29 Novembre 2017 By Luigi Coluccia

Digressioni sulla fotografia, a tu per tu con Osvaldo Ghirardi.

Per la rubrica Digressioni sulla fotografia, curata da Luigi Coluccia, in copertina oggi c’è Osvaldo Ghirardi. Nel consueto appuntamento dedicato all’approfondimento dei nostri autori, ne racconteremo la storia e la fotografia.

di Luigi Coluccia

Osvaldo nasce da famiglia operaia nel 1956 a Torre Pellice (To), paesino a pochi chilometri dal confine francese. Fin da bambino è animato dalla fretta di crescere, da tanta curiosità e timidezza. Frequenta la prima elementare a soli 5 anni, poi, dopo le scuole medie, è la volta del Liceo Scientifico.

Si laurea in Medicina nel 1980 e consegue successivamente la specializzazione in  Chirurgia d’Urgenza, divenendo così Medico di Medicina Generale, lavoro che svolge tuttora in due paesi montani in Provincia di Torino.

In tutti i lavori di Osvaldo escono prepotenti, dallo spazio in cui sono racchiusi, i concetti di architettura e di fotografia, due discipline, o più correttamente  due arti che, anche se apparentemente indipendenti l’una dall’altra, sono strettamente legate da elementi che le alimentano entrambe: luce, misura, atmosfera, spazio e volume.

Protagonista assoluto delle sue visioni, oltre all’architettura stessa, risulta essere lo spazio negativo che  definisce e sottolinea il soggetto principale dell’opera. Porta verso esso l’occhio dell’osservatore, guidandolo, fornendo altresì una zona di “respiro” per i suoi occhi, una zona dove l’occhio può riposarsi.

AVB: Osvaldo, grazie per aver accettato il mio invito a raccontarti. Considero questo come sempre un graditissimo omaggio, un privilegio di cui godere. Era già da un po’ di tempo che sentivo il desiderio di approfondire la tua conoscenza, i tuoi lavori e la tua visione sul mondo della fotografia. Sono certo che anche i nostri lettori apprezzeranno molto.

OG: Grazie a te, a voi. Per me è un grande piacere essere qui. Spero solo di essere all’altezza delle vostre aspettative! 

AVB: Come hai cominciato a fotografare? Da dove arriva questa passione? Quale è stato l’evento che ha scatenato in te la voglia di misurarti con la fotografia? Quando è successo?

OG: Per tanti anni la fotografia è stata poco più di una carbonella che bruciacchiava da qualche parte, le fotografie dei figli, qualche matrimonio o battesimo, qualche still life per amici.  Poi ho conosciuto casualmente un grande fotografo, Augusto Cantamessa, il quale un giorno, mi ha fatto varcare le porte della sua camera oscura. E’ così che è arrivato il colpo di fulmine, la rivelazione del Bianco e Nero.

Più o meno nello stesso periodo poi ho avuto modo di conoscere un’altra grande personalità del mondo della didattica e della fotografia subacquea e sotto la sua guida, oltre a diventare istruttore sub, ho imparato a gestirla in condizioni difficili e talvolta critiche. Mi si era aperto un’altro mondo, fatto di viaggi, immersioni e fotografia. 

Poi il dramma, la brutta malattia, il trapianto di fegato la notte di capodanno del 2016, la convalescenza e la fortuna della scoperta del nuovo linguaggio fotografico di una donna forte e determinata: Julia Anna Gospodarou. Le sue fotografie di architettura mi hanno stregato, affascinato, lanciandomi una sfida. 

E’ a questo punto che Osvaldo viene letteralmente assalito dalla voglia di capire “quel” genere di fotografia e pervaso dalla necessità di riuscire a realizzarla. Libri, tutorial e finalmente il workshop a Parigi con la Gospodarou a fine 2016, sono stati la chiave perché “quel” mondo fotografico gli si aprisse ulteriormente. Una piccola curiosità circa l’esperienza parigina è rappresentata dal fatto che l’ha condivisa con la nostra carissima Katherine Young, alla quale ArteVitae ha già dedicato l’intervista.

AVB: Sin dai tempi del Liceo, i tuoi studi e la tua formazione sono stati essenzialmente di natura scientifica. Apparentemente quindi nessun legame con quel mondo artistico da cui proviene la fotografia. Si potrebbe allora pensare che questa tua passione non derivi dai tuoi studi ma poggi le sue radici altrove. E’ corretta questa mia deduzione?

OG: In apparenza sembrerebbe essere corretta questa tua deduzione, ma c’è in realtà una relazione tra i miei studi e la mia passione per la fotografia. Sono onnivoro da sempre di qualsiasi nozione, i libri sono stati e sono il pane quotidiano della mia vita, anche se in parte detronizzati dall’avvento della rete. 

Il mio curriculum professionale ha inoltre contribuito notevolmente allo sviluppo delle passioni artistiche, per lo meno dal punto di vista della forma mentis”, dell’approccio. Mi ha insegnato a valutare ogni possibilità o sfaccettatura di quello che mi accingo a fare, di qualsiasi cosa si tratti: un giro in moto, un piano di volo, un’immersione subacquea, uno scatto fotografico oppure una post produzione.

La razionalità preparatoria affranca così lo spirito dagli intoppi quotidiani, permettendogli di volare libero. 

AVB: Hai affermato prima che i libri sono i tuoi compagni di viaggio da una vita, quali sono quindi quelli che più di altri hanno avuto un’influenza predominante sul tuo processo formativo aprendoti i segreti del mondo della fotografia?

OG: Già, i libri, la  mia passione. Su quello che rappresenta il mio primo approccio in assoluto vorrei raccontarvi un piccolissimo aneddoto, giusto per farvi capire a quanto tempo addietro risalga il mio interesse per la fotografia. Avevo circa 10 anni ed ovviamente nessuna fotocamera, ma avevo acquistato un piccolo manuale di fotografia, di cui non ricordo neanche il titolo, che lessi religiosamente e consumai in anni di apprendimento teorico di tempi e diaframmi. E’ stato il mio compagno di comodino sino all’età del matrimonio e poi, abbandonato, è scomparso.

Poi ce ne sono alcuni che considero parte considerevole della mia formazione e preparazione. “La fotocamera, il negativo e la stampa” di Ansel Adams è stato il mio biglietto d’entrata nel mondo magico della Camera Oscura. Alcuni libri sul mondo della post produzione di Photoshop, come quelli di Kelby, Margulis ed Eismann ed infine il libro che ha cambiato la mia vita di fotografo: “From basic to fine art – Black and White Photograpy – Architecture and Beyond” di Julia Ana Gospodarou e Joel Tjintjelaar. Con la lettura e lo studio di questo libro sono entrato nel concetto di (en)Visionography e di Photograpy Drawing. 

AVB: A questo punto dell’intervista, viene il momento della domanda per antonomasia, del momento privato di ognuno di voi. Cosa rappresenta per te la fotografia?

OG: E’ piacere puro, il piacere di essere in quel luogo, di poter guardare, studiare, toccare quell’architettura, immedesimarmi in chi l’ha progettata, in chi ha posato quel vetro lassù in cima. E poi ancora il piacere dello scatto, della visione al monitor, il piacere nel cercare di rendere viva quell’opera su una stampa fotografica. Il piacere di vedere la carta che lentamente esce dalla stampante e sapere che forse, una parte di questo piacere verrà trasmesso ad un’altra persona. Stampo in casa tutte le mie foto con una stampante grande formato. 

AVB: Come sovente accade, immaginiamo che la fotografia d’architettura sia l’approdo finale maturato dopo un percorso di ricerca stilistico ed artistico, puoi raccontarcelo? Da ultimo, cosa ti attrae in questo genere?

OG: Nel mio caso non è stato un percorso cercato consciamente, oserei dire che è stata l’architettura con la sua forza ad abbattersi su di me, sono state, come detto, le circostanze a farla giungere a me, penso al trapianto, alla convalescenza, all’incontro con la Gospodarou. Tutte circostanze che si sono congiunte per portarmi verso un mondo verticale, creato dall’uomo per l’uomo. Mi attrae la genialità del progetto, la perfetta simbiosi dell’acciaio con il vetro ed il cemento, la cura del particolare, la linearità, intesa come logica ed infine la bellezza che le opere geniali sanno trasmettere con la loro razionalità.

AVB: Osvaldo parliamo un po’ della tua fotografia. Immagini sempre molto imponenti le tue, che rappresentano elementi architettonici scevri da elementi estranei ad essa che possano rappresentare una qualsivoglia forma di distrazione. Sei una persona di spessore, dotata di una forte personalità ma sei, come spesso accade in questi casi, anche una persona molto discreta. Ritieni che queste tue caratteristiche personali abbiano alla fine determinato la tua cifra stilistica fotografica?

OG: Nelle mie fotografie il soggetto è l’opera architettonica, cerco di mostrarla nella sua forza e bellezza, nulla deve disturbarla, la sua personalità deve essere esaltata in modo prorompente ma deve anche coccolare chi la osserva con i grigi che quasi la accarezzano senza i forti contrasti dei bianchi e neri puri. Forse è proprio in questo che si fondono gli aspetti della mia personalità.

AVB: Le tue fotografie lasciano poco spazio alla casualità. L’estrema cura compositiva ed il rigore geometrico risultano in una visione armoniosa che appaga l’occhio. Mi interesserebbe molto conoscere qual è il lavoro che c’è dietro la tua fotografia, ovvero come ti prepari allo scatto: la ricerca dei soggetti, lo studio compositivo, l’esecuzione in macchina, la post produzione. Quanto incide ciascuna di queste fasi sul risultato finale?

OG: Quando fotografo voglio portare a casa lo scatto migliore che posso ottenere in quel luogo ed in quella circostanza. Lavoro sempre con il cavalletto, è triste aprire uno scatto e trovare il micromosso, e non sempre esiste la possibilità di tornare sul luogo del delitto. Purtroppo lavoro ancora, devo quindi scegliere luoghi raggiungibili nel fine settimana o in qualche momento di vacanza.

Ho fortunatamente vicino una persona molto comprensiva e paziente, mai scevra di consigli su soggetti ed inquadrature, per la quale la scelta della meta non è mai un problema. Ricerco i miei soggetti con monografie, ho tutte quelle dei più prestigiosi architetti, raffinandole in rete. Talvolta utilizzo solo la rete. Cerco di documentarmi sulle ore in cui posso trovare la luce migliore, la luce, già, sempre la luce. Se non è quella che voglio pazienza, ma se è terribile evito di scattare, cinquanta piani di riflessi resistono a qualsiasi santità in post produzione.

Sono pignolo, millimetrico nell’inquadratura e per ogni uscita faccio pochissimi scatti, in un week end meno di un centinaio tenendo conto che per ogni scatto faccio sempre il bracketing. Utilizzo spesso i filtri ND di 10-13-16 stop per le lunghe esposizioni. Tutti i processi che portano alla stampa finale sono meticolosi. La post produzione è pesante, in alcune fasi noiosissima. Mi fanno sorridere i dibattiti sulla liceità dell’uso di Photoshop. Senza, le mie immagini non esisterebbero. Spesso sposto le luci, le ombre, i grigi, cercando di piegarli alla mia visione ma non tocco mai le linee, le forme ed i volumi.

AVB: Negli ultimi anni, la globalizzazione e il mercato, hanno costretto gli architetti a una particolare e approfondita ricerca del loro fotografo di riferimento, per trasferire la loro opera sui media visuali. In questa traduzione di contenuti  e rappresentazione visiva dell’opera architettonica, può capitare, come avviene nella moda, che la fotografia e il progetto grafico diventino importanti quanto o forse di più dell’architettura stessa e l’immagine può soppiantare e prendere il posto della realtà. Qual è il tuo pensieri in merito?

OG: Questa domanda mi mette in difficoltà perché il concetto, è complesso, provo comunque a rispondere. La globalizzazione porta con se il concetto di concorrenza spietata e di visibilità universale. Si sono così aggiunte nuove categorie ai grandi stilisti, vedi cuochi ed archistar, più ovviamente tante altre. Non puoi essere bravo solo per te stesso, devi fare in modo che il mondo lo sappia.

Arriviamo al concetto di comunicazione visiva. Le tue opere devono essere viste e devono essere viste nel migliore dei modi. Vengono fotografate e la loro bellezza deve apparire, giocoforza, bella, meglio ancora bellissima. A questo punto introduco il concetto della deontologia: il fotografo documentarista, devo essere corretto, non può barare. In particolare se si tratta di un fotografo importante che rappresenta un cliente altrettanto importante.

Il brutto non può e non deve diventare bello. Io invece sono il fotografo fine art, non faccio il fotografo commerciale, faccio l’artista e la mia visione di quell’opera può tranquillamente essere non realistica, così come il lavoro finale. Lavoro con le mie emozioni, il mio cuore, ed è questo che mi porta a quel determinato risultato. In quella foto ci sono io e ne sono parte integrante.

AVB:  Il tuo modo di riprendere gli elementi architettonici sembrerebbe non privilegiare solo la visione frontale, ma anche quella obliqua e trasversale, che comprende una parte rilevante di cielo, che diventa inevitabilmente spazio negativo che esalta i materiali costruttivi ed i particolari inducendo chi osserva ad una visione più consapevole. E’ un tratto naturale e distintivo del tuo stile o ci sei arrivato dopo un percorso più articolato? Se si, quale?

OG: Talvolta il taglio fotografico è obbligato dal luogo in cui posso posizionare la fotocamera, dalla luce, dal traffico, dall’obbiettivo che ho a disposizione. Normalmente prima di scegliere l’inquadratura definitiva faccio quello che definisco “il cane da tartufo” mi muovo, giro attorno al soggetto, mi avvicino e mi allontano, provando delle inquadrature con la fotocamera in mano. E’ un momento piacevole, il primo momento della “creazione”.

Cerco di dare una vita, una dinamicità alla forma che è lì immobile che mi sta guardando. La fotografia che faccio non è propriamente mordi e fuggi scattata nella speranza che sulla quantità ci sia qualche scatto decente. A me il decente non piace, voglio il top. Lo spazio negativo è il mio grande cruccio, è fondamentale come e quanto lo sfondo, per staccare e dare forza e volume al soggetto.

E’ la parte che lascio per ultima poiché deve essere “visualizzato” con il soggetto finito. Non è raro che provi decine di “inserti luminosi” per poi lasciarlo nero o grigio. E’ il completamento di un lungo percorso e ai miei occhi è negativo ed assoluto, per quel soggetto non può essere diverso da come l’ho fatto.

AVB: Di quali strumenti ti avvali, tipo di macchina fotografica, obiettivi, post produzione ecc.?

OG: Utilizzo una Pentax 645Z con obiettivi Pentax: 28-45 ED, il 55 D, il 75, il 150 FA ed il 200 FA. Da ultimo un Hasselblad Planar 100 con anello adattatore. Oltre alla fotocamera Pentax uso anche una Canon EOS 1Ds con Canon 16-35 quando necessito di un grandangolare spinto. La Canon potrà sembrare obsoleta a molti ma i suoi file hanno fascino e sono splendidamente “lavorabili”. Un Treppiedi Gitzo, vari filtri ND della Lee e Format Hitech. Per la post produzione con sviluppo RAW in Captureone  e poi PHOTOSHOP, Topaz LABS, Nik Collection ed un meraviglioso plug in per Photoshop che si chiama BW Vision Fine Art Panel che mi permette di fare sfumature altrimenti impossibili.

AVB: Hai nel breve periodo dei progetti fotografici di cui ti stai occupando o che vorresti mettere a punto?

OG: Il sogno nel cassetto è un viaggio ad Astana città recentemente costruita dal nulla in mezzo alla steppa del Kazakistan con i progetti dei migliori architetti del mondo ed al momento ancora poco conosciuta. In svolgimento un tuffo nel passato del Regno d’Italia con le dimore dei Savoia. E poi la fantasia viaggia senza sosta, con tante mete lontane, fotograficamente esotiche, ma tenendo i piedi a terra, a breve, l’architettura modernista di Roma ed un immancabile omaggio a Zaha Hadid.

AVB: Per concludere, si percepisce nel tuo lavoro e nelle tue parole molta passione per ciò che fai, cosa ti sentiresti di suggerire a coloro che inesperti vogliano approcciare la fotografia? Cosa ti ha insegnato la tua esperienza?

OG: Innanzitutto l’ esperienza mi ha insegnato che talvolta si raggiungono mete alle quali non si pensava fosse possibile arrivare, con la scoperta di aspetti di te stesso che ti lasciano stupito. Non avevo mai pensato di riuscire a riportare sulla stampa una parte profonda di me stesso.

Ai giovani e a chi si avvicina a questo tipo di fotografia mi sento di dire di partire da una buona conoscenza della tecnica fotografica, leggendo, guardando, frequentando corsi base ed avanzati. Di essere sempre curiosi e determinati, di non spaventarsi davanti alle difficoltà, che sempre ci  sono. Di usare l’umiltà e l’educazione. Di non urlare mai ma di sussurrare e, sopratutto, di ascoltarsi in profondità.

AVB: Osvaldo, non mi resta allora che salutarti e ringraziarti per questo appassionante viaggio nel tuo mondo. Un modo di vedere le cose il tuo davvero profondo ed originale. Non omologato e mai banale, scontato. Ci hai raccontato ogni piccolo segreto della tua fotografia e questa è una cosa che solo i grandi fanno, perché non hanno paura di condividere i propri piccoli e grandi segreti del mestiere. Grazie quindi per la tua  generosità, disponibilità e sincerità.

OG: Grazie a voi, davvero. Un saluto a tutti gli amici di ArteVitae. 

Riferimenti dell’autore

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[Ndr] : Tutte le immagini contenute in questo articolo sono coperte dal diritto d’autore e sono state gentilmente concesse Osvaldo Ghirardi © ad ArteVitae per la realizzazione di quest’articolo.

 


Note biografiche sull’Autore

Gigi, salentino di nascita e romano d’adozione, intraprende il percorso di laurea in Economia Bancaria e successivamente abbraccia la carriera militare. Alterna la passione per l’economia e la letteratura, ereditata dal nonno, a quella per la fotografia che coltiva da tempo, applicandosi in diversi generi fotografici, prima di approdare alla fotografia di architettura e minimalismo urbano in cui trova espressione la sua vena creativa. Dotato di personalità votata alla concretezza e con uno spiccato orientamento alla cultura del fare,  Gigi intuisce le potenzialità aggreganti della fotografia unite alla possibilità di condivisione offerte dal Social e fonda il Gruppo ArchiMinimal Photography attraverso il quale riesce a catalizzare l’attenzione di tanti utenti italiani e stranieri attorno ad progetto di più ampio respiro che aggrega una nutrita comunità attiva di foto-amatori. Impegnato nella promozione e nella divulgazione della cultura fotografica, crea il magazine ArteVitae, progetto editoriale derivato dal successo della community social, per il quale scrive monografie ed approfondimenti sugli autori fotografici e cura la rubrica Digressioni sulla Fotografia, ricercando nel panorama fotografico contemporaneo,  personaggi e spunti di interesse di cui parlare.