Digressioni sulla fotografia, a tu per tu con Roberto Cracco.
Per la rubrica Digressioni sulla fotografia, curata da Luigi Coluccia, in copertina oggi c’è Roberto Cracco. Nel consueto appuntamento dedicato all’approfondimento dei nostri autori, ne racconteremo la storia e la fotografia.
di Luigi Coluccia
Roberto nasce nel 1967 a Valdagno, un paese circondato da colline, boschi e montagne in provincia di Vicenza. Quando aveva circa 2 anni i suoi genitori si trasferiscono a Modena per lavoro.
Frequenta l’istituto d’arte A.Venturi di Modena con l’indirizzo grafica e fotografia. Dopo il servizio militare si iscrive all’Istituto Europeo di Design di Milano, scegliendo l’indirizzo dedicato alla fotografia professionale.
Apre successivamente con due soci uno studio fotografico, le cui attività principali sono la moda, lo still life, l’architettura ed il teatro, sono gli anni 90 ed il digitale non esiste ancora.
Dopo circa 6 anni di attività, come spesso accade in questi casi, la società è costretta a chiudere per sopraggiunti problemi con un socio. Successivamente quindi si trova nella condizione di doversi dare da fare, dedicandosi a numerose attività.
Svolge attività nell’ambito fotografico come freelance, lavora come decoratore di interni, disegnatore serigrafico, grafico pubblicitario, restauratore edile, cuoco e altri lavori anche saltuari pur di potersi mantenere.
Dal 2010 poi comincia a dedicarsi alla sua fotografia viaggiando e cercando nuove vie alla ricerca di una vita più consapevole. Della fotografia dice:
“Fra tutte le forme d’arte, la fotografia è forse la più accessibile e la più gratificante. Può registrare volti o avvenimenti oppure narrare una storia. Può sorprendere, divertire ed educare. Può cogliere e comunicare emozioni e documentare qualsiasi dettaglio con rapidità e precisione. Il suo unico limite oggigiorno è la propria fantasia”.
AVB: Roberto, abbiamo avuto modo di collaborare ad un progetto editoriale-fotografico in passato, grazie al quale ricordo di essere rimasto affascinato dalla tua personalità. Scontato quindi per me, anche se a distanza di tempo, tornare a parlare di te e della tua fotografia. Grazie quindi per aver accettato il mio invito a raccontarti. Vivo questo momento sempre come un grande onore, come un punto di vista privilegiato sulla vita, sulla fotografia e sulle emozioni dei miei ospiti.
RC: Grazie a te, a voi. Per me è un grande piacere essere qui. Spero solo di essere all’altezza delle vostre aspettative!
AVB: La tua è essenzialmente una formazione artistica ed anche la tua attività professionale si è sviluppata sul filone artistico, nei più disparati ambiti. L’influenza che i tuoi studi hanno impresso alla tua attività professionale sembra sia stata molto forte, è corretta questa mia deduzione?
RC: Assolutamente sì. Il mio percorso è stato caratterizzato fin dal suo inizio dalla mia marcata predisposizione artistica. Fin da giovane è stata quella la mia direzione ed ho cominciato ad accumulare esperienze fin da subito.
Caratterialmente non sono mai riuscito a portare avanti qualcosa che non mi piacesse, questo mi ha sempre causato diversi problemi anche per quella fortuna che spesso mi è mancata. Nell’ambito lavorativo ad esempio, non sempre sono riuscito a mantenermi rimanendo impiegato nel settore che tanto amo e per cui ho studiato tanto, ovvero la fotografia.
AVB: Non lo abbiamo ancora svelato, ci penso allora io, adesso. Vivi e lavori a Londra, come ha influito questa scelta di vita su di te come persona e sul tuo rapporto con la fotografia? Come e quanto una città così cosmopolita può influenza il carattere di una persona e determinare la sua vena artistica?
RC: Ho un rapporto di amore – odio con questa città e con le metropoli in genere, non amo i londinesi, le grandi città disumanizzano le persone. I contrasti tipici delle metropoli sono pero molto stimolanti fotograficamente. Osservare e vivere di persona una realtà fatta di consumismo cieco e di disuguaglianza sociale sicuramente ti cambia, nel mio caso essendo già consapevole della realtà della condizione umana e della sua direzione vivere a Londra ha solo dato conferma alle mie convinzioni. Non ha cambiato il mio modo di fotografare né i miei soggetti o le idee sviluppate, le ha solo evolute.
AVB: Studi a parte, come hai cominciato? Da dove proviene questa accesa passione per la fotografia? Quale è stato l’evento che ha scatenato in te la voglia di misurarti con questa forma d’espressione?
RC: Ricordo che a 14 anni mio padre mi regalò una Minolta con obiettivo fisso senza esposimetro che usava lui e da quel momento ho cominciato a fotografare, i primi soggetti sono state le case e le forme architettoniche. Già, strano a dirsi, ma ero già fortemente attratto dall’architettura.
Sono sempre stato una persona di poche parole e introversa specialmente da bambino, le immagini ed il disegno in particolare, rappresentavano il mio rifugio, è stato un processo naturale per me cominciare a fotografare.
AVB: Siamo giunti alla domanda topica, lo scoglio da superare senza cadere nella trappola della banalità. Cosa rappresenta per te la fotografia?
RC: Per me la fotografia rappresenta essenzialmente la capacità di comunicare, raccontare, testimoniare, è un attimo fermato per l’eternità. Sono molto affascinato anche dalla scienza e dall’astrofisica e il concetto di tempo, che fa inevitabilmente parte della fotografia, è sicuramente una delle cose che mi affascinano maggiormente. Poi c’è la componente artistica che mi accompagna da sempre.
AVB: I tuoi lavori fotografici sono sempre legati ad un’idea, ad un concetto più ampio che va al di là del linguaggio per immagini. Penso a lavori come “Bestie in gabbia”, “Babele” e “Oltre la linea”, come nasce questa tua esigenza di racconto, quanto c’è in essa di autobiografico?
RC: Non ho sempre avuto il desiderio di raccontare, solo negli ultimi anni ne ho sentito forte l’esigenza. Mi sono dedicato alla “mia fotografia”, un lavoro personale, intimo, dettato dall’ambiente che mi circonda. Ad un certo punto guardando il mondo ho sentito la necessità di raccontarlo attraverso ciò che vedevano i miei occhi.
Sono sempre stato contro ogni forma di dittatura e prevaricazione, inoltre la sistematica distruzione che avviene ogni giorno intorno a noi di tutto ciò che può essere considerato armonia e vera evoluzione umana mi ha portato al desiderio di dare un contributo, anche se piccolo, attraverso ciò che so fare meglio, e fotografare è una di queste cose. Sento però che il mio percorso è appena cominciato.
Alcuni progetti, come ad esempio “ritratto ai potenti”, li ho realizzati in modo specifico per la rivista Paginauno. Concettualmente tutti i miei lavori sono collegati tra loro, anche se quello che ho chiamato “Digital lab” per me è più una pura espressione artistica che fotografia.
La fotografia di Roberto è graffiante, è una fotografia di denuncia sociale che trae la sua linfa vitale proprio dalla crisi profonda che oggi vive l’individuo. Gli stereotipi in cui la società ci ha costretti a sopravvivere, sono sempre presenti nelle sue composizioni anche quando abilmente mascherati.
Le meravigliose architetture urbane riprese attraverso l’uso di prepotenti B&W, fanno da sfondo a messaggi più profondi. La società contemporanea è rappresentata come una moderna Babele in cui il caos, il disordine, la confusione e la corruzione, sono i suoi tratti distintivi.
AVB: Molto particolare questo tuo modo così intenso e cerebrale di intendere il mondo e tutte le sue storture. Qual è quindi il modo con cui approcci il lavoro che prelude ai tuoi lavori fotografici? Come cioè ti prepari allo scatto: la ricerca dei soggetti, lo studio compositivo, l’esecuzione in macchina, la post produzione. Quanto incide a tuo giudizio ciascuna di queste fasi sul risultato finale?
RC: Quando vado in giro a fotografare mi comporto un po’ come un predatore in natura, che sia foto naturalistica, architettonica o sociale, mi confondo nell’ambiente e cerco qualcosa che attiri la mia attenzione. Lo scatto di solito avviene rapido, quando vedo qualcosa che mi interessa, nella mia mente ho già la foto. La composizione mi viene naturale non ci penso, è istintiva.
La post produzione è molto importante per me, anche quando lavoravo su pellicola e le possibilità erano molto limitate, mi sono impegnato per sfruttare al massimo le potenzialità del supporto.
AVB: Quindi non sei dell’idea che la fotografia digitale sia il male assoluto, quella fotografia che ha annullato la naturalezza dello scatto analogico?
RC: Non credo nella fotografia “purista”. Per me è importante ottenere quello che si vuole rappresentare con tutti i mezzi possibili. Il processo di creazione mi viene spontaneo, a volte scatto delle foto di cui non sono molto convinto ma per esperienza maturata, preferisco avere qualche chance in più piuttosto che qualcuna in meno. Successivamente, nella fase di post produzione capisco immediatamente quali eliminare.
AVB: Sei un autore che si cimenta in più generi fotografici, come sei arrivato alla fotografia d’architettura? Cosa ti attrae in questo genere?
RC: La fotografia di architettura è stata la mia prima passione, non so perché, ne sono attratto in modo irresistibile, probabilmente è da ricondurre alla mia indole e alla mia natura.
AVB: Come già detto, ho avuto modo di collaborare con te in un altro progetto editoriale qualche anno fa e già allora mi innamorai della serie Lond-On. Puoi raccontarci come è nata e cosa rappresenta per te?
RC: Londra dal punto di vista architettonico è straordinaria, è una delle cose che amo delle metropoli. Il progetto Lond-On, è realizzato attraverso fotografie che uniscono il mio amore per le forme geometriche create dalla luce sui solidi con quella che per me ravvisa una testimonianza visiva del presente, l’architettura, l’elemento antropico.
Difficilmente le persone quando camminano specialmente in città alzano lo sguardo, è sorprendente cosa c’è sopra le nostre teste, in questo caso la modernità espressiva degli edifici si sposa perfettamente con il carattere dinamico, quasi schizofrenico di Londra. Il nome del progetto quindi deriva proprio dalla parola inglese “ON” che vuol dire sia “su” che “attivo”, da qui allora Lond – On, per quello spettacolo architettonico che vive sulle nostre teste.
AVB: Di quali strumenti tecnici ti avvali per realizzare i tuoi scatti, tipo di macchina fotografica, obiettivi, post produzione?
RC: Attualmente posseggo una Nikon D5300 con un obiettivo 16/85 e un 70/300. Considero questa attrezzatura assimilabile ad un kit da viaggio, in grado cioè di fronteggiare tutte le situazioni. Li porto sempre con me. Per la post produzione utilizzo Photoshop e Camera Raw visto che scatto sempre in raw.
AVB: Hai già realizzato diversi progetti fotografici, di alcuni abbiamo anche parlato in questa piacevole chiacchierata. Ce n’è qualcuno a cui sei particolarmente legato? Attualmente invece ti stai occupando di qualche progetto fotografico in particolare?
RC: Guardando indietro non vedo progetti degni di nota, fanno sicuramente parte della mia evoluzione ma adesso vedo le cose in maniera diversa, per cui non mi riconosco più in quei lavori. Credo che alcuni progetti non si concludano mai o perlomeno durano molti anni, la mia ricerca legata all’architettura o alle forme naturali infatti suppongo durerà a lungo.
Attualmente invece mi sto occupando di un progetto che si chiama “Wwoof”. E’ nato l’anno scorso col desiderio di raccontare realtà diverse in forte contrasto con questa società alienante e disumana. Ma preferisco non entrare ancora nel dettaglio, è work in progress.
AVB: Allora ti strappo la promessa di tornare a parlarne quando sarà realtà. E’ stato davvero un bel viaggio quello che ci hai saputo fra fare Roberto. Un modo di vedere le cose il tuo davvero profondo ed originale. Non omologato e mai banale, scontato. Dietro ogni fotografia c’è una storia, è quella che mi affascina più della fotografia stessa. Grazie per averci raccontato la tua con generosità, disponibilità e sincerità.
RC: Grazie a voi, davvero. Un saluto a tutti gli amici di ArteVitae.
Riferimenti dell’autore
Photogallery Roberto Cracco
[Ndr] : Tutte le immagini contenute in questo articolo sono coperte dal diritto d’autore e sono state gentilmente concesse Roberto Cracco © ad ArteVitae per la realizzazione di quest’articolo.
Note biografiche sull’Autore
Gigi, salentino di nascita e romano d’adozione, intraprende il percorso di laurea in Economia Bancaria e successivamente abbraccia la carriera militare. Alterna la passione per l’economia e la letteratura, ereditata dal nonno, a quella per la fotografia che coltiva da tempo, applicandosi in diversi generi fotografici, prima di approdare alla fotografia di architettura e minimalismo urbano in cui trova espressione la sua vena creativa. Dotato di personalità votata alla concretezza e con uno spiccato orientamento alla cultura del fare, Gigi intuisce le potenzialità aggreganti della fotografia unite alla possibilità di condivisione offerte dal Social e fonda il Gruppo ArchiMinimal Photography attraverso il quale riesce a catalizzare l’attenzione di tanti utenti italiani e stranieri attorno ad progetto di più ampio respiro che aggrega una nutrita comunità attiva di foto-amatori. Impegnato nella promozione e nella divulgazione della cultura fotografica, crea il magazine ArteVitae, progetto editoriale derivato dal successo della community social, per il quale scrive monografie ed approfondimenti sugli autori fotografici e cura la rubrica Digressioni sulla Fotografia, ricercando nel panorama fotografico contemporaneo, personaggi e spunti di interesse di cui parlare.