Auschwitz – L’ultimo Respiro, fotografie di Alessandro Malinverni
di Luigi Coluccia
Oggi ci occupiamo dell’ultimo lavoro fotografico di un carissimo amico, Alessandro Malinverni. In concomitanza con la ricorrenza della Giornata della Memoria infatti, in una accogliente e vivace location milanese, Alessandro presenta il suo progetto fotografico dedicato ad Auschwitz, esponendo le immagine realizzate a Oświęcim – la città distante circa 70 km da Cracovia che ospita il Museo Nazionale Auschwitz Birkenau. Buona lettura!
Non v’è dubbio alcuno che quella documentata da questo lavoro di Alessandro rappresenti una delle pagine più buie della storia, dalla notte dei tempi ai giorni nostri. Una persecuzione ed uno sterminio di massa che coinvolse i due terzi della popolazione ebrea in Europa. Già nei primi anni del Regime Nazista, il governo nazionalsocialista aveva creato campi di concentramento allo scopo di imprigionare veri o presunti oppositori politici. Negli anni immediatamente precedenti la Seconda Guerra Mondiale, il numero di Ebrei, di Rom e di altre vittime dell’odio razziale, imprigionati nei campi di concentramento dalle SS e dalla polizia, crebbe costantemente. Nella Germania nazista, durante gli anni di guerra, furono creati appositi ghetti, nonché campi cosiddetti di transito e altri destinati al lavoro forzato, proprio al fine di concentrare la popolazione ebraica – e poterla così meglio controllare e deportare con maggiore facilità.
Il luogo simbolo di questo terrificante e feroce genocidio perpetrato ai danni della popolazione Ebrea è stato senza dubbio identificato nel campo di concentramento di Auschwitz che si trova a Oświęcim, una città distante circa 70 km da Cracovia, che ospita il Museo Nazionale Auschwitz Birkenau. La sensazione che si prova visitando questo spettrale luogo è quella dell’impotenza, quella che ci riporta alla drammaticità della vita e alla cattiveria dell’animo umano. Ci si chiede infatti come abbia potuto l’uomo perpetrare un tale orrore! L’altro aspetto che colpisce nel profondo è il silenzio, l’assordante silenzio che circonda ogni cosa e la profonda intimità con cui si vive questo luogo simbolo e si ascoltano le emozioni contrastanti che trasemette.
Proprio alla ricerca di queste sensazioni, proprio seguendo il suo istinto e cercando di realizzare un reportage che fosse anche un invito a mantenere vivo il ricordo e a riflettere, Alessandro ha realizzato questo suo capolavoro fotografico. Dice Emanuele Bai: ” L’ultimo respiro è la mostra fotografica di Alessandro Malinverni sul campo di sterminio di Auschwitz. L’autore ha ben colto quanto terribile sia stato quell’incubo ed ha ben chiara la necessità di non dimenticare. Le fotografie di Alessandro sono caratterizzate da pulizia ed equilibrio che scaturiscono da una composizione formale, dove ogni elemento dell’immagine è al posto giusto”
Ma entriamo adesso nel vivo delle immagini in mostra con i primi scioccanti fotogrammi, cui è affidato il compito di riportare il triste binario che dava accesso alla struttura, la drammatica desolazione del luogo e un altana per il controllo del perimetro. Tutte immagini caratterizzate da una brillante gestione dei contrasti.
L’ambiguità voluta del messaggio lanciato – da una parte a rappresentare un monito a che certe nefandezze non abbiano più a ripetersi, ma dall’altro a ricordare inesorabilmente che l’umanità tende a dimenticare e ripetere gli stessi terribili errori – è l’aspetto sul quale magistralmente va ad agire Alessandro con questo suo lavoro.
«Sogni densi e violenti – scrive Levi della prigionia – sognati con anima e corpo: tornare, mangiare, raccontare». Il dovere di raccontare: «Non è lecito tacere. Se noi taceremo, chi parlerà?», scrive nel 1955. E dieci anni più tardi, in un editoriale sulla prima pagina de La Stampa, narra dell’avverarsi di un sogno frequente durante la prigionia: «L’interlocutore non ci ascolta, non ci comprende, si distrae, se ne va e ci lascia soli. Eppure, raccontare dobbiamo». Questo ruolo di testimone e di scrittore, lo scienziato Primo Levi l’ha pienamente svolto, dopo essersi portato sulle spalle l’immane tragedia, in cui avevano sperimentato «alcune cose sull’uomo che sentiamo necessario divulgare», in quella morte di Auschwitz, che era «triviale, burocratica e quotidiana». Levi scrive: «Ci siamo accorti che l’uomo è sopraffattore: è rimasto tale, a dispetto di millenni di codici e di tribunali».
Anche la fotografia ha questo potere documentale ed è una potente forma di comunicazione e testimonianza: ciò che rimane impresso nella memoria attraverso l’osservazione di uno scatto non potrà mai essere descritto con mille parole.
E’ questo un luogo dove ognuno di noi dovrebbe sentire il bisogno di andare, per poter provare intimamente l’orrore che ancora si respira in quel silenzio che tante grida di strazio e di dolore cela in se, che ad ascoltar bene probabilmente ancora si odono.
In attesa di organizzarlo questo viaggio, Alessandro vi aspetta numerosi, per potervi mostrare il suo lavoro e poterne discutere approfonditamente. Di seguito la locandina con tutti i riferimenti per raggiungere e visitare la mostra.
Fotogallery di Alessandro Malinverni
Alessandro Malinverni
Ha cominciato a fotografare nel 1978, quando mio padre mi caricò un rullino in bianco e nero nella sua Kodak Retina con obiettivo a soffietto che tuttora custodisco gelosamente. Quel giorno ho scoperto un nuovo mondo: quello della fotografia, al quale mi sono appassionato sempre di più. Successivamente acquistai la mia prima reflex: una Pentax ME e grazie al regalo di un amico iniziai a stampare le mie prime fotografie utilizzando, con buona pace di mia madre, la cucina come camera oscura. La passione per la fotografia cresceva sempre di più, e con essa quella per l’utilizzo del bianco e nero, che ancora oggi è la forma espressiva che preferisco. Passano gli anni e con loro metri di pellicola, litri di chimici per lo sviluppo e tanta carta fotografica, fino a che nel 1985 arrivarono le prime soddisfazioni: al titolare del laboratorio da cui mi servivo per le stampe piace il mio lavoro e mi chiede di collaborare con loro per qualche servizio. Rimango un po’ spiazzato perché sono inesperto in materia professionale, ma accetto. Le sfide con me stesso mi sono sempre piaciute.
Negli anni successivi ho collaborato con diverse agenzie di Milano, dedicandomi oltre che alle cerimonie anche alla fotografia sportiva e per cataloghi pubblicitari, ritrovandomi ad avere sempre meno tempo per il genere di fotografia che all’epoca mi interessava veramente: quella naturalistica. Arriva il 2001, l’agenzia con cui collaboravo assiduamente decide di chiudere e io prendo una grande decisione: vendere tutta la mia attrezzatura e dedicarmi ad altro. Per oltre 10 anni non ho più fotografato, se non in occasione di qualche viaggetto o per foto ricordo, ma in fondo al cuore qualcosa era rimasto: non ho mai smesso di soffermarmi a osservare con attenzione una bella fotografia. Nel frattempo il mondo fotografico è cambiato radicalmente, il digitale ha preso il sopravvento relegando la pellicola a mero strumento preistorico. Ho visto questa rivoluzione come una sfida, così nel 2014 decido di acquistare la mia prima reflex digitale e in un attimo mi ritrovo in un nuovo mondo fatto di schede, files e software per l’elaborazione delle immagini. Con qualche difficoltà ricomincio a fotografare e mi accorgo che sono gli “strumenti” ad essere cambiati, mentre la curiosità e la voglia di esplorare il mondo sono ancora intatte!
Sono tornato a divertirmi, oggi scatto solo per il piacere di farlo. Cerco soggetti nuovi, emozioni ed attimi da immortalare. Non ho vincoli e sono libero di esprimere, attraverso le immagini, quello che mi fa battere il cuore.