10 Ottobre 2019 By Stefano Degli Esposti

Bologna, la città che sogna

Per la rubrica  Viaggi Fotografici, curata da Stefano Degli Esposti, oggi andiamo a Bologna per camminare nella sua città, fra il sogno e la realtà.

 

Bologna sogna, sembra una banalissima rima, ma è la chiave di lettura di questa piccola-grande città che cattura il cuore di quelli che l’attraversano, anche come meteore. Possiede una pozione magica fatta di bellezza e di edonismo, mescolati ad un irresistibile calore umano, che sopravvive alle bordate della sempre più crescente indifferenza.

 Un po’ lagnosa, un po’ boriosa. Bulàgna (1) che si lagna, forse perché in un altro paese sarebbe la protagonista senza storia per appagare la sua boria. Lontana dalla concorrenza della vicinissima Firenze, e ancor di più da Venezia e Roma, tutte irraggiungibili nella galassia artistica italiana. Bologna poliedrica, coi suoi svariati appellativi. Per non parlare della simbologia legata ai monumenti e alle specialità culinarie. Una cultura variegata che rafforza il suo timido vanto. Accennato e mai ostentato.

I PORTICI

 Qui trovi la ”metropolitana pedonale” più lunga al mondo, che ti permette di passeggiare serenamente anche se dimentichi l’ombrello. Sto parlando dei portici, sotto i quali puoi respirare meglio la città, percorrendola su e giù per i suoi vicoli più stretti invasi dal profumo del borbottante ragù. Qualche “vasca” pagana (2) per negozi e salire nel suo Eden, attraverso una coda che allunga verso il Colle della Guardia, fin su alla cima. Il portico crea un effetto cornice, dentro alla quale ti arrampichi sulla collina godendoti i “concerti d’archi” offerti dalle prospettive ottiche, oltre al panorama urbano.

SAN LUCA

Lassù c’è San Luca, la basilica scolpita nella pietra, unica per la sua crudezza artistica e la forma a torta. Simbolico faro terrestre per noi bolognesi, che ci fa sentire a casa ancor prima di arrivarci. Di notte si trasforma in uno scrigno dorato, che custodisce intatte le preghiere di speranza e gratitudine dei pellegrinaggi di devozione alla Madonna.  Mentre in inverno scimmiotta il paradiso, quando galleggia sul mare di nuvole nei giorni di alta pressione. Uno spettacolo unico che fa volare la mia immaginazione, stando seduto comodamente a casa.

Vibrano ancora oggi dentro di me le emozioni delle prime viste aeree dentro alla cabina dondolante della funivia, da tempo smantellata, che raggiungeva la nostra “piccola Hollywood”. Mi resta il rammarico per non potere rivivere quei momenti, da bambino non ancora cosmopolita.

LA TURRITA

Dall’alto puoi ammirare i resti della “skyline” più folta della storia. Una “Manhattan medioevale”, che al tempo annoverava un centinaio di torri, erette dalle famiglie più facoltose per ostentare la propria potenza economica.

Nel suo centro trovi la pendente Garisenda, quasi appoggiata alla più alta degli Asinelli, che ti fa sentire padrone della città, dopo la scalata di un migliaio di gradini.  Le due “gemelle diverse” sono ben note come simbolo per eccellenza.  Sulla Prendiparte, a poca distanza, puoi goderti una vista più umana e viverla attraverso gli eventi organizzati al suo interno. Ancora oggi mi capita di scoprirne altre semisconosciute, mimetizzate nel tessuto urbano della “Turrita”, per via dell’altezza non eccessiva.

LA GRASSA

Bologna esagerata nel menù e negli ingredienti. Grassa sì, ma più rotonda e pienotta che adiposa. Insomma, una cuoca impareggiabile e “tamugna” (3), ma non obesa, fiera dei suoi piatti, protagonisti sulla tavola internazionale. Inventrice della mortadella, sinonimo della città, e del fenomenale ragù, spesso impropriamente associato ai sacrileghi “spaghetti bolognese”. Bonaria usurpatrice del tortellino, che si narra originario della confinante Modena. E non mi dimentico della lasagna, anche per la rima con la lagna. L’appellativo “la Grassa” trova la sua perfetta sintesi nella cotoletta petroniana, grondante di formaggio dopo la frittura in padella!

Bologna strampalata nelle sue stravaganze artistiche, particolarmente concentrate nel singolare imbuto di Piazza Santo Stefano. Un miscuglio di stili e rifacimenti sovrapposti nelle facciate sopra ai portici che convergono verso le due torri, partendo dal complesso delle sette chiese. Nel mezzo, le gobbe dei sassi che sfidano compatti le caviglie, soprattutto quelle più aggraziate sugli esili tacchi a spillo. Un angolo urbano straniante, che ti risucchia inavvertitamente in un viaggio all’indietro nel tempo. Come la facciata di marmo incompleta ed i tronconi laterali mozzati della Basilica di San Petronio, che le donano un aspetto work-in-progress. Due bracci che le avrebbero conferito una forma a croce. Ma la sua costruzione fu drasticamente bloccata perché avrebbe sorpassato la San Pietro romana nelle dimensioni.

LA DOTTA (e burlona)

E che dire delle colonne telefoniche di Palazzo Re Enzo? Oggi è un gioco divertente ascoltare l’altro che parla contro la colonna opposta. In realtà era un primordiale sistema di intercettazioni, che consentiva alle guardie del re di origliare i discorsi dei passanti, sfruttando la dinamica acustica degli archi. Mentre il vezzo dello schiamazzo e del lazzo alle belle donne di passaggio non viene più consumato all’”angolo dei cretini” (4). Una città burlona, persino nella sua Alma Mater Studiorum, tempio dell’istruzione dove si fa sul serio. La prima università del mondo occidentale è nata qui. Bologna culla della cultura, che l’è valso l’appellativo “la dotta”, ma anche della goliardia. Un approdo che spesso diventa dimora per una moltitudine di studenti provenienti da ogni parte del mondo.

IL BIASANOT

Bologna, la notte, sempre avvolta nel suo fascino inconfondibile, anche se non più come un tempo, quando potevi camminarci tranquillamente come nel cortile di casa. Era uno sguaiato rimbalzare fra le osterie discrete, ora soppiantate dalle “fabbriche degli aperitivi” che invadono le strade trasformando le camminate in improbabili gimcane. O chiacchierare seduti sulle scalinate di San Petronio col “crescentone” davanti agli occhi. Un materasso di pietra steso sull’intera Piazza Grande, la Piazza Maggiore ribattezzata da Lucio Dalla, ora immortalato col suo sassofono sulla parete ci casa sua. Ma il “biasanòt” (5), l’animale notturno che si aggirava instancabilmente per i locali della città, ora è in via d’estinzione. Mi piace immaginare che si sia nascosto dentro al Nettuno.

IL NETTUNO

 Già, il “Zigànt (6)! Non potevo dimenticarmi dell’ennesimo simbolo cittadino, col suo sguardo fiero in cima alla fontana, come un soprammobile della omonima piazza. Cogli addominali scolpiti in un fisico possente, il Nettuno vigila sui passanti e protegge i bambini che accorrono per giocare con l’acqua. Lo sguardo è austero ed anche un po’ vanitoso, dopo il recente restauro, consapevole del degno sfondo che gli riserva un così pregevole contorno. Da ovunque tu lo osserva risalta in un ritratto d’epoca. Ora davanti a San Petronio ora a Palazzo d’Accursio, specie se incorniciato dall’arco di Palazzo Re Enzo.

LA CALDA

Bologna la turrita, la grassa, la dotta, quindi. Ma anche la rossa, per il suo orientamento politico di un lungo passato. Come se tutti questi appellativi non bastassero, le ho aggiunto la calda, per le tinte delle case della ricostruzione del secondo dopoguerra. Una sequenza di colori, dal giallo al rosso riprodotta nel mio collage dal titolo Bologna la calda, che riflette il calore umano. La parte più recente del centro storico che si intreccia perfettamente con quella medioevale, anch’essa rappresentata nell’opera sorella Bologna l’antica.

Bologna che sogna in grande, ma che si gongola nella sua dimensione a misura d’uomo. Casa accogliente ed anche un po’ mamma per il forestiero, che mai resta indifferente alle sue premure. Anzi, spesso si lascia cullare affondando le proprie radici nel suo grembo, per il calore umano che si respira.

Bologna sogna, ma fa anche sognare. Andarci da bambino per me era, infatti, un sogno ad occhi aperti. Era la città, la mia città. Una dimensione più ampia, ma mai sfuggente. Una casa più grande, ma sempre casa era. Così come lo è ancora oggi, quando tornare è come essere sempre rimasti.

Stefano Degli Esposti  ©

Note

  1. Bologna in dialetto
  2. Passeggiata sotto al portico
  3. Stazza robusta ma non esagerata, che probabilmente deriva dallo spagnolo “Tamaño”
  4. Angolo sotto al portico fra Piazza Re Enzo e Via Rizzoli (detto anche angolo degli imbecilli)
  5. Biascica notte, viveur notturno
  6. Gigante

Note biografiche sull’autore

Stefano Degli Esposti

Carpe noctem”, quando il “carpe diem” non basta. Stefano Degli Esposti nasce nel 1958 a Casalecchio di Reno (BO), che resta la sua città di riferimento, nonostante il trasferimento sulle colline di Sasso Marconi. La formazione scolastica di indirizzo commerciale caratterizza il suo percorso professionale fino alla direzione di aziende di contesto multinazionale. Si diverte in cucina, si rilassa con la musica Rock e Jazz ed è appassionato di fotografia. Fotografa tutto ciò che lo emoziona, con una spiccata predilezione per l’astrattismo, specie in contesti urbani. Espone i suoi lavori a mostre collettive e personali dal 2015. Il MIA Photo Fair nel 2017 ed il Photofestival nel 2018, su tutte, entrambe a Milano. Ama la natura e gli animali. Sa cogliere gli aspetti positivi di ogni situazione.


Per ArteVitae cura la Sezione Viaggi Fotografici.  Racconta le sue esperienze di viaggio, riportando alla memoria le emozioni che gli hanno lasciato segni indelebili, accompagnate dalle sue fotografie. Lo scopo ambizioso è di farle rivivere ai suoi lettori, scatenando in loro il desiderio di visitare quei luoghi.


[Ndr]: Tutte le immagini contenute in questo articolo sono coperte dal diritto d’autore e sono state gentilmente concesse da Stefano Degli Esposti © ad ArteVitae per la realizzazione di quest’articolo.