Edmondo Di Loreto, un rocambolesco romanzo di vita, fra viaggi e fotografia
In copertina oggi c’è Edmondo Di Loreto. Nel consueto appuntamento dedicato all’approfondimento dei nostri autori, ne racconteremo la storia e la fotografia.
di Luigi Coluccia
Raccontare in un’unica intervista la storia personale e fotografica del nostro ospite odierno, non è affare semplice. Eclettico, poliedrico, istrionico, incredibilmente affascinante, questo personaggio infatti rappresenta una vera rarità nel panorama della fotografia amatoriale. Quello rappresentato dall’intervista, è un mezzo assai riduttivo trattandosi di Edmondo. Egli è infatti un oratore eccezionale. Ascoltarlo parlare di fotografia e delle sue rocambolesche storie, è davvero un’esperienza unica, probabilmente molto più che leggerle. Lo caratterizzano infatti una mimica facciale eloquente ed una gestualità inconfondibile.
Altra difficoltà incontrata è stata quella di riuscire a ritagliarsi un momento in cui realizzarla, Edmondo infatti è sempre in giro per l’Italia a curare i suoi molteplici interessi di imprenditore. A complicare tutto poi, il taglio da dare al pezzo. Non è affatto semplice mettere a fuoco delle argomentazioni quando si ha a disposizione un panorama così ampio. Quello che intendo fare oggi allora, è raccontare la sua storia personale approfondendone le interessanti peculiarità, lasciando la sua meravigliosa fotografia a fare da sfondo. Un viaggio personale alla scoperta di una vita davvero rocambolesca ed intrigante.
AVB: Ciao Edmondo, grazie per averci concesso l’opportunità di conoscerti meglio. Ogni martedi dai vita alla rubrica Storie di Fotografie e forse è arrivato il momento di farti conoscere meglio dal tuo pubblico. Ognuno di noi è perfettamente radicato nella sua vicenda personale, che è il frutto di tutte le esperienze vissute. Tu sei uomo di terra e di mare al tempo stesso, puoi spiegaci meglio questo aspetto delle tue radici?
EDL: Intanto grazie per l’interessamento e un saluto a tutti. “Uomo di terra e uomo di mare”. Sono le origini, le mie radici. Quando mi chiedono di dove sono, ho sempre qualche difficoltà a rispondere prontamente. Da parte di madre sono ligure, genovese di antica generazione. E Genova vuol dire mare, con quel che ne consegue. La Liguria è una terra aspra, chiusa, stretta tra la montagna che incombe e il mare. Non c’è spazio e allora i liguri se ne sono andati dall’unica via possibile: il mare appunto. Lo hanno attraversato cercando “terre assai lontane”. Gli antenati di mia madre erano anche armatori, di bastimenti commerciali, prima a vela e poi a vapore ed un po’ di anima marinaresca e avventurosa mi è restata, anche geneticamente credo.
La famiglia di mio padre, di contro, è abruzzese. La montagna interna, quella dura, tosta e capocciona, anch’essa isolata e certamente “chiusa”. Però gli avi erano allevatori di pecore, se ne sono andati giù verso il piano, seguendo le vie d’erba degli antichi tratturi. Un po’ come i naviganti liguri. Ci sono più similitudini tra liguri e abruzzesi di quel che si possa pensare. Mi sembra ci siano abbastanza elementi, anche epidermici, che spiegano questo mio essere “di terra e di mare”.
AVB: Partiamo da quelle che sono le tue radici di terra allora. Raccontaci di come la terra abbia prodotto in te quel viscerale attaccamento a tutte le sue sfumature. Parlaci inoltre delle tante terre che ti appartengono, dei “tratturi” seguiti dai tuoi antenati, del contatto sempre vivo con questa parte della tua storia che orgogliosamente porti dentro.
EDL: Io sono romano di nascita, ma questa è un altra storia, ho vissuto in Veneto, a Bologna ed attualmente risiedo in Puglia, in pianura. Mare – monti – pianura: non mi sono fatto mancare niente! Mi occupo ancora di agricoltura ed il legame con l’Abruzzo è molto forte, le radici sono decisive, un’impronta te la lasciano. Inoltre, se “tratti” la terra per lavoro, impari a conoscerla, ad apprezzarne gli aspetti positivi separandoli da quelli negativi. Questo vale anche per il mare: è la stessa cosa. Io vado a vela e so come gira il vento in mare.
AVB: Ecco, approfondiamo adesso appunto il tuo rapporto con il mare, con la parte della tua famiglia che con essa ha avuto uno stretto rapporto. Raccontaci delle coste che senti essere casa tua.
EDL: Oltre alle origini liguri-marinaresche dal lato materno, mio nonno paterno era un ufficiale di marina, che poco aveva a che fare con pecore e terre messe a coltura. Morì giovane e non l’ho mai conosciuto, ma i racconti di mia nonna mi hanno comunque impresso nell’animo quello che era il suo mondo: il mare, gli oceani, le coste di mezzo mondo. Da ragazzo leggevo Emilio Salgari, come molti miei coetanei del resto, ma amavo anche le storie di mare narrate da mia nonna. Sono stato un ragazzo fortunato. A questo si aggiunge il ritrovamento delle fotografie scattate da mio nonno, fotografo amatoriale, che hanno dato corpo a quei racconti donandogli conferma visiva, materiale, tangibile. Quindi il mare che sento mio, spazia dai libri di bordo dei bastimenti liguri degli avi di mia madre, fino alle fotografie delle coste del Sud America ritratte da mio nonno paterno, passando per l’odore del salmastro di una spiaggia del levante ligure, il mare forza 7 sfidato a nuoto o una uscita in barca a vela con vento improponibile.
Quando ero ragazzo sfidavo il mare grosso in Liguria nel senso che ero uno dei pochi “ammessi” a fare il bagno in mare con onde alte tre metri. Lo sfidavo perchè lo conoscevo, qualcuno me lo aveva insegnato. Tutti questi insegnamenti fanno parte di quelle radici alle quali accennavo, le hai dentro. Devi farne tesoro e questa attività si chiama “esperienza”. Se si uniscono termini come radici, esperienza, memoria e consapevolezza, vengono fuori quelli che sono i tratti del tuo carattere. Poi ci sono gli accadimenti della tua vita che fanno il resto. Io ho perso mio padre largamente in anticipo rispetto a quelle che sono le normali aspettative di un ragazzo e mi sono dovuto immergere totalmente nelle attività familiari, prendendone coscienza. Le “carte” di famiglia mi hanno fatto conoscere quella che è la sua storia e gli archivi aziendali sono stati decisivi non solo per la mia formazione professionale.
AVB: Ho avuto la fortuna di essere ospite in casa tua più volte. A parte la tua incredibile ospitalità e generosità, ricordo benissimo tutti i souvenir che collezioni gelosamente, ricordo di tutti i tuoi viaggi ed esperienze fatte. Come e quando sei riuscito a raccogliere tutte queste testimonianze ?
EDL: C’è stato un periodo della mia vita, io ho 61 anni, diciamo un ventennio circa, nel quale ho deciso di viaggiare, ho cercato di viaggiare. Perché? Ma perché volevo vedere come viveva l’altra parte del mondo, quella che non conoscevo, quella diversa dal nostro modo di vivere. Ho pensato di farlo perché quello era il momento giusto: per età, dopo sarebbe stato più difficile muoversi in Amazzonia o sull’Himalaya, per possibilità, con qualche sacrificio potevo permettermelo e soprattutto per curiosità, non ci siamo solo noi che viviamo nell’agio e nella bambagia.
Ma il viaggio che ho inteso io non era finalizzato ad un soggiorno più o meno confortevole da qualche parte. “Il fine del viaggio è il viaggio stesso”, non ricordo chi lo ha detto ma ne ho fatto un principio. Ho viaggiato sempre in modo sobrio, per quanto possibile, rinunciando alle nostre sovrastrutture, spesso mentali, di occidentali evoluti ed immergendomi il più possibile nella realtà dei luoghi che visitavo. Stare un mese in India muovendosi con mezzi locali e dormendo in piccoli alberghi e pensioncine è più economico di 10 giorni di ferie passate nelle località turistiche nostrane!
AVB: Raccontarli tutti i tuoi viaggi sarebbe impossibile, scegli tu un percorso rappresentato da quelli per te più significativi, e parlacene attraverso le emozioni che li hanno caratterizzati e le immagini che ne hanno fermato gli attimi salienti.
EDL: Ovviamente non ho un viaggio preferito, ognuno lo rammento per qualcosa. Ogni viaggio è una esperienza unica. Ho visitato 45 paesi. Un calcolo approssimativo mi fa dire che sono stato circa 650 giorni peregrinando per il mondo. Posso solo citare tre esperienze di viaggio che mi hanno certamente arricchito.
Le tre settimane in Botswana, Africa del sud, che mi hanno portato per la prima volta al cospetto dell’Africa della natura. Un viaggio fuori da ogni percorso turistico, con due guide locali e dormendo in tenda col fuoco sempre acceso di notte. “La natura non fa mai niente di inutile” diceva un filosofo e come aveva ragione!
La spedizione nella Cina più interna che più interna non si può. Una esperienza completa e durissima dal punto di vista fisico: il trekking in Tibet è stato impagabile e l’aver aperto una via chiusa da 80 anni agli stranieri un motivo di soddisfazione che non si può comprendere. Oltretutto il viaggio lo vinsi partecipando ad un concorso fotografico. Doppia soddisfazione e meraviglia assoluta, ancora me ne stupisco.
L’ultima citazione la merita l’esperienza in Brasile per filmare le attività di una associazione benefica. Una occasione irripetibile per visitare luoghi e conoscere persone grazie alle entrature di quella associazione. Il succo di quel viaggio è racchiuso in quel che ci siamo detti noi 5 viaggiatori al ritorno: “siamo stati gli unici Italiani che in Brasile non sono stati a Rio e non sono andati a donne”!! Ecco; abbiamo fatto dell’altro.
AVB: Veniamo adesso al tuo rapporto con la fotografia. Vivi questa passione come tutte le altre, con intensità assoluta. Come nasce e come si è evoluta nel tempo? A mio avviso la tua fotografia racconta cose di te attraverso la ripresa della realtà che riporti. L’ho sempre trovato un po’ autobiografica, una sorta di percorso artistico che conduce a te, concordi?.
EDL: La prima fotografia l’ho scattata all’età di 8 anni e con una fotocamera non mia. Era un elefante che sbadigliava allo zoo di Roma. Quasi un presagio! La prima foto con una mia fotocamera, una Kodak Instamatic 50, l’ho scattata l’anno dopo: un panorama della valle e delle montagne da una finestra di casa mia in Abruzzo. Un altro segnale? Chi lo sa. Poi la fotografia è entrata ed uscita dalla mia vita varie volte. Non ne ho fatto uno scopo, una mania, men che meno una professione. Per esempio: io ho viaggiato e viaggio per viaggiare non per fare fotografie. E se scatto foto lo faccio per me, non per farle vedere agli amici. Però la passione per la fotografia è stata quasi inevitabile.
A casa mia ci sono sempre state tante fotografie: nei cassetti, attaccate agli album di famiglia, appese ai muri. Una fotografia ovviamente solida, materiale, cartacea che è quel che resta davvero, non liquida come si usa dire oggi. Inoltre il fatto di essere praticamente il depositario e il curatore dell’archivio fotografico familiare, 23.000 fotogrammi di tutti i tipi, mi ha portato a masticare fotografia a più non posso.
A questo va aggiunto il fatto che io vedo molte fotografie, non solo le mie ma quelle degli altri: dai grandi autori stampate sui libri a quelle degli amici a quelle sul web, che sono un’altra cosa naturalmente. Quindi mi sono fatto una idea della fotografia come arte visiva e quella mi basta. C’è un momento in chi scatta foto e in chi le guarda che è topico. E’ un momento di grande soddisfazione. E’ quando riesci a capire, tra i tuoi amici fotografi, chi ha scattato quella foto, chi è l’autore di quella immagine. Vuol dire che hai elementi tali per riconoscere uno stile fotografico. Allo stesso modo accade quando qualcun altro riconosce, tra tante, una foto scattata da me. Vuol dire che ho perfezionato un mio stile, ho trasmesso quel che viene definita la mia cifra stilistica.
La mia fotografia è autobiografica? Può essere. C’è sempre molto di me nelle mie foto. Un mio modo di scattare, di comporre l’inquadratura, di scegliere gli elementi da inserire. In genere io tendo a togliere da una fotografia, non a mettere. Con tutte le eccezioni del caso. Non ho un genere preferito. Istintivamente mi verrebbe da dire il reportage, avendo viaggiato molto, ma non è detto. Una mia mostra personale e molto apprezzata, è stata allestita con solo ritratti di persone incontrate nei miei viaggi. Ma tu guarda: mi sono scoperto ritrattista!
AVB: Hai come tutti noi una storia personale. E’ molto ricca di spunti ma è pur sempre la tua storia personale. Quello che però ti differenzia, è la forza che hai sempre messo in campo per mantenerla viva e renderla immortale. Parlaci di tutte le molteplici attività in cui protagonista assoluta è la presentazione di spaccati importanti delle attività dei tuoi antenati e dei posti in cui queste sono o sono state esposte.
EDL: L’aver trovato, salvato, catalogato e conservato l’archivio storico familiare ha fatto in modo che fossero valorizzate fotografie meritevoli di essere rese pubbliche. Attraverso le fotografie di una famiglia e non solo si fa anche la storia di una comunità, di una nazione. Un popolo senza memoria è un popolo senza futuro. L’importante è che il materiale venga fuori, sia reso pubblico, condiviso. E’ inutile conservare gelosamente materiale fotografico importante in un cassetto. Bisogna che lo vedano anche gli altri. Per questo motivo ho donato parte di quel materiale al settore museale della mia città, che lo espone in pianta stabile.
Il Viaggio della nave Etruria nelle Americhe, con mio nonno a bordo, con foto di inizio secolo di tutto il continente americano, meritava una serie di mostre in giro per l’Italia. L’ho fatto grazie a quella parte pubblica che mi ha supportato ed è stato un modo per valorizzare fotografie che sarebbero rimaste in uno scatolone sul fondo di un vecchio armadio.
Così come la mostra sul centenario della guerra di Libia del 1911, resa attuale dalle odierne vicende. Non rifiutare le gentili richieste di un lungimirante e valente editore locale che “stampa libri di fotografie” acconsentendo alla pubblicazione di fotografie private è un esercizio che fa bene alla fotografia, la fa uscire dagli steccati del personale, del proprio ed esclusivo. Fotografie dell’archivio e foto personali di altro genere sono sparse in molti volumi e sono state esposte in mostre che hanno attraversato l’Italia. Ne sono felice, anche se economicamente non ho guadagnato nulla.
AVB: Concluderei con un’ultima tua considerazione. Cosa pensi della fotografia di oggi, la trovi cambiata rispetto a quella con la quale hai cominciato? Non mi riferisco tanto alle annose questioni tecniche ma proprio al suo valore, alla sua essenza, alla sua funzione.
EDL: L’avvento del digitale ha rivoluzionato la fotografia. E’ indubbio. Ma non mi soffermo sull’annosa questione e diatriba pellicola/elettronica: è sterile e superata. Poteva avere un suo fondamento agli albori del digitale, nel senso che le differenze qualitative tra pellicola e pixel erano ancora abissali. Ora meno, anzi. Quindi non mi pongo certo la domanda, di fronte ad una foto stampata o esposta: “…ma è digitale?”…che senso avrebbe? Caso mai va riconosciuta l’enorme diffusione della fotografia grazie all’avvento dell’elettronica. Si è passati da una fotografia qualitativa ad una quantitativa, nel senso che ora si scattano molte più fotografie di prima: troppe? Non so e non è quello il vero problema.
La quantità va sempre a scapito della qualità, quindi bisogna selezionare e scremare per bene. Un conto è una immagine elettronica vista su un pc, un altro è una stampa fotografica. A me interessa la fotografia che racconta qualcosa, non solo come puro esercizio di tecnica fotografica. Mi affascina sapere cosa c’è dietro uno scatto ben fatto: che storia racconta quella fotografia? Cosa vuole esprimere o narrare il suo autore? La “narrazione” fa parte di una fotografia. A me sta a cuore lo storytelling che c’è dietro una fotografia. Inoltre sono ancora un sostenitore della singola fotografia: quella che da sola dice tutto e non ha bisogno di spiegazioni.
AVB: Grazie Edmondo per questa affascinate chiacchierata, è stato davvero interessante e appassionante.
EDL: Grazie a voi, un saluto a tutti gli amici.