti del 1897 davanti a poche persone, tra cui l’insigne critico Adolfo Venturi che, nell’occasione, rese un sincero compianto dello scomparso.

La direzione esterna all’Italia che caratterizzò l’opera di Cavalacaselle, oltre che dipendere in parte dalla condizione di esule, derivò anche dalla provenienza da quel Lombardo Veneto strettamente legato all’area culturale tedesco-austriaca che influenzava i modelli storiografici inglesi e i mercati antiquari.

disegno dell’incoronazione della vergine di girolamo da udine

In ogni caso, all’epoca, gli studiosi d’arte italiani erano lontani dalle esigenze scientifiche dei colleghi del Nord Europa. Compiaciuti in un’erudizione letteraria retorica e autoreferenziale, non davano la giusta importanza alla osservazione diretta delle opere e allo studio comparato delle fonti.

A metà ottocento, invece, in Europa stava avvenendo un cambiamento decisivo: la figura del conoscitore d’arte (già traslata da quella dei viaggiatori settecenteschi del Grand Tour) mutava nelle forme dello storico dell’arte, un professionista che sapeva ricostruire i dati archivistico-documentali e artistico-pittorici di ogni autore in maniera rigorosa e comparata.

Cavalcaselle riunì tutte le caratteristiche antiche e nuove dello studioso d’arte della sua epoca, in modo concentrato ma anche amplificato. Fu un viaggiatore instancabile, con un senso del viaggio sempre legato all’idea del tempo per spostarsi e ai luoghi di destinazione.

Visitò i centri minori e le località più isolate con lo stesso spirito con cui visitava le grandi città o le varie collezioni museali, muovendosi con qualsiasi mezzo di trasporto. Inoltre, non tralasciò mai di utilizzare, come da prassi all’epoca, il suo prezioso taccuino da viaggio, l’unico ausilio allora disponibile di registrazione della realtà, poiché il mezzo fotografico, appena nato, era ancora allo stadio iniziale.

disegno del trionfo di galatea di raffaello

I disegni del taccuino, accompagnati dai fitti appunti, sono lo strumento espressivo con cui Cavalcaselle ci ha trasmesso il suo modo di rappresentare e rilevare i dipinti ma, per esteso, possono ancora indicarci un metodo valido per molti tipi di rilievo. Infatti, come osservava ancora Ragghianti, con parole talmente esemplari da dover essere solo trascritte senza aggiunte:

la prova della sua sensibilità comparativa […] si ha confrontando, per esempio, il diverso modo col quale […] trascrive, traduce un Tura e un Rembrandt. Del primo vede e segna la crudezza lapidaria del segno, la modellatura adamantina; del secondo vede e segna la vibrazione luminosa, gli abbagli della luce e le masse d’ombra. La verità dell’interpretazione mediante il disegno attesta la verità dell’osservazione, la capacità di distinguere fra stile e stile individuale. I disegni e gli schizzi di Cavalcaselle non sono mai riduzioni indeterminate, non curano il soggetto, vogliono cogliere e fermare per la memoria lo stile degli artisti.

disegno dell’ecce homo di new york di antonello

Cavalcaselle estrapolava quindi, da ogni dipinto e grazie al disegno, l’essenza di ogni artista e annotava a margine, con slanci linguistici spesso perentori o talvolta in forma di pensieri sciolti, le proprie riflessioni critiche.

In ogni caso, però, il suo ragionamento non si concludeva mai al momento del rilievo, né si fissava nell’attimo in cui era tradotto in scrittura poiché spesso, anche a distanza di molto tempo – come vedremo in un articolo successivo – riusciva a tornare su quanto già affermato, rivedendo persino le sue stesse posizioni.


Note biografiche sull’autore

Francesco Galletta (Messina, 1965), architetto, grafico. Titolare di Tecniche Grafiche alle scuole superiori; laureato con una tesi di restauro urbano, è stato assistente tutor alla facoltà di Architettura dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria per Storia dell’Urbanistica e Storia dell’Architettura Moderna. Dottore di Ricerca alla facoltà di Ingegneria di Messina, in rappresentazione, con una tesi dal titolo: “L’Immaginario pittorico di Antonello”. Con l’architetto Franco Sondrio ha rilevato, per la prima volta, la costruzione prospettica e la geometria modulare dell’Annunciazione di Antonello. La ricerca, presentata in convegni nazionali e internazionali, è pubblicata in libri di diversi autori, compresa la monografia sul restauro del dipinto. Sempre con Franco Sondrio ha studiato l’ordine architettonico dell’ex abbazia di San Placido Calonerò nell’ambito del restauro in corso e scoperto a Messina un complesso architettonico della metà del ‘500, collegato al viaggio in Sicilia del 1823 dell’architetto francese Jaques Ignace Hittorff.