12 Aprile 2019 By Daniela Bonalume

Curiosa come una scimmia. Racconto breve di Daniela Luisa Bonalume.

Curiosa come una scimmia è il nuovo racconto breve scritto da Daniela Luisa Bonalume per la raccolta “Suggestive Evasioni”.

di Daniela Luisa Bonalume

“Nel prato campeggiavano giganti papaveri rossi e nel cielo svolazzavano tante farfalle rosse.”

Un brivido le si infilò giù per la schiena non appena la vide scendere dall’ascensore. L’androne era affollato eppure quella donna, dal colorito giallognolo e dallo sguardo amorfo con le iridi scure perse sulla parete, le diede una irreversibile sensazione di nocività.  I capelli lunghi un po’ grigi, un po’ sbiancati dalle mèches troppo chiare, le conferivano l’aspetto di persona senza alcuna velleità. Il rossetto color argilla e la giacca grigia troppo abbondante sopra un paio di spalle strette e sotto la quale si intuivano le scapole, le davano l’aria di chi si fosse vestita a caso. Anche la gonna principe di Galles, troppo larga anch’essa, completava il quadro desolante. A prima vista sembrava una di quelle donne mai state giovani e senza una vita propria. Una di quelle donne incollate alla casa di origine la cui funzione si raccoglie unicamente nel bastone della vecchiaia degli anziani genitori.

Rita abbassò lo sguardo oltre la gonna. Si, la gonna era larga, ma molto corta.  Scopriva abbondantemente le sottili cosce guarnite con calze di pizzo nero. Ai piedi calzava un paio di stivali neri di camoscio damascato, dal largo tacco forse troppo alto, che sfioravano il ginocchio valgo e appuntito. Le unghie delle mani erano lunghe, acuminate e colorate di rosso. Una sciabolata, quelle unghie, in mezzo a quella nebbiosa sciatteria.

Si sapeva di lei che dirigeva il reparto pediatrico malattie infettive dell’ospedale Fatebenecugini. Si sapeva che non indossava mai il camice perché lo trovava spersonalizzante. Avrebbe fatto meglio ad usarlo. Rita l’aveva già incrociata in passato, e sempre quel brivido l’aveva pervasa. Era come se le individuasse qualcosa di macabro ma non riuscisse a portarlo a galla. E quando gli sguardi delle due donne si incrociavano, entrambe erano pienamente consapevoli del fatto che la corrente di simpatia era loro estranea. La donna portava sempre con se una ingombrante borsetta scura trapuntata, che teneva ben stretta sotto l’ascella. Quando qualcuno la guardava, istintivamente stringeva ancor più il braccio verso il costato.

Quella mattina la calca davanti agli ascensori si diradò velocemente, lasciando le due tipe quasi sole una difronte all’altra. Ai piedi della donna Direttrice, alcune gocce rosse iniziarono ad imbrattare il lastrone di marmo sul quale ella stanziava. Rita guardò il pavimento. Alzando gli occhi, notò che le gocce provenivano dalla borsa sotto l’ascella la quale, più veniva stretta, più rilasciava quel liquido denso che aveva ormai creato una piccola pozza.

Rita piantò i propri occhi dentro quelli della donna la quale non si scostò per un istante dalla sua vacuità. Mantenendo la testa tra le nuvole, la Direttrice si avviò lungo il corridoio lasciando dietro di sé Rita e le goccette che ne segnavano il cammino, proprio come i sassolini di Pollicino. Rita la seguì a distanza. Quelle goccioline non la lasciavano tranquilla. Il colore era troppo familiare e, anche se non c’erano rumors sulla donna, un po’ di tachicardia iniziò ad invaderle il petto.

Era in dubbio, Rita, se dirle qualcosa o seguitare il pedinamento lasciandola ignara. Decise per la seconda. Si appostò ad una discreta distanza ed aspettò qualche mossa falsa. La Direttrice si diresse verso il garage dove alcuni dipendenti, ma non tutti, potevano parcheggiare la loro vettura. Le goccine si diradarono. “Probabilmente il sangue si è esaurito!” pensò Rita. Era ormai certa che qualcosa di anomalo stesse succedendo, o fosse già successo.

La Direttrice si voltò di scatto, lo sguardo non era più vacuo e, passando la mano sotto il fondo della borsa, la pulì del residuo rosso, poi si diresse di gran carriera nella direzione nella quale percepiva la presenza di Rita: – Sta cercando qualcosa o qualcuno? O ce l’ha proprio con me? – disse ad alta voce, e continuò – Venga avanti, si faccia riconoscere -. Nel frattempo estrasse un arnese luccicante montato su una sottile impugnatura in legno. Rita restò immobile dietro il pilastro che separava l’ingresso dalla zona parcheggio, non la vedeva più, ma ne poteva sentire la voce, non i passi: – Venga avanti, si faccia riconoscere – insistette, la Direttrice, quasi urlando.

Rita decise di uscire allo scoperto, si concentrò sulla gamba destra per spostarsi in avanti, ma qualcosa la punse dietro, tra le due scapole:

– Alza le braccia – disse una voce maschile – tieni su le braccia e non voltarti -.

Rita si sentì venire meno e stramazzò al suolo priva di conoscenza, ma non prima di essersi rimproverata che mezzo etto di affari propri se li sarebbe anche potuti fare.

Quando aprì gli occhi, si trovò a quattro centimetri dal naso della Direttrice, che la guardava fissa con uno sguardo tanto appuntito da perforarle la testa:

– Mi dica, signora… –

-Raggioli – sussurrò Rita – Rita Raggioli! – non riuscendo a riconoscere l’ambiente nel quale si trovava, proprio a causa della vicinanza della testa della donna.

– Lei mi seguiva – incalzò la Direttrice – cosa cercava, cosa voleva? – ripeté allontanandosi un po’. Rita la poté così vedere quasi per intero.  Indossava un enorme camice bianco completamente imbrattato di rosso.  Accanto a lei un uomo robusto, robustissimo, anch’egli con un camice bianco, della giusta taglia, tutto sporco di rosso.

Allora Rita rispose che le goccioline rosse che uscivano dalla borsetta l’avevano messa in allarme. Ma poi sentì che stava per svenire di nuovo. Le arrivò in viso una pezza d’acqua gelida e solo allora si rese conto di essere sdraiata sopra una barella e in un ambiente senza finestre, che aveva i muri completamente colorati.  Le pareti erano dipinte con un grande prato ed un enorme sole giallo nel cielo azzurro.

Nel prato campeggiavano giganti papaveri rossi e nel cielo svolazzavano tante farfalle rosse.

Il giorno seguente si sarebbe inaugurata la sala giochi per i bimbi degenti e ricoverati  in isolamento.

…e questa doveva essere per tutti una bella sorpresa!


Note biografiche sull’autrice

Daniela Luisa Bonalume è nata a Monza nel 1959. Fin da piccola disegna e dipinge. Consegue la maturità artistica e frequenta un Corso Universitario di Storia dell’Arte. Per anni pratica l’hobby della pittura ad acquerello. Dal 2011 ha scelto di percorrere anche il sentiero della scrittura di racconti e testi teatrali tendenzialmente “tragicomironici”. Pubblicazioni nel 2011, 2012 e 2017.

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