Las Meninas di Diego Velazquez, un’istantanea del 1656
Come si rappresenta l’istante? Nel nostro tempo la riproduzione delle immagini è un privilegio per molti, ma spiegare il significato di una istantanea, soprattutto riferendosi a un dipinto, non è più naturale.
di Francesco Galletta
Las Meninas (Museo del Prado, Madrid), oltre a essere uno dei quadri più conosciuti di Diego Velazquez (1599-1660), è considerato un paradigma della filosofia della rappresentazione, con riferimento al rapporto tra soggettività e oggettività, tra lo spazio degli spettatori e quello della scena. Sull’argomento, l’analisi critica più approfondita dell’opera è riscontrabile nel fondamentale “Les mots et les choses” di Michael Foucault, del 1966.
Il dipinto, di grande formato (318×276 cm) ed eseguito a olio su tela per la corte spagnola nel 1656, è un insieme complesso di temi. Ritrae Margherita, l’Infanta di Spagna, in un interno con nani e damigelle che giocano, ma è anche l’autoritratto dell’autore (fig. 1), raffiguratosi mentre dipinge.

fig. 1, Las Meninas, dettaglio su Diego Velazquez
Diventa, inoltre, una citazione pittorica attraverso i quadri alle pareti, realmente esistiti, tra i quali si riconoscono: Atena che punisce Aracne di Rubens e una copia della Contesa di Apollo e Pan di Jordaens.
Ancora, nella prospettiva che si chiude sull’uomo fermo alla porta in fondo, evidenziamo l’allusività al tema della cornice e del suo oltre. Su questo personaggio, le cui dimensioni ci indicano anche la profondità dell’ambiente, s’innesta un possibile, seppur flebile, tema del doppio, poiché sappiamo che è il maresciallo di palazzo José Nieto Velazquez, non imparentato tuttavia con il pittore.
Las Meninas, però, è una vera e propria riflessione sul concetto di rappresentazione – e non a caso uso il termine riflessione – laddove si rileva la presenza di uno specchio sulla parete in fondo, quasi al centro della composizione. Aguzzando lo sguardo scorgiamo due figure riflesse, dalle fisionomie sfumate ma identificabili (fig. 2): sono i committenti dell’opera, i sovrani Filippo IV d’Asburgo e Marianna d’Austria. Secondo alcune interpretazioni sono ripresi dal pittore nell’atto di entrare nella stanza; altri critici ipotizzano, invece, che siano raffigurati mentre posano come soggetti della grande tela presente in scena ma negata alla nostra visione.

fig. 2, Las Meninas, dettaglio dei sovrani
Tutti i personaggi del dipinto, a parte il mastino in primo piano, hanno una precisa identità. Le due damigelle d’onore sono, infatti, Maria Augustina de Sarmiento, a sinistra e Isabel de Velasco a destra, figlie fortunate dell’alta aristocrazia di corte. I nani sono: Mari Barbòla, che guarda l’osservatore, e Nicolasito Pertusato, con un piede sul cane. A metà stanza troviamo donna Marcela de Ulloa, addetta al servizio delle dame di corte, e il funzionario accompagnatore delle stesse dame, Diego Ruiz de Azcona.
Ci troviamo, quindi, davanti a una vera e propria istantanea dell’anno 1656.
Il dipinto però, come già detto, ha diversi livelli di lettura. Qui, infatti, si scambiano tutti i ruoli: il pittore è il regista dell’azione poiché decide le posizioni, ma più che riservarsi un cameo, svolge una vera e propria parte da attore, con il pennello in mano. I sovrani sono gli spettatori della scena, ma anche il possibile punto di vista; divengono, invece, oggetti nello stesso momento in cui sono osservati da tutti i soggetti-oggetti del quadro.
Questi ultimi, a loro volta, sono insieme pubblico e attori, mentre la tela in lavorazione negataci alla vista allude ai regnanti come possibile soggetto del dipinto, benché in apparenza nascosto. La realtà, quindi, diventa scena e questa si trasfigura in vita. Nulla potrebbe essere, pertanto, più vero (o più falso?) della rappresentazione.

fig. 3, Las Meninas, punto principale e linea d’orizzonte
Il gioco dello specchio, già caro a Velazquez in Venere allo specchio del 1644 e presente in modo peculiare in pittori precedenti o successivi (tra gli altri: Jan Van Eyck, I coniugi Arnolfini; Parmigianino, autoritratto; Tintoretto, Susanna e i vecchioni), non è solo un abile artificio per stupire l’osservatore, ma diventa la chiave di volta della rappresentazione. Mettendosi in relazione con gli attori-pubblico, lo specchio è il mezzo per far entrare in scena la soggettiva dei sovrani, che si sovrappone, allo stesso tempo, all’occhio del pittore-regista e a quello dell’osservatore. Quest’ultimo può identificarsi con i regnanti o, come è stato dimostrato, stare al loro fianco in direzione del cortigiano, su cui è riscontrabile il punto principale della prospettiva (fig. 3).
Las Meninas, oltre ogni interpretazione riguardante il dramma irrisolto della rappresentazione, è comunque un fotogramma preciso che cristallizza l’attimo, la raffigurazione sincrona di uno sguardo tradotta nella sospensione del ritmo di vita. Velazquez ferma tutti i personaggi in un’istantanea precisamente costruita sul blocco degli sguardi, delle azioni e dei pensieri. Tutto, d’improvviso, è trattenuto in un silenzio lunghissimo che non è attesa, né stupore, ma il realizzarsi preciso dell’istante; ciò che non è più il prima né mai sarà il dopo.
In un solo attimo, il pittore ha trattenuto la loro intera esistenza.
Note biografiche sull’autore
Francesco Galletta (Messina, 1965), architetto, grafico. Titolare di Tecniche di Rappresentazione Grafica alle scuole superiori, si è laureato con una tesi di restauro urbano ed è stato assistente tutor alla facoltà di architettura di Reggio Calabria per Storia dell’Urbanistica e Storia dell’Architettura Moderna. Dottore di ricerca in rappresentazione alla facoltà di Ingegneria a Messina con una tesi dal titolo: “L’Immaginario pittorico di Antonello”. Con l’architetto Franco Sondrio ha rilevato, per la prima volta, la costruzione prospettica e la geometria modulare dell’Annunciazione di Antonello. Tale ricerca è stata presentata in convegni nazionali e internazionali ed è pubblicata in libri di diversi autori, compresa la monografia sul restauro del dipinto. Sempre con l’architetto Sondrio ha studiato l’ordine architettonico dell’ex abbazia di San Placido Calonerò a Messina nell’ambito del restauro in corso e rivelato un inedito complesso architettonico nel comune di Messina.