La rubrica Cinema e donna ci presenta oggi una delle figure più divertenti e amate della storia del cinema, la ragazza viziata. Un modello di grande successo che dalla commedia sofisticata hollywoodiana è arrivato fino ai nostri giorni, attraverso continue rielaborazioni che lo hanno reso un simpatico interprete di vizi e mutamenti sociali e culturali.
di Gabriella Maldini

Carol Lombard e William Powell, L’impareggiabile Godfrey, 1936.
La ragazza viziata del cinema di solito è anche ricca e, in principio, quasi sempre insopportabile, presuntuosa e capricciosa. Ma con il procedere della storia, spesso conosce una evoluzione, un cambiamento in positivo, una crescita interiore, poiché, tanto vale dirlo subito, la grande favola che il cinema ama raccontare è proprio quella del cambiamento. Che il personaggio cattivo alla fine diventa buono, l’egoista generoso, il cinico umano e comprensivo. Nella vita, lo sappiamo bene, non è così e solo pochi, e raramente, cambiano davvero.

Clark Gable e Claudette Colbert
Nel 1934 appare una ragazza viziata da Oscar, è la Claudette Colbert di Accadde una notte, il grande classico di Frank Capra. Un capolavoro di commedia in cui la protagonista è un’ereditiera viziata e capricciosa che, per fare dispetto a suo padre che disapprova il bellimbusto con cui si è fidanzata, scappa di casa. Anzi, per essere precisi, dallo yacht. Si tuffa in mare, sale su un autobus e qui incontra il giornalista squattrinato Clark Gable, sempre in cerca di scoop, che all’inizio pensa di sfruttare la situazione ma alla fine s’innamora di quella buffa milionaria che non sa nemmeno inzuppare una ciambella. La scena è adorabile: a tavola la mattina a colazione, davanti a una tazzona di caffè.
avete venti milioni di dollari e non sapete inzuppare!

Accadde una notte, di Frank Capra 1934
D’altra parte, lei prima lo esaspera con continue bizze ma strada facendo (espressione che adopero volutamente, poiché questo è uno dei primi film ‘on the road’ della storia), anche lei s’innamora di lui, della sua schiettezza e autenticità, fino a lasciar emergere il lato più fragile di sé e il suo desiderio di essere amata per se stessa, con semplicità e sincerità. Quel desiderio che fino ad allora aveva avuto come unica risposta sempre e solo il denaro. A conferma che gli anni trenta sono il periodo d’oro della commedia hollywoodiana (che si propone come il più potente antidepressivo negli anni bui della grande crisi post 1929), nel 1936 ecco un’altra meravigliosa ereditiera viziata, Carole Lombard in L’impareggiabile Godfrey, di Gregory La Cava, altro grande maestro della commedia sofisticata che, bisogna dire, non fu solo capace di far tornare la gente a sorridere e sognare e sperare nel futuro, ma anche affrontare con ironia e incantevole leggerezza il conflitto tra classi, culture e soprattutto tra i sessi.
L’impareggiabile Godfrey è l’esempio perfetto. Inizia con una caccia al tesoro fra milionari, anzi con una ‘caccia al rifiuto’, perché il primo premio lo vincerà chi riuscirà a trovare il rifiuto più originale. E così, ecco nababbi in frac e signore impellicciate correre per New York sui loro macchinoni con autista. Chi porta una capra, chi dei pesci rossi, ma è la scatenata biondina Carole Lombard ad avere l’idea geniale: portare il rifiuto per eccellenza, l’essere umano rifiutato, l’uomo senza nulla. Ed ecco spiegato il titolo originale del film, The forgotten man, il dimenticato (dalla società, e dal mondo intero). Ma il primo colpo di teatro è che l’homeless che lei incontra e che accetta di prestarsi al gioco è un ex milionario rovinato dalla crisi del 29; e, cosa ancora più importante, è quel che si dice un vero signore, un gentiluomo. In principio Irene lo convince ad accettare il posto di maggiordomo in casa sua ma presto i ruoli si capovolgono ed è Godfrey a dare a lei e a tutta la sua famiglia di nuovi ignorantissimi ricchi lezioni di bon ton, storia, arte e perfino economia. Tanto che alla fine sarà lui (l’impareggiabile Godfrey) a salvarli dal disastro finanziario, conquistando la stima di tutti e ripristinando anche il proprio status sociale ed economico.

Carole Lombard e William Powell
In parallelo, naturalmente, avviene anche la trasformazione umana e affettiva della protagonista: all’inizio s’incapriccia di Godfrey come per un vestito o un giocattolo nuovo e di fronte alla sua indifferenza pesta i piedi e fa le bizze da perfetta ereditiera viziata. Poi però, quando capisce di amarlo davvero e comprende che niente di quello che ha , né il lusso, né i soldi, e nemmeno la bellezza e la giovinezza, potranno portarle il suo amore, allora, per la prima volta, si mette in gioco davvero, come donna innamorata. E solo come tale, riuscirà finalmente a conquistare l’uomo che ama. Altra straordinaria ragazza viziata è la Bette Davis di Jezebel, diretto da William Wyler nel 1938 e ambientato nello stesso periodo storico e negli stessi luoghi del più conosciuto Via col vento, che però uscì l’anno successivo, tanto che la produzione temeva che il film di Wyler gli avesse ormai rovinato la piazza e che il pubblico non sarebbe tornato a vedere un’atra storia prevalentemente al femminile ambientata durante la guerra di secessione, invece andò come sappiamo e la sconosciuta ventiseienne Vivien Leigh soffiò l’Oscar alla già premiata e famosissima Bette Davis (che comunque ci lascia, anche qui, una delle sue grandi interpretazioni).
La sequenza cardine di tutto il film, sia sul piano emotivo che narrativo, è quella del gran ballo delle debuttanti a cui lei si presenta con un abito rosso, contravvenendo di proposito alla regola non scritta che imponeva alle ragazze da marito di indossare l’abito bianco. Lo scontro ad alta tensione con il suo fidanzato Henry Fonda, tutto silenzi e sguardi definitivi come colpi di pugnale è di una suspense degna del grande Hitchcock. Quanto a bellezza, Wyler non aveva da imparare niente da nessuno.

Bette Davis in Jezebel, di William Wyler 1938
Ma la ragazza viziata più testarda della storia del cinema è lei, la Rossella O’Hara di Via col vento, che dopo aver esasperato il suo Reth per quasi tre ore, tra guerra, carestia e pestilenza, lo conduce a pronunciare la fatidica battuta nel finale più dissacrante della Hollywood classica:
‘francamente me ne infischio!’
Arrivando ai nostri giorni, l’ereditiera viziata più divertente del cinema americano è quella interpretata da Goldie Hawn in Soldato Giulia agli ordini (1980) e Una coppia alla deriva (1987). Nel primo film è una giovane moglie molto svampita e molto ricca che dopo la morte del marito, per dare una svolta alla sua vita, si arruola nell’esercito dove, nei panni di una recluta molto improbabile, gliene capitano di tutti i colori; ma un guaio e un pasticcio dopo l’altro, finisce per forgiare un nuova grinta e alla fine, anziché risposarsi con uno dei tanti pretendenti della lista, sceglie di rimanere nell’esercito.

Goldie Hawn
In Una coppia alla deriva, accanto al (vero)marito Kurt Russel, è una insopportabile milionaria che perde la memoria cadendo dallo Yacht e viene riconosciuta come moglie da un povero falegname, vedovo e senza un soldo, che vive in una baracca scalcagnata e ha tre ragazzini pestiferi da tirare su. Naturalmente, dopo una serie di spassose gag, i due s’innamorano e si scelgono davvero.

Goldie Hawn

Mariangela Melato
E in Italia? Il podio di milionaria viziata spetta alla Mariangela Melato di Travolti da un insolito destino…dove, nei panni di una (a dir vero molto poco) signora milanese ultra snob, finisce per innamorarsi perdutamente del proprio marinaio siciliano che Giancarlo Giannini incarna in una strepitosa caricatura di comunista macho primordiale.
Note biografiche sull’autrice
Nata a Forlì nel 1970, dopo il diploma al liceo classico si è laureata in Giurisprudenza presso l’Università di Bologna. Ha svolto un Master in Comunicazione a Roma e Milano, poi un corso di Racconto e Romanzo e uno di sceneggiatura cinematografica alla Scuola Holden di Torino. E’ docente di cinema e letteratura e ha diverse collaborazioni in atto, fra cui quella con Università Aperta di Imola, la libreria Mondadori di Forlì e le scuole medie, per le quali sta portando avanti un progetto didattico che coinvolge i ragazzi delle classi terze in una ‘lezione cinematografica’ sul rapporto umano e formativo che unisce allievo e insegnante. Da pochi mesi è uscito il suo primo libro, edito da Carta Canta, dal titolo ‘I narratori della modernità’, un saggio di letteratura francese dedicato a Balzac, Flaubert, Zola e Maupassant, come quei grandi padri della letteratura che per primi hanno colto la nascita del mondo moderno.
Per ArteVitae scrive nella sezione Cinema e TV.
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