Artemisia Gentileschi, pittrice di talento e carattere.
Artemisia Gentileschi, pittrice italiana del ‘600 di grande talento e carattere, in mostra fino al 7 maggio 2017 al Museo di Roma a Palazzo Braschi.
di Daniela Luisa Bonalume
Autoritratto come suonatrice di liuto (1617-18) è l’opera che accoglie il visitatore, nella prima sala di Palazzo Braschi che ospita la mostra.
Lei ti guarda e te lo dice subito:“qui non troverai espressioni oranti e visi angelicati, qui troverai fierezza, determinazione, rabbia e consapevolezza”. Artemisia si ritrae a 24 anni, posizionata di sbieco nell’atto di suonare lo strumento a corde. Lo sguardo è rivolto allo spettatore, ed è uno sguardo di autoaffermazione, di sfida, di riscatto. Caratteristiche queste, costanti della sua vita artistica e riconoscibili in tutti i personaggi femminili che vengono da lei dipinti.
La composizione delle sue opere è teatrale, drammatica, a tratti addirittura truculenta. Atmosfere sanguinarie sono palpabili nelle due tele “Giuditta decapita Oloferne”, esposte nella quarta sala, dipinte nel 1617 e 1620-21. La lucida e gelida determinazione dello sguardo di Giuditta è la stessa nelle due tele. Gli schizzi di sangue scaturiscono dalla gola di Oloferne appena incisa dal suo coltello. Rappresentano rabbia e desiderio di vendetta maturati dopo la violenza inflittale da Agostino Tassi, amico e collega del padre.
Artemisia Gentileschi era appena diciassettenne. Nell’intero corpo delle opere selezionate, che contempla parte della sua produzione dal 1610 al 1639, si respira un alone di violenza, esplicita o suggerita. I temi dipinti dall’artista sono quelli biblici. Le donne sono ritratte nel massimo del loro splendore e della loro sensualità. Infliggono pene o subiscono la ferocia di altri. Oppure sono ritratte nel gesto di usare violenza su loro stesse.
La scelta dei curatori della mostra sembra indirizzarsi proprio verso l’esaltazione del desiderio di riscatto e affermazione dell’artista. Artemisia lavora per avere riconosciute la propria abilità pittorica, la dignità di donna ed il ruolo professionale e sociale di pittrice. Tutto questo, in un mondo totalmente dominato dalla figura maschile, qui rappresentato solo da 2 opere sulle 30 autografe.
In questa sede vengono esposti anche dipinti di artisti coevi inclusi quelli del padre Orazio Lomi Gentileschi. Non potendo negare il genio di Artemisia, egli si vede costretto a preferirla ai figli maschi, mediocri lavoratori nella sua bottega. Promuoverà, quindi, presso le corti più prestigiose le straordinarie abilità della figlia, comunque già note ai frequentatori dell’ambiente.
Lo spazio espositivo permette la collocazione di un gran numero di opere. Vi sono tele di Giovanni Baglione, che denunciò Orazio e Caravaggio per diffamazione, per un libello in cui venivano derise le sue doti artistiche. Si trovano opere di Simon Vouet, Nicolas Regnier, Giovanni Martinelli, Cristofano Allori, Bartolomeo Manfredi, Bernardo Cavallino, Onofrio Palumbo ed altri. Cavallino e Palumbo collaborarono con Artemisia Gentileschi nella fase napoletana, in virtù delle numerosissime commesse che le vennero affidate.
L’impressione che se ne trae, nell’interezza della scelta espositiva, è il dominio della violenza. Questa viene espressa anche nelle scene di martirio e nelle rappresentazioni mitologiche o storiche. In quasi tutte le opere scelte prevale il senso di ossessione. La scelta cromatica degli artisti, come detto, risentiva quasi totalmente degli scuri e dei rossi caravaggeschi. Artemisia inclusa. Ma grazie alle sue eccezionali abilità unite alla capacità compositiva, Lei sovrastava ampiamente in espressività e comunicatività gli artisti a lei contemporanei.
La sua tavolozza è completa. I contrasti cromatici accentuano i conflitti rappresentati e le sue influenze sono molteplici. Nell’ultima fase napoletana, Artemisia esprime tutto lo spessore del proprio bagaglio professionale maturato nei numerosi viaggi. Sostenuti dalla monumentalità del disegno fiorentino, acquisito dal padre, trovano posto i tonalismi luminosi della pittura veneta e le oscurità di Jusepe de Ribera. Costui, detto Lo Spagnoletto (in mostra anche con “Il compianto sul Cristo morto”) si trasferì a Napoli nel 1616.
Artemisia Gentileschi viene quindi mostrata in tutta la sua grandezza, sia artistica che umana. Visse con ostinazione il non sottomettersi in un epoca in cui l’essere donna ed il nutrire velleità artistiche era visto come inopportuna egocentrica originalità. E’ evidente che il suo non fu un battersi inutile, altrimenti non saremmo qui a valutarne le opere rispetto alla modestia di altri lavori esposti. Quello che trasuda dal suo lascito è l’urgenza di vivere ed essere riconosciuta come persona e artista di pari dignità rispetto all’universo maschile. Il movimento femminista denominato “Cooperativa di artiste Beato Angelico”, negli anni 70, ha fatto proprio questo messaggio per rivendicare lo stesso diritto.
La mostra su Artemisia Gentileschi, presso Palazzo Braschi, visibile già dal 30 novembre scorso, è aperta fino al prossimo 7 maggio. Sarà possibile godere delle 95 opere e di un filmato di oltre 40 minuti, che completa il percorso espositivo.
Informazioni su orari e biglietti.
Note biografiche sull’autrice
Daniela Luisa Bonalume è nata a Monza nel 1959. Fin da piccola disegna e dipinge. Consegue la maturità artistica e frequenta un Corso Universitario di Storia dell’Arte. Per anni pratica l’hobby della pittura ad acquerello. Dal 2011 ha scelto di percorrere anche il sentiero della scrittura di racconti e testi teatrali tendenzialmente “tragicomironici” . Pubblicazioni nel 2011, 2012 e 2017.
Bellissimo articolo, l’autrice ti stuzzica, ti coinvolge, ti prepara alla visita alla mostra con curiosità e straordinario senso critico.
Grazie!
Ottimo articolo chiaro e approfondito senza essere pedante. sicuramente propedeutico X una visita più’ avvertita grazie a questo contributo
Grazie!