Da Caravaggio a Bernini, Capolavori dei Seicento italiano nelle collezioni dei reali di Spagna, la mostra.
ArteVitae oggi si occupa della mostra DA CARAVAGGIO A BERNINI Capolavori dei Seicento italiano nelle collezioni dei reali di Spagna. Allestita presso le Scuderie del Quirinale in via XXIV Maggio 16 a Roma a cura di Gonzalo Redín Michaus, è visitabile fino al 30 di luglio. Attraverso una straordinaria selezione di dipinti e sculture, la mostra riflette gli strettissimi legami politici e le strategie culturali stabilite tra la corte spagnola e gli stati italiani nel corso del XVII secolo.
di Daniela Luisa Bonalume
Si decide di andare alle Scuderie del Quirinale, dove è allestita questa mostra fino al 30 luglio 2017, per vedere cosa sia successo in quei settant’anni, cioè dalla morte di Michelangelo Merisi detto il Caravaggio, nel 1610, alla morte di Gian Lorenzo Bernini nel 1680. Settant’anni in cui il barocco influenza l’arte un po’ in tutta Europa, anche in Spagna. Esattamente come la politica spagnola, esercitata dalla dinastia asburgica, manipola l’arte del Governo dello Stivale. Il termine “barocco” viene coniato quale sinonimo di irregolare, in totale antitesi all’altro termine, “classicismo” che, se affiancato al primo, potrebbe dar vita ad un ossimoro. Invece la mostra “da Caravaggio a Bernini”, che raccoglie una selezione accurata di opere create in quell’arco di tempo e destinate alla corte spagnola da Filippo II a Filippo IV, semplifica la fusione tra barocco e classicismo. Opere commissionate dal Vice Regno napoletano o dallo Stato di Milano, o, ancora, da governatori dei domini limitrofi, per garantirsi le simpatie dei Filippi ispanici. Opere che rispondono contemporaneamente e perfettamente alle due tendenze in auge.
“Da Caravaggio” a Bernini è parte coerente del titolo. Nella prima sala si viene accolti dallo sguardo un po’ fisso e alienato di Salomè. Lei, con la mano destra in evidenza, sostiene il vassoio ovale con poggiata sopra la portata principale, la testa di Giovanni Battista. La giovane donna sembra interrogarsi sul senso del fatto. I colori scuri del Caravaggio maturo conferiscono alla composizione un’atmosfera sospesa e cupa. Sono molte le opere in mostra che recuperano questa cromia. Numerosi gli artisti che si inspirarono al pittore lombardo. La sua personalissima interpretazione delle luci e dei personaggi si espanse come un’epidemia in tutta l’Europa, da Anversa a Madrid, accumulando seguaci fino alla fine del XVII secolo e oltre.
Da Caravaggio “a Bernini” è la giusta conclusione. Al terzo piano delle Scuderie, in una delle ultime sale, Bernini fa bella mostra della sua raffinatezza classicista. Una sorpresa, per chi è abituato ad ammirarlo attraverso le quattro agitatissime statue dei Padri della Chiesa in San Pietro. Il Cristo Crocifisso che Gian Lorenzo Bernini scolpì e destinato al Monastero Reale de El Escorial, mai dorato – come voleva la tradizione – lascia senza fiato. Solido. Statico ma palpitante. Levigato. Sembra recuperato dal Cristo di Guido Reni di San Lorenzo in Lucina, anche se la testa ha una posizione diversa. Un corpo candido, pulito, personificazione del sacrificio della verità, puro nelle linee, insomma, un’opera classicista, corrispondente ai canoni dettati dall’Accademia degli Incamminati, dalla quale Guido Reni proveniva. Il pittore bolognese è presente in mostra con la Conversione di Saulo che, conservata al Palacio Real de Madrid, anticipa gli squarci plumbei dei cieli di Guercino.
Anche Giovanni Francesco Barbieri, appunto “il Guercino”, è presente in questo percorso artistico che va da Caravaggio a Bernini con una delle sue opere più spettacolari, “Le figlie di Loth ”. Il quadro ritrae le due donne, dopo la fuga da Sodoma incendiata dall’ira di Dio, intente nell’ubriacare il padre per sedurlo e così continuare la stirpe. Colori caldi e bruni, sempre in clima caravaggesco, si riscontrano anche ne “I sette Arcangeli” di Massimo Stanzione, conservato al Monastero de las Descalzas Reale di Madrid. Non mancano gli spagnoli in visita di istruzione temporanea o definitiva, che in un modo o nell’altro, attingono dal percorso evolutivo dell’arte italiana.
Diego Rodriguez de Silva y Velazquez esibisce anatomie michelangiolesche ne “La tunica di Giuseppe” dipinta intorno al 1630. Qui la luce schiarisce la tavolozza e mette in risalto i bei corpi dei fratelli di Giuseppe. Al contrario lavora José de Ribera detto lo Spagnoletto. Pittore che abbiamo già incrociato durante la mostra sulla Gentileschi in quanto attivo nel regno di Napoli, dove anche la donna veniva molto apprezzata. Con “Giacobbe ed il gregge di Labano”, dipinto intorno al 1632, combina bruni caravaggeschi a spacchi di luce lombardoveneta. E’ presente con altri quattro lavori, commissionatigli direttamente dalla monarchia spagnola.
Non mancano opere che si collocano nella seconda metà del secolo, come la Lucrezia di Carlo Maratti (o Maratta), o grandi tele di Luca Giordano, di Pietro Novelli e Mattia Preti detto il Cavaliere Calabrese. Tuttavia, oltre al Cristo del già citato Bernini, altre sculture meritano di essere indagate per la preziosità e la raffinatezza della loro fattura. Ad esempio, nel percorso da Caravaggio a Bernini, troviamo il Crocifisso eburneo di Georg Petel, amico di Anton van Dyck e Rubens. Scultura di piccole dimensioni ma di grande qualità esecutiva, che si rifà ai modelli dipinti dai due artisti fiamminghi.
Questa è una selezione di opere provenienti da una collezione esageratamente affollata da artisti italiani, e di altissima qualità. Non è forse rivolta a grandi masse di visitatori, ma sa soddisfare la curiosità di chi è più interessato ai meccanismi della committenza e dei percorsi dell’arte italiana nel cuore del diciassettesimo secolo. La sequenzialità dell’esposizione è cronologica. L’audioguida, che dura all’incirca un’ora e mezza, permette al visitatore di lasciare la mostra avendo la sensazione di non aver trascurato nulla. Da Caravaggio a Bernini vanta un allestimento ben ideato accompagnato da supporti audio esplicativi, forse un po’ prolissi.
Allestimento mostra
Note biografiche sull’autrice
Daniela Luisa Bonalume è nata a Monza nel 1959. Fin da piccola disegna e dipinge. Consegue la maturità artistica e frequenta un Corso Universitario di Storia dell’Arte. Per anni pratica l’hobby della pittura ad acquerello. Dal 2011 ha scelto di percorrere anche il sentiero della scrittura di racconti e testi teatrali tendenzialmente “tragicomironici”. Pubblicazioni nel 2011, 2012 e 2017.