La fotografia di viaggio di Gabriele Pedemonte.
Per la rubrica Digressioni sulla fotografia, curata da Luigi Coluccia, in copertina oggi c’è Gabriele Pedemonte e la sua fotografia di viaggio. Nel consueto appuntamento dedicato all’approfondimento dei nostri autori, ne racconteremo la storia e la fotografia.
di Luigi Coluccia
Gabriele Pedemonte, classe ’83 è un fotografo ligure che si è avvicinato a questo ormai popolare mezzo di comunicazione, rappresentato dalla fotografia, solo quattro anni fa. Come spesso abbiamo visto accadere in questo spazio dedicato altri autori, è un periodo difficile, uno di quei passaggi stretti che ogni tanto la vita ci pone sul nostro cammino, a spingerlo verso la fotografia.
La fotografia mi salvò da una depressione che sembrava stesse per prendere il sopravvento.
Nonostante il breve percorso, Gabriele si fa subito notare per il suo talento. Tra i riconoscimenti più significativi ricevuti ricordo la copertina del mese di luglio del 2016 di Digital Camera, che in qualche modo fa da trampolino di lancio per quello che sarà poi il secondo successo, una sua foto pubblicata sul National Geographic Italia, nel mese di Marzo dell’anno successivo.
Gabriele è un ragazzo talentuoso che sa quello che vuole, uno che combatte ogni giorno, che sa stare in mezzo alla gente e che ha dovuto imparare presto a cavarsela in ogni situazione. Queste sue peculiarità umane lo pongono quindi in una naturale predisposizione nei confronti della cura dei rapporti umani e del piacere di stare in mezzo alla gente, tutte cose che ritroveremo nelle sue fotografie.
GC: Gabriele, anzitutto grazie per aver accettato il mio invito a raccontarti, non è sempre facile infatti parlare di se, ma ora direi di cominciare se sei d’accordo. Come hai cominciato? Da dove arriva questa passione? Quale è stato l’evento che ha scatenato in te la voglia di misurarti con la fotografia?
GP: Prima di risponderti, ci tenevo a ringraziarti anche io per questa opportunità che la tua rubrica mi offre, quella cioè di parlare un po’ di me e della mia fotografia. Come hai giustamente ricordato prima, ho cominciato a fotografare circa 4 anni fa, quasi per caso, con il telefonino. Non so dire in tutta onestà da dove arrivi questa passione, ma posso assicurare che evidentemente era innata in me, anche se sopita chissà dove. Ricordo che in un viaggio in Kenya circa 5 anni fa ho iniziato a vedere i volti delle persone in modo del tutto nuovo, mi accorgevo di studiarli quasi. Vedevo la fotografia senza avere ancora idea di cosa fosse davvero.
GC: Cosa rappresenta allora per te la fotografia?
GP: Sarò forse banale, ma la fotografia per me rappresenta la libertà più assoluta, perché è solo quando scatto che riesco a liberarmi di tutte le ansie, delle preoccupazioni e della negatività. Per me rappresenta la vita.

© Gabriele Pedemonte
Dal particolare all’universale, dalla visione ravvicinata alle prospettive lontane, l’obiettivo di Gabriele Pedemonte traduce le immagini del mondo in un linguaggio poetico che non dimentica gli aspetti sociali e culturali. Nei lunghi pellegrinaggi attraverso i diversi continenti visitati, ci racconta folgoranti “istanti di bellezza e di armonia” da custodire come testimonianza di un mondo in pericolo che è nostro compito salvaguardare per le generazioni future.
- © Gabriele Pedemonte
- © Gabriele Pedemonte
- © Gabriele Pedemonte
- © Gabriele Pedemonte
GC: Ti occupi di fotografia di viaggio e reportage, come sei arrivato a determinare che questo genere fotografico sarebbe stato il tuo, quanto e cosa pensi di riuscire a restituire, a chi le ammira, delle emozioni da te provate sul campo e della situazione contingente che hai immortalato?
GP: Ho sempre avuto la passione per i viaggi, così come ho sempre desiderato girare il mondo. Conoscere altre culture, usi e costumi differenti dai nostri, è sempre stato per me motivo di crescita, di maturazione. Quello che cerco è trasmettere a chi guarda le mie fotografie le stesse emozioni che ho provato io vivendo da spettatore il momento immortalato. Cerco di mettere in ogni fotografia l’anima e la vera essenza dei miei soggetti, allo scopo di trasportare anche se solo per un attimo in aree remote e lontane chi guarda i miei lavori.
GP: Delle esperienze maturate fino ad oggi, raccontacene due in particolare mettendole in relazione tra loro, evidenziando le similitudini e le differenze.
GP: Le esperienze che più sono rimaste impresse nella mia mente e nel mio cuore sono senza dubbio i viaggi nell’India del Nord e quello in Etiopia. Due viaggi molto diversi tra loro, l’India è molto caotica mentre in Africa si respira una diversa concezione degli spazi e dello scorrere del tempo. Entrambi però sono stati determinanti per la mia crescita personale, in queste due occasioni ho imparato a respirare, ad attendere, a calmierare la mia frenesia fotografica.
- © Gabriele Pedemonte
- © Gabriele Pedemonte
- © Gabriele Pedemonte
- © Gabriele Pedemonte
- © Gabriele Pedemonte
- © Gabriele Pedemonte
GC: Hai ricevuto moltissimi riconoscimenti, anche prestigiosi, per la tua attività fotografia, quanto contano questi per farti andare avanti con sempre maggiore determinazione e quanto invece è necessario essere determinati a prescindere dal riconoscimento per imporre un proprio discorso comunicativo? Hai mai sentito la necessità di snaturarti rispetto al tuo modo di lavorare per restare nell’ambito di una fotografia commerciale che possa essere poi venduta al committente di turno piuttosto che ricevere dei premi?
GP: Per me la fotografia è puro e semplice istinto, quindi indipendente dai riconoscimenti, dai premi o dalla vendita privata. Per questa ragione continuerò quindi a scattare le mie fotografie in base a quello che più mi emoziona senza pensare ad altro.
La fotografia è capace di instillare nell’uomo desideri leggeri come le nubi, è in grado di far sorgere interrogativi cui non sappiamo rispondere e di suggerire una verità, che a noi – e solo a noi – spetta di confutare.
E così che attraverso l’occhio del fotografo ci troviamo di fronte a un mondo lontano, spesso dimenticato, un mondo di cui senza questo lavoro di ricerca non saremmo neanche a conoscenza o forse sì, ma senza interessarcene troppo direi. Luoghi e paesaggi, culture e genti, mondi vicini e lontani ti attirano da sempre. Per documentare, raccontare. Ogni osservatore, anche un fotografo, cambia il contesto che accosta, volente o nolente ne diventa parte, se pur per il tempo necessario alla sua documentazione.
GC: Quanto e come ti coinvolgono gli scenari sociali, culturali ed ambientali che ritrai nelle tue immagini e come riesci poi a gestire le emozioni che ne scaturiscono cercando di rimanere il più oggettivo possibile?
GP: Come ho avuto modo di dire precedentemente per me è semplice istinto, spesso quando scatto è come se “spegnessi il cervello”, è come se disattivassi la ragione, azzerando tutto ciò che di me potrebbe contaminare la mia ricerca ed entrando in connessione con il mio soggetto, immortalandolo e raccogliendo tutto ciò che posso della sua vera essenza.
GC: Walter Benjamin diceva che la rinuncia alla figura umana è la più difficile di tutte le cose per la fotografia. Come entri in rapporto con i soggetti che intendi rendere protagonisti delle tue fotografie, che tipo di relazione cerchi di stabilire con loro?
GP: Indubbiamente cerco di studiarli in tutte le loro sfaccettature. Sono attento sia all’aspetto fisico che a quello psicologico. Cerco di conoscerli, instaurando con loro una sorta di rapporto empatico che è quello che poi mi porta scattare al meglio delle mie possibilità. Parlando invece di “etica del come” dobbiamo considerare che la strategia comunicativa del reportage, trova la sua radice fondamentale nell’indice, cioè nel rappresentare nel modo più fedele possibile la realtà dei fatti, questo dovrebbe essere pertanto il motore che dovrebbe spingere ogni fotoreporter a essere il più obiettivo possibile.
- © Gabriele Pedemonte
- © Gabriele Pedemonte
- © Gabriele Pedemonte
- © Gabriele Pedemonte
Mi piace sempre ricordare quindi, quando si parla di fotografia di viaggio, il pensiero di W. Eugene Smith che scrisse: Quelli che credono che il reportage fotografico sia “selettivo e oggettivo”, ma non possa decifrare la sostanza del soggetto fotografato dimostrano una competa mancanza di comprensione dei problemi e dei meccanismi propri di questa professione. Il foto-giornalista non può avere che un approccio personale ed è impossibile per lui essere completamente obiettivo. Onesto si, obiettivo no.

© Gabriele Pedemonte
Recentemente inoltre, abbiamo assistito al successo della IX edizione del Festival della Fotografia Etica, che ha proprio l’intento di proporre progetti di carattere foto-giornalistico che trattino contenuti di rilevante impatto etico, portando l’attenzione di un vasto pubblico su tematiche spesso dimenticate, realtà lontane fatte di uomini e donne altrimenti invisibili, dando spazio a coloro che realizzano questo tipo di fotografia.
GC: Come ritieni si possa evitare la spettacolarizzazione della fotografia rendendola sempre aderente ai fatti, sobria e scevra dalla trappola degli stereotipi?
GP: Fondamentalmente cercando di rimanere fedele ai miei valori, a quello in cui credo. Cerco di capire fino in fondo le storie dei protagonisti delle storie che intendo riprendere e il contesto in cui esse si sviluppano, rimanendo fedele quindi alla realtà che mi trovo di fronte .

© Gabriele Pedemonte
GC: Sei stato recentemente in Africa, raccontaci quest’ultimo viaggio, ora che le emozioni sono ancora calde. Quali sono state le cose che ti hanno colpito di più e quali le differenze con gli altri viaggi?
GP: Una delle cose che più mi ha colpito dell’Africa e degli stessi Etiopi è il loro incredibile modo di comunicare con il corpo, con le espressioni del viso e con la gestualità. Un popolo molto disponibile, che per la maggior parte vive così come si viveva centinaia e centinaia di anni fa, sono felici pur non avendo nulla. Un altro bel ricordo che mi porto dentro è quello che mi riporta ai momenti in cui ero accampato vicino ai villaggi delle tribù, mi sono addormentato più volte con i canti della gente e le urla dei bimbi che giocavano attorno al fuoco acceso.
- © Gabriele Pedemonte
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- © Gabriele Pedemonte
- © Gabriele Pedemonte
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- © Gabriele Pedemonte
GC: È verosimile affermare che ogni nuovo viaggio, dopo molti anni, non è più un viaggio fine a se stesso ma la risultanza delle esperienza precedentemente maturate? Se si, come cambia quindi il tuo modo di percepire le emozioni di un viaggio? Oppure ogni volta e sempre come la prima volta?
GP: Ogni viaggio ci porta in un posto nuovo regalandoci emozioni e stupore diversi ogni volta, quindi non è tanto questo a cambiare, forse è più giusto dire che siamo noi a cambiare, soprattutto nella nostra percezione della vita e dell’essere umano. Ogni volta però è un emozione nuova unica ed irripetibile.

© Gabriele Pedemonte
GC: Di quali strumenti ti avvali per realizzare le tue fotografie, tipo di macchina fotografica, obiettivi, post- produzione?
GP: Ho due Canon 6d econ su cui moto rispettivamente un 35mm Sigma ART e un 85mm Sigma ART. Lavoro sempre con la luce naturale e come post produzione utilizzo Camera RAW e un pochino Photoshop.
GC: Quali sono stati i riferimenti fotografico-artistico-culturali che hanno determinato la tua etica fotografica, la tua cifra stilistica e il tuo modo di intendere la fotografia cosi come la intendi oggi?
GP: Un fotografo che inizialmente ha suscitato in me grande interesse è senz’altro Steve McCurry per la sua sorprendente capacità di comporre le sue fotografie, subito dopo ha fatto il suo ingresso nella mia vita Sebastiao Salgado, con la forza incredibile delle sue fotografie e di tutto quello che sono in grado di trasmettere.
GC: Per finire, si percepisce nel tuo lavoro e nelle tue parole molta passione per ciò che fai, cosa ti sentiresti di suggerire a coloro che inesperti vogliano approcciare la fotografia? Cosa ti ha insegnato la tua esperienza?
GP: Mi sento di consigliare di lasciarsi travolgere dalle proprie passioni, inseguendo sempre i propri sogni. Poi, anche se sono consapevole che sembrerà retorica, credo che l’arte non sia null’altro che una naturale espansione di se stessi. Per come vedo andare le cose oggi nel mondo, credo possa essere una buona risposta. Come si diceva? Ah si, l’arte salverà il mondo, ecco.
GC: Gabriele, desidero ringraziarti per l’opportunità concessami di fare questo affascinante viaggio dentro la tua fotografia e per le emozioni che quest’ultima ha saputo suscitare in me. È’ stata davvero stimolante questa chiacchierata, grazie anche per la disponibilità, per la sensibilità e per tutte le belle emozioni che ci hai saputo regalare.
GP: Grazie a te Gigi per avermi dato l’opportunità di raccontarmi, dandomi la possibilità di soffermarmi sul mio modo di intendere ed interpretare la fotografia e di aver stimolato la possibilità di una ricerca rivolta alla parte di me più intima che da un lato mi ha arricchita e dall’altro mi ha permesso di mettere a fuoco dettagli di me stesso, che altrimenti sarebbero rimasti nell’ombra. Un saluto a tutti gli amici di ArteVitae.
Riferimenti dell’autore
Instagram @gabriele_pedemonte
[Ndr]: Tutte le immagini contenute in questo articolo sono coperte dal diritto d’autore e sono state gentilmente concesse da Gabriele Pedemonte © ad ArteVitae per la realizzazione di quest’articolo.
Note biografiche sull’Autore
Gigi Coluccia
Gigi, salentino di nascita e romano d’adozione, intraprende il percorso di laurea in Economia Bancaria e successivamente abbraccia la carriera militare. Alterna la passione per l’economia e la letteratura, ereditata dal nonno, a quella per la fotografia che coltiva da tempo, applicandosi in diversi generi fotografici, prima di approdare alla fotografia di architettura e minimalismo urbano in cui trova espressione la sua vena creativa.
Dotato di personalità votata alla concretezza e con uno spiccato orientamento alla cultura del fare, Gigi intuisce le potenzialità aggreganti della fotografia unite alla possibilità di condivisione offerte dal Social e fonda il Gruppo ArchiMinimal Photography attraverso il quale riesce a catalizzare l’attenzione di tanti utenti italiani e stranieri attorno ad progetto di più ampio respiro che aggrega una nutrita comunità attiva di foto-amatori. Impegnato nella promozione e nella divulgazione della cultura fotografica, crea il magazine ArteVitae, progetto editoriale derivato dal successo della community social, per il quale scrive monografie ed approfondimenti sugli autori fotografici e cura la rubrica Digressioni sulla Fotografia, ricercando nel panorama fotografico contemporaneo, personaggi e spunti di interesse di cui parlare.