Torna a Milano, a Palazzo Reale, la mostra su De Chirico, una collezione di 100 opere provenienti dalle più importanti gallerie e musei internazionali.
“Un’opera d’arte per divenire immortale deve sempre superare i limiti dell’umano senza preoccuparsi né del buon senso né della logica”. Giorgio de Chirico
Giorgio De Chirico è nato a Volos, in Grecia, il 10 luglio 1888 da genitori appartenenti a famiglie nobili italiane; il padre Evaristo, barone palermitano, è un ingegnere ferroviario ed si trova in Grecia per progettare la nuova ferrovia, la madre è la baronessa genovese Gemma Cervetto.
Alla morte del padre, nel 1905, Giorgio De Chirico insieme alla madre e al fratello Andrea (che poi assumerà il nome d’arte Alberto Savinio) si sposta a Monaco di Baviera, dove viene in contatto con la pittura simbolista e mitologica di Arnold Böcklin, secondo il quale lo scopo dell’arte è quello di rivelare con un linguaggio non più logico, l’altra realtà che supera l’uso dei sensi e della ragione, esplorando la profondità psichica con un utilizzo accorto di “simboli”.
De Chirico si sposta poi a Torino, a Milano, a Parigi, a New York, è poliglotta: parla italiano, tedesco, greco, francese, inglese, ma questo suo viaggiare lo porta a sentirsi sradicato, apolide.
Di sé stesso dice: “I had many houses but never a home” (ho avuto tante abitazioni ma mai una casa).
Definisce la sua famiglia una famiglia di centauri ma percepisce che sia lui che il fratello sono come due argonauti, che, dopo la partenza dalla Grecia, si muovono per l’Europa senza una meta precisa. Questo non sentire le proprie radici sarà la spinta verso il periodo metafisico e nonostante non torni più in Grecia per tutto il resto della sua vita, l’impronta classica emerge in ogni suo dipinto.
Su queste vicende de Chirico costruisce una sorta di mitologia familiare che permea tutta la sua opera e i cui segni compongono tante volte il rebus, l’enigma. Il centauro e la locomotiva sono la memoria del padre scomparso, ingegnere ferroviario in Tessaglia. Le vele a simboleggiare la partenza dei due Dioscuri Giorgio e Andrea.
De Chirico ama la filosofia di Schopenahuer ma soprattutto è affascinato dalla filosofia di Nietzsche. E proprio ad una fotografia del 1882 di Nietzsche che si ispira per il suo primo autoritratto, nel 1911 dove non solo si dipinge nella stessa posa del grande filosofo tedesco, ma, con il braccio appoggiato ad una finestra, inserisce all’interno del quadro una cornice dipinta, rimandi evidenti alla pittura rinascimentale italiana, sulla quale è presente una citazione in latino: “Et quod amabo nisi quod aenigma est?” (cosa dovrei amare se non l’enigma?). Il tema dell’enigma sarà centrale nella pittura di De Chirico, esattamente come era stato fondamentale nel pensiero di Nietzsche, che aveva dato il titolo di La visione e l’enigma ad uno dei capitoli più importanti del suo Così parlò Zarathustra.
De Chirico si mette in parallelo con Nietzsche, la sua pittura, che non è rivoluzionaria dal punto di vista tecnico, nasce dalla memoria di architetture classiche, le sue composizioni si riconoscono per l’accostamento di figure e oggetti indecifrabili, assemblati in modo nuovo che travolgono l’osservatore ponendolo davanti a immagini inconsuete che rimandano a una realtà inafferrabile.
I temi ricorrenti della sua pittura sono quelli dell’infinito, della solitudine, del mistero, dell’enigma, sono le vie deserte e le piazze silenziose, le ombre e le statue il tutto racchiuso in un tempo sospeso di attesa e di presagio.
De Chirico interpreta l’arte come una sorta di continuo confronto tra persone appartenenti a epoche diverse ma che, attraverso la pittura, dialogano in un eterno presente.
Pur frequentando le avanguardie dell’epoca, De Chirico ne resta estraneo, sente di non appartenere a nessun movimento che sia futurista, cubista o iperrealista. I suoi treni sono immobili, al contrario dell’accelerazione futurista e, pur apprezzando Picasso, le sue figure non cercano la scomposizione cubista. De Chirico scompone la realtà, quella sì.
Il mondo di De Chirico è fatto da elementi che riconosciamo in quanto parte del nostro patrimonio culturale, uniti tra di loro in un modo nuovo, con una grammatica diversa che crea l’enigma. Pur utilizzando oggetti reali (statue, manichini, squadre, colonne, monumenti famosi) De Chirico li scompone con un’analisi assoluta, facendoci entrare nel suo mondo onirico e visionario, il suo racconto intimo si snoda tramite le forme, le prospettive e i colori che mutua dalla pittura classica.
Le sue piazze sono estranianti, i suoi manichini senza volto evocano l’impossibilità di vedere, udire e parlare e sembrano automi privi di emozioni, i cavalli privi di occhi, come Omero, corrono lungo la spiaggia in un ambiente lunare. E’ il gioco della metafisica, il così è se vi pare, è lasciare l’osservatore muto e sbigottito in cerca di risposte, in un crescendo di dilemmi insolubili. Nell’arte di De Chirico si riesce a vedere il silenzio.
De Chirico si muove in un’epoca dove trionfa il pensiero filosofico positivista, quello delle certezze, delle scoperte, della scienza; egli scompiglia tutto, affermando di adorare i dubbi e gli enigmi.
“Deduco, si può concludere che ogni cosa abbia due aspetti: uno corrente, quello che vediamo quasi sempre e che vedono gli uomini in generale, l’altro lo spetrale o metafisico che non possono vedere che rari individui in momenti di chiaroveggenza e di astrazione metafisica, così come certi corpi occultati da materia impenetrabile ai raggi solari non possono apparire che sotto la potenza di luci artificiali quali sarebbero i raggi x.“ Giorgio De Chirico
La stessa serialità dei dipinti è spiazzante, De Chirico dipinge senza soluzione di continuità le Piazze d’Italia, ognuna con una piccola variante, le Muse inquietanti, gli archeologi, i cavalli, i manichini sono temi replicati, passando dalla Metafisica del primo novecento alla Neometafisica degli anni ’50, ’60 e ’70 dove i soggetti hanno acquisito una luce chiara perdendo l’aspetto angosciante dell’enigma, una serialità che colpisce, quasi come una folgorazione, Andy Warhol che fotografa due sue opere e le riproduce con la sua consueta serialità serigrafica. In mostra, nell’ultima sala, sono presenti tre dipinti delle muse inquietanti contrapposti ad una grande serigrafia di Warhol delle stesse.
Una personalità molto discussa, a volte amata altre detestata quella di De Chirico, uno spirito ironico che non si prende mai troppo sul serio. Il mito greco che oscilla fra serietà e ironia. Nelle sue repliche egli stesso diventa, ispirandosi allo Zarathustra Nietszcheriano, il “ritornante” .
L’ultima mostra dedicata a De Chirico, sempre a Palazzo Reale, venne fatta nel 1970 e Dino Buzzati la recensì con queste parole: “I più recenti quadri, esposti nell’ultima sala non sono pedisseque ripetizioni di vecchi quadri metafisici comparsi negli anni scorsi. Si tratta di invenzioni genuine, inedite.”
© Le foto e il video sono state reperiti, a titolo esplicativo, in rete e possono essere soggette a copyright. L’intento di questo blog è solo didattico e informativo.
© Giusy Baffi 2019
www.giusybaffi.com
Note biografiche sull’autrice:
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